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Fortuny, Mariano

di Maria Rosa Giacon, Enciclopedia dannunziana

1. Mariano Fortuny i Madrazo (1871- 1949): un artista a 360 gradi

Nato a Granada dal grande pittore Mariano Fortuny i Marsal e da Cecilia de Madrazo i Garreta, Mariano Fortuny i Madrazo è un figlio d’arte dall’eredità quanto mai ricca e complessa. Alla personalità del padre, figura artisticamente poliedrica e di tecnica eccellenza anche nel campo delle arti minori (I Fortuny.  Una storia di famiglia, 2019), s’aggiunge, da parte di madre, l’ascendenza di quella dinastia dei Madrazo composta da uomini di cultura e pittori di notabile calibro, quali il nonno di Mariano, Federico de Madrazo i Kuntz, che fu anche accademico e direttore del Prado, e gli zii Raimundo e Ricardo. Simile complessità ha un risvolto geografico: dopo aver vissuto nella città andalusa, quindi a Roma e, morto il padre (1874), a Parigi, nel 1888 Mariano si trasferisce a Venezia al seguito della madre, che nell’89 eleggerà a definitiva dimora il bel Palazzo Martinengo di San Gregorio ben presto facendone un rilevante centro d’aggregazione d’arte e cultura cosmopolite, fra Italia, Francia e Spagna. Animato, ora e sempre, da eccezionale curiositas, il giovane Fortuny s’apre al nuovo milieu lagunare recando con sé le esperienze della sua formazione parigina. Nella Ville Lumière egli si è infatti dedicato allo studio dell’elettricità, dell’ottica, della fisica; ben presto ha scoperto il seducente mondo del teatro e in particolare, per il tramite di Rogelio de Egusquiza, l’opera di Wagner. Introdotto all’arte dal nonno Federico e dallo zio Raimundo, seguendo di poi la scuola di Benjamin Constant e di Auguste Rodin, in terra di San Marco completa la sua educazione pittorica con lo studio dei grandi maestri del Rinascimento e Barocco veneziani; esperimenta gli impasti cromatici – che lo affascineranno anche nella successiva attività tessile –, pratica l’arte incisoria e la fotografia, passione, quest’ultima, che in periodo successivo (1902-1908) è coltivata con un’attenzione inedita «a ciò che succede fuori dall’angolo concesso alla visione umana» (Sdegno 2005, p. 15) ed entro un rapporto di stretta connessione con il «cosmo teatrale» (Fuso 2005, p. 11). Dal principio degli anni Novanta, infatti, egli si dedica ad attente ricognizioni nel santuario di Bayreuth, constatando «che proprio nel décor è completamente disatteso il Gesamtkunstwerk wagneriano» (Franzini 2016, p. 30, nota 9). Traduce dunque la sua passione per Wagner nella pittura, conseguendo nel ’96 la medaglia d’oro di seconda classe alla VII Esposizione Internazionale di Monaco con un dipinto ispirato al Parsifal, le Fanciulle fiore, espressione d’un filone interpretativo tra Simbolismo e Art Nouveau destinato a inoltrarsi in pieno Novecento – del 1928, ad esempio, è la ripresa dello splendido Abbraccio di Siegmund e Sieglinde, composto per La Valchiria già nel 1893. Al contempo, però, va progettando una riforma della scenografia wagneriana e di qui coltivando l’intuizione d’un complesso sistema scenotecnico secondo il quale «luce e scena appaiono inscindibili» (Maino 2016, pp. 71, 83). In simile maturazione rilevante è il sodalizio con il critico d’arte e philosophe schopenhaueriano Angelo Conti, che per Mariano ha parole d’elogio sul «Marzocco» (1898) e a lui dedica La beata riva (1900); nel pensiero contiano Fortuny trova invero condiviso l’amore per Wagner e interessanti indicazioni di percorso lungo la via dell’unificazione delle arti, specie della pittura con la musica, cui naturalmente lo sospinge l’opera del genio tedesco, ma che anche Conti aveva praticato nel Giorgione (1894) all’insegna del critico inglese Walter Pater (cfr. Conti 2007, pp. 87-99). Di fatto, procedendo di sperimentazione in sperimentazione e da Wagner muovendo a una riforma scenografica del teatro coevo in generale, nel corso dei Novanta Fortuny avrebbe individuato nella luce il mezzo più adatto a «fondere quella che allora si chiamava “pittura teatrale” con il significato più intimo della musica» (Fuso 1999, p. 15). Da simile complesso d’influssi e sollecitazioni sarebbe scaturito, in sostituzione del tradizionale apparato a fondali fissi, quel famoso sistema a luce indiretta e diffusa basato sulla «cupola» che da lui trae il nome. Nell’album Théâtre Lumière Fortuny ne registrerà la fase tecnica primitiva, suggeritagli dall’osservazione d’un fenomeno ottico nel sottotetto di Palazzo Pesaro degli Orfei – in Campo San Beneto, sede dell’attuale Museo – che dal ’99 è divenuto il suo laboratorio: «En 1899 = sous les combles de Palazzo Orfei à Venise / = Cuart de sphère en plâtre de 4 mètre[s], 30 avec réflecteur coloré, renvoyant dans la cavité la lumière de la fenêtre» (Franzini 1999, p. 52; Fuso 1999, p. 16). Il 1900 segna l’inizio della sua fama da scenografo, dapprima con il gilbertiano Mikado presso il teatro della contessa Albrizzi a Venezia, ove la scena è ancora dipinta, in seguito con l’applicazione parziale della «cupola» nell’applaudita mise en scène del Tristano e Isotta presso «La Scala» di Milano. Dopo falliti tentativi di cooperazione con Gabriele d’Annunzio (cfr. 2), avvertendo l’esigenza di  perfezionare il suo Système nel 1902 Mariano si trasferisce a Parigi, nel cui ambiente tecnicamente più favorevole approfondisce i suoi esperimenti con la luce elettrica; entra in stimolante contatto con il brillante scenografo ginevrino Adolphe Appia, che, ammirandone la «cupola», lo introduce a Martine de Béaghue, contessa di Béarn. Una circostanza determinante nella carriera di Fortuny: affinché vi si possa installare il complesso dispositivo, la contessa gli affida l’intera ristrutturazione del suo teatro, impegno che lo occuperà dalla fine del 1903 alla primavera del 1906. Nella trionfale inaugurazione del 29 marzo la «cupola» così si presentava agli occhi del pubblico stupefatto: due pareti costituite da «superfici parallele in stoffa, sostenute da un’armatura metallica, entro le quali veniva immessa con un ventilatore dell’aria», sicché la pressione rendesse «perfettamente liscia la superficie rivolta verso la scena». L’impianto scenico complessivo poggiava su molti trovati ingegnosi, tra i quali l’adozione d’un «sistema mobile» che «permetteva al palcoscenico di alzarsi o abbassarsi», e l’introduzione, davvero rivoluzionaria, d’una cabina di regia dal cui interno il «manovratore delle luci […] aveva la possibilità di comandare a piacimento gli effetti luminosi» della «cupola» (in Franzini, Romanelli, Vatin Barbini 2008, pp. 17-18). Da Parigi la fortuna delle invenzioni di Mariano si espande in Germania, con la costruzione per conto della società AEG di «lampade ad arco, bande colorate, proiettori di nuvole» e con l’adozione della «cupola» presso numerosi teatri, tra i quali nel 1908 il «Kroll» di Berlino (Franzini 2016, p. 32). Ma Fortuny è artista troppo inquieto e curioso per fermarsi a questa sia pur straordinaria esperienza. Rientrato a Venezia, con la sua eccezionale compagna Henriette Nigrin avvia a Palazzo Pesaro degli Orfei una fabbrica di tessuti stampati e inaugura, traducendovi la propria tavolozza di pittore, una serie di creazioni su seta a ispirazione ellenica e dal «fascino orientale» (Caloi 2019, pp. 487-491): dapprima (1907) quel “minoico” scialle Knossos che solleciterà la fantasia anche di d’Annunzio («[…] una di quelle lunghissime sciarpe di garza orientale che il tintore alchimista Mariano Fortuny immerge nelle conce misteriose dei suoi vagelli […]», PR, p. 700), e in seguito (1909), suggerito dalle «vesti semplici ma eleganti delle Korai» arcaiche e dal «morbido plissé della tunica dell’Auriga» (Tosa 1999, p. 32), il celeberrimo Delphos, la meravigliosa veste che, rivoluzionando la moda femminile del tempo, ammanterà le forme delle più alte dame dell’aristocrazia europea e di personaggi pubblici quali Isadora Duncan ed Eleonora Duse. Rivisitazione dell’antico alla luce del moderno – un po’ come avviene nell’architettura fin-de-siècle e nella stessa tragedia ‘classica’ dannunziana –, tra il 1911 e il ’14 l’arte tessile di Mariano conosce momenti di grande fortuna a Parigi, a Londra ed oltreoceano. Le avverse vicende della Grande Guerra non piegheranno simile intraprendenza coraggiosa: fra il ’19 e il ’22, grazie alla concessione del terreno e alla cooperazione societaria di Giancarlo Stucky, Fortuny impianta uno stabilimento alla Giudecca, ove, in originale consonanza con il morrisiano Arts & Crafts (Byatt 2016) e la coeva Bau-Haus, oltre ai capi di vestiario si producono su cotone stampato arredi per gli interni di prestigiosi luoghi pubblici e privati (Da Roit 2019). Né piegheranno Mariano la crisi mondiale del ’29 e l’autarchia del regime fascista che ostacola l’importazione dei pigmenti necessari alla sua tavolozza di pittore, com’è vero che, fra le altre iniziative, nel ’33 «commercializza, con il nome di Tempera Fortuny, i colori da lui creati e utilizzati», richiamando l’attenzione, fra gli altri, di Singer Sargent, Klimt, Bonnard (Franzini 2016, p. 36). Nel frattempo, Mariano non ha certo dismesso l’attività di designer e arredatore, scenografo illuminotecnico e costumista, che anzi persegue presso vari teatri d’Italia, Francia e Spagna sino all’alba della seconda guerra mondiale: dall’installazione, con la Società Leonardo da Vinci, della «cupola» presso «La Scala» (1922), alla sua applicazione (1929) a quei «Carri di Tespi» la cui eco risuonerà nello stesso Libro segreto del poeta recluso; dall’ideazione d’un grandioso teatro sul Montjuïc di Barcellona (1929), al tentativo di realizzare la «cupola» per il «Teatro Real» di Madrid, benché progetti entrambi rimasti inattuati. Negli anni Trenta si assiste a tutta una serie di felici realizzazioni, tra cui le maquettes per i wagneriani Maestri cantori inscenati all’«Opera» di Roma (1931); la fornitura di stoffe e costumi per la rappresentazione dell’Otello a Venezia in Palazzo Ducale (1933); le scene, nell’ambientazione moresca di Granada – ben cara alla sensibilità pittorica di Mariano, nato ai piedi dell’Alhambra –, per la rappresentazione alla «Scala» (1934) di La Vida breve di Manuel de Falla; ancora a Venezia (1937), prossimo ormai il suo distacco dall’attività pubblica, le lampade da lui progettate per la Scuola Grande di San Rocco, la Chiesa dei Frari e San Giorgio degli Schiavoni andranno a illuminare i capolavori di Tintoretto, Tiziano, Carpaccio; per non dire dell’immane impegno di costumista nella celebrazione dei Trionfi Sabaudi al Castello Sforzesco. Quanto all’attività pittorica in senso stretto, da lui perseguita per tutta la vita partecipando, fra le altre mostre, a undici delle Biennali veneziane (Dal Canton 2016, pp. 137-151), nel ’34 espone a Parigi lavori di gran peso, come nel ’35 a Milano dà prova della stretta correlazione fra la sua pittura, scenografia e produzione tessile presso la Galleria «Dedalo» con una mostra antologica di stoffe, disegni, dipinti; sempre in quell’anno è presente a Venezia con un bel ritratto della madre Cecilia, e «con ben diciassette opere» lo sarà in quello successivo per la «mostra celebrativa dei quarant’anni della Biennale» (ivi, pp. 143-144). In simile attività multiforme e febbrile si realizzava una straordinaria «avventura culturale internazionale» condotta all’insegna  d’un «eclettismo elastico e duttile», che ‘eclettismo’ in senso comune non era, bensì il «frutto di un’approssimazione caparbia e geniale verso un modello d’arte e di vita eccezionalmente coerente, instancabile, lungimirante» (Romanelli 1999, p. 23). Faber aperto al superamento di stereotipi e convenzioni, signore della tecnica dal fascino anticipatore e creatore, Mariano Fortuny non poteva che far innamorare di sé un genio, libero precorritore dei tempi, quale Gabriele d’Annunzio.

2. 1894-1901: d’Annunzio, Fortuny, Francesca da Rimini e una vicenda vicentina

Nel 1894 s’inaugurava per d’Annunzio un quinquennio di regolari soggiorni nella città di San Marco finalizzati alla creazione del romanzo Il fuoco. Con ogni probabilità già in quel primo anno egli conobbe Mariano Fortuny, che, personalità di punta della società artistica veneziana, era di casa presso la contessa de La Baume, al cui circolo di “nobili spiriti” – da Friedrich Hohenlohe ad Angelo Conti ad Eleonora Duse – d’Annunzio stesso era allora introdotto da Georges Hérelle, il traduttore in francese dell’Innocente (Damerini 1943, p. 32). L’interesse per il geniale Fortuny è testimoniato dai taccuini dannunziani, dei quali il II, databile al periodo «[1892]-1893-1895-1896» (D’Annunzio 1965, TT), e l’Altro Taccuino 3, del giugno 1896 (D’Annunzio 1976, ATT), riportano l’indirizzo di Mariano: «Mariano Fortuny, 178, San Gregorio. Venezia» (TT, p. 25), e «Fortuny Calle Traghetto San Gregorio 178 [c.d’A.]. Venezia» (ATT, p. 44). In realtà, col suo rabdomantico fiuto d’Annunzio ha intuito in Fortuny un artista a 360 gradi. Lo prova il fatto che già nel dicembre del ’94 egli prema su Angelo Conti per ottenere dal pittore spagnolo un «disegno» destinato alla copertina della rivista di Adolfo de Bosis «Il Convito» (LDC, 2 dicembre 1894), e, soprattutto, che nel ’97 gli volga richiesta d’una maquette per la sua Ville morte, trovando insoddisfacente la realizzazione dello scenografo di Sarah Bernhardt. L’analisi delle didascalie della Città morta (Isgrò 2016, pp. 180-182), come d’ogni altra tragedia dannunziana, dimostra che nel linguaggio plurimo e fortemente sinestesico del teatro di d’Annunzio «l’illuminazione della scena» ha acquistato un’importanza singolare e affatto nuova, con l’abolizione del «tradizionale impiego delle luci di ribalta» per il recupero di «complesse variazioni di intensità, distribuzione, colore della luce» a simbolico segno dello stato d’animo delle personae e dello svolgimento del dramma (Bosisio 1988, p. 156). E ben si sa come il carattere funzionale della luce, il suo valore di partecipazione drammatica fossero chiari a Fortuny sin dagli anni Novanta (cfr. 1); per quanto nel ’97 egli non fosse ancora approdato all’ideazione della «cupola», di quei suoi esperimenti luminotecnici qualcosa d’Annunzio doveva pure aver sentito. Di fatto, è «proprio in occasione de La ville morte» che il futuro Magicien de Venise «si produce in un progetto scenografico nel quale l’idea della pittura di luce integra la scena dipinta» (Isgrò 2016, p. 183). Piena consonanza dunque con il punto di vista di d’Annunzio e prima occasione per il poeta di verificare l’affinità della sua arte con quella di Fortuny. Non sorprende, allora, che nel maggio del 1901, trovandosi a Venezia per assistere alla rappresentazione della Città morta, lo scrittore si recasse a Palazzo Pesaro degli Orfei per richiedere la cooperazione di Mariano alla resa scenografica della tragedia, tutta da scrivere ancora, Francesca da Rimini. Sulla decisione di d’Annunzio indubbiamente influirono svariate ragioni, da quelle amicali alla recente riuscita (dicembre 1900) presso la «Scala» del Tristano e Isotta, opera a lui cara in sommo grado, ma soprattutto dovette contare la conferma di quel rapporto d’affinità esperimentato già nel ’97: ch’era di tecnica quanto di poetica. In quel medesimo anno, infatti, mentre puntigliosamente seguiva la versione francese di Hérelle (Gibellini 1976) e l’allestimento scenico della Ville morte, la vista ad Orange delle Chorégies dei Félibres doveva suggerirgli l’ambizioso progetto di un’alternativa nazionale e mediterranea a Wagner – l’invocato «Teatro di Festa» d’Albano (D’Annunzio 2003, SG, II) –, che, rimasto inattuato, si tradurrebbe però nel Fuoco col subentrare al genio tedesco del poëta musicus Stelio Èffrena; similmente l’artista catalano, muovendo dal dramma di Wagner, lo sopravanzava di poi con la sua apertura da avant-garde fra arte e tecnologia, del cui rivoluzionario portato ora d’Annunzio avrebbe inteso servirsi per la sua poesia tragica. E tuttavia, nonostante simili positive premesse, il progetto fallì e con certo detrimento, è da credersi, per l’arte d’entrambi. I motivi di questa cooperazione mancata sono ricostruibili attraverso il carteggio del poeta con Mariano Fortuny, conservato nel quanto mai ricco e composito Fondo Mariutti Fortuny della Biblioteca Nazionale Marciana (Venezia), sia pur mutilo e privo di datazione tranne per le lettere del 24 giugno e 4 settembre 1901. Gino Damerini, che lo pubblicò pressoché per intero (Damerini 1943, 1958), fu anche il primo a divulgarne la vicenda in modo esaustivo: accettato di buon grado l’incarico, Fortuny avrebbe presto scoperto che la collaborazione richiestagli comprendeva «l’esecuzione di tutto», sì che egli si sostituisse «addirittura ai fornitori, agli scenografi ed ai vestiaristi con una propria organizzazione»; dinnanzi a tale fatica inumana, Fortuny avrebbe declinato la cooperazione, benché, intendendo riparare al suo abbandono, lasciasse a disposizione della Duse «i bozzetti delle scene e gli altri disegni»; in tal modo, le preziose maquettes e gli altri materiali fortunyani, ora del tutto perduti, furono passati all’abile scenografo della Città morta Odoardo Rovescalli, che però non ne avrebbe fatto uso alcuno (Damerini 1943, pp. 90-93, passim). Un recente esame storico-critico del carteggio e quindi la sua restituzione cronologica (D’Annunzio 2017, DFL) getta ulteriore luce sulla vicenda: le due lettere di maggio (M.7.6.7, M.7.6.11), di cui la seconda è subito anteriore al 23  – data in cui il poeta sarà a Ravenna sotto il nome di «Marco Fulgoso» –, danno la cooperazione di Fortuny per cosa certa; in particolare, si evince come d’Annunzio avesse visitato la soffitta degli Orfei in più di un’occasione, da solo e poi con la Duse, imprescindibile partner e mecenate, al fine di sottoporle la visione dei modellini scenografici fortunyani: «La signora Duse […] sarebbe molto lieta di conoscerti e di vedere i tuoi piccoli teatri miracolosi» (M.7.6.7, DFL, pp. 69-72). La terza testimonianza (M.7.6.8-M.7.6.9, DFL, pp. 74-80), quella del 24 giugno, attesta che la stesura della Francesca sta procedendo a pieno ritmo, la tragedia trasparendovi composta fino a parte dell’Atto III, con la scena IV. La lettera è però fitta di perentorie istruzioni a carico di Fortuny (conviene, si deve…), che vanno dai costumi agli scenari ed arnesi di guerra: nell’insieme, un lavoro di grandissimo impegno e da eseguirsi in tempi assai stretti, la rappresentazione essendo fissata per dicembre al «Costanzi» di Roma. Abbastanza per ingenerare sin da allora dubbi e incertezze in Fortuny, non scenografo solamente, bensì teso a far opera d’arte nell’allestimento che gli veniva richiesto e perciò entro una realizzazione dai tempi più lunghi di quelli concessigli dal poeta e soprattutto dalla capocomica Eleonora Duse. E di certo doveva rafforzare i dubbi di Mariano la lettera successiva (M.7.6.2, s.l., s.d., ma Viareggio, dopo il 19 luglio), in cui le intimative istruzioni di scena erano per aggiunta corredate da schizzi per mano del poeta (DFL, pp. 80-86). Comprensibile allora il diniego di Fortuny, che, sopraggiunto ai primi di settembre, causerà la disperazione di d’Annunzio. Lo si ricava dalla lettera del giorno 4, a tragedia appena ultimata: «Mio caro Mariano, / stamani […], / ho avuto la grande gioia di terminare la mia tragedia […]. / E la tua lettera, tanto aspettata, è giunta a soffocare ogni allegrezza» (M.7.6.12, DFL, pp. 86-90). Ma il poeta non intende rinunciare alla collaborazione dell’artista cui s’è mimeticamente ispirato («Ho composta la mia tragedia, verso per verso, avendo dinanzi agli occhi le figure dell’arte tua […]. Ogni movimento, ogni figurazione tragica ha qui un valore plastico, pittoresco»: ivi, p. 87), e, nel tentativo di persuadere Fortuny a continuare il lavoro, si reca a Venezia prendendo alloggio al «Britannia» almeno dal 10 settembre (DFL, pp. 46-49); visita più volte la «soffitta d’alchimista» dell’amico (M.7.6.4, DFL, pp. 90-91), avendo così modo d’ammirarne i prodigi illuminotecnici (le «tue illuminazioni»: M.7.6.3, DFL, pp. 91-93). Si tratterrà dunque nella città lagunare sino allo scadere del mese (DFL, pp. 86-98): quando lascerà Venezia e il Veneto per la Toscana, dal momento che il 1° ottobre lo attende alla «Capponcina» la lettura della Francesca dinnanzi al cast attoriale (Palmerio 1938, p. 127). Tuttavia, come trapela dal tono sempre più preoccupato dei messaggi dannunziani, Fortuny si è dimostrato un referente elusivo («Il tempo passa! / […] / sono ansioso di aver notizie della terza maquette»: M.7.6.10, DFL, pp. 95-97), e neppure il tentativo di affiancargli un collaboratore, lo scenografo bolognese Masotti (Damerini 1943, p. 93; M.7.6.14, DFL, pp. 97-98), pare sortire risultato. Palesi risuonano ai primi d’ottobre l’allarme e la frustrazione di d’Annunzio: «Oggi non ho avuto da te alcuna notizia definitiva […] / Il Masotti assume la responsabilità delle quattro scene?» (M.7.6.6, DFL, pp. 99-102). Si può comunque supporre che i propositi suasorî del poeta si sarebbero protratti anche più a lungo non fosse stato per la Duse, che, responsabile degli impegni presi col teatro romano, nel medesimo torno di giorni preme per affidare ogni cosa alle mani, meno geniali di certo, però più sicure del Rovescalli (cfr. Eleonora Duse a Ettore Mazzanti, in Valentini 1992, pp. 177-178). E a breve così sarebbe stato: da una lettera di Ugo Ojetti a Fortuny in data 22 ottobre (M.7.1.4, DFL, pp. 113-116) si apprende che l’incarico è passato al «Rovescalli!», e con «maquettes fatte personalmente da d’Annunzio!» – sulla probabile falsariga degli schizzi rinvenibili nella M.7.6.2.
Ma almeno sino alla fine di settembre d’Annunzio aveva dimostrato ogni intenzione di mantenere vivo il rapporto con Fortuny: lo si coglie dalla stessa vicenda dell’«Olimpico» di Vicenza, che è vero a nulla condusse, ma per ragioni indipendenti dalla volontà del poeta. Dopo il successo riscosso con una magnifica riedizione dell’Edipo Re (1900), il Comitato dell’«Olimpico» invitava il drammaturgo della Città morta ad inscenare nel teatro palladiano una sua tragedia ad argomento classico. E in data 9 agosto 1901 d’Annunzio aveva risposto al Fogazzaro, che aveva fatto da tramite, promettendo una sua venuta in loco «nella seconda metà di settembre» (Stocchiero 1939, p. 39). Benché Vicenza non fosse esattamente Albano, quell’opportunità doveva stargli davvero a cuore, al punto da rinunciare all’invito degli universitari trentini a prender parte, il 22 settembre, al loro congresso annuale a Rovereto, manifestazione tra le più significative dell’irredentismo d’allora (Stefani 1939, p. 12). Pertanto il 25 o il 28 settembre (Stocchiero 1939, p. 42; Damerini 1943, p. 87), date attestanti anche il termine della sua permanenza veneziana, d’Annunzio si recava a Vicenza e, segno della ritrovata intesa con l’inventore della «cupola», avrebbe con questi visitato l’«Olimpico» per verificarvi l’adattabilità della luce indiretta, sì da nascondere le scene fisse e ricreare tutti gli effetti d’una rappresentazione all’aria aperta. Consulenza cui Fortuny si prestò con sicuro interesse, tanto da fissarne attentamente i risultati in alcuni schizzi (cfr. Mariano Fortuny 1999, p. 233). E però la vicenda non ebbe seguito alcuno: il «disegno» tragico – comprendente il Re Numa – annunciato al Fogazzaro non venne realizzato mai (Antona Traversi 1929, pp. 410-411; Giacon 2008, p. 28); d’Annunzio e la Duse, attesi di lì a poco a Vicenza per il concretarsi del progetto, non si fecero vedere. Per fondata ragione, tuttavia, essendo immersi nelle prove della complicatissima tragedia, con ritmi massacranti da ottobre fino alla vigilia della prima. 

3. Un’altra cooperazione mancata (1910), ma un’amicizia per la vita (1912-1930)

Benché per ora fallita, la possibilità d’una simbiotica cooperazione, nell’esaltazione scenografica del mezzo poetico-pittorico-musicale garantita dall’arte di Fortuny, sarebbe accarezzata da d’Annunzio anche in anni successivi. Nel luglio 1910, durante l’«esilio» francese, il poeta riprende a Parigi i contatti con Mariano al fine di realizzare, con il suo prezioso apporto, il tanto auspicato e mai concretato «Teatro di Festa»: sede, in tal caso, il Campo di Marte o l’Esplanade des Invalides. Un’opera a dir poco monumentale, con «4500 posti, distribuiti come in un anfiteatro antico», ove  la scena «sarà emisferica: un pallone – la «cupola», appunto – tagliato in due». E l’inaugurazione, prevista per il giugno 1911, consisterà in «una grande féerie poetica di G. d’A., con danze», protagonista Isadora Duncan, «cori, cortei e canti». Tale l’entusiastico annuncio di Jose Schurmann, l’attuale impresario di d’Annunzio (Masci 1950, p. 220). Per la verità, in simile occasione il poeta darà prova della migliore volontà realizzativa: presso l’installazione fortunyana nel teatro della Béarn (cfr. 1), egli «s’alterna con l’amico alla centralina di comando dei riflettori a nastri colorati e dei dispositivi di proiezione, provando il giusto dosaggio fra il décor delle luci e una variazione continua di azioni mimiche e coreutiche», e anche contatta «attori della Comédie-Française […] per ulteriori esperimenti» (Isgrò 2016, p. 191). Del resto, a differenza che nel caso d’Albano, ora «D’Annunzio […] si era notevolmente prodigato e questa iniziativa non era campata in aria» (Franzini 1999, p. 57), come testimonia la bozza (Projet) d’una società tra d’Annunzio, quale responsabile della direzione della parte letteraria, Fortuny della figurativa, Lucien Hesse di quella architettonica (AMF, MFQ002; DFL, pp. 153-156), financial supporters dell’impresa, oltre ai molti del bel mondo disposti a sottoscriverla, Maurice de Rothschild e Henri Deutsch de la Meurthe (Antongini 1938, p. 635). Ma il «20 luglio 1910», giorno della stesura definitiva del contratto, il poeta s’eclissò «qual meteora luminosa» (Antona Traversi 1933, II, p. 20): solo più tardi s’apprese che «s’era rifugiato, non solo, ad Arcachon» (Damerini 1943, p. 94). Eppure soltanto il giorno prima, dall’«Hôtel Meurice» sede della progettata riunione, d’Annunzio aveva intimato a Mariano: «È necessario che entro domani martedì il contratto sia definito e firmato» (D’Annunzio, M.7.6.13, DFL, p. 102). Forse non soddisfaceva il protagonismo accentratore di d’Annunzio «la distribuzione dei ruoli fissata nello statuto» della Société (Isgrò 2016, p. 196) e però, a fronte dell’impegno da lui profuso, tale abbandono sfugge a comprensione certa. Comunque sia, anche la versione parigina del Teatro d’Albano era destinata a fallire e, con essa, il sodalizio con Mariano Fortuny.
Tuttavia, l’amicizia fra i due non ne risentì così come attestano i pochi, ma significativi, documenti pervenuti. Il 22 agosto 1912, da Arcachon, d’Annunzio telegrafa a Fortuny: «pregoti dirmi dove posso dirigerti lettera importante abbraccioti . + gabriele d annunzio» (D’Annunzio, M.7.6.16, DFL, pp. 106-107). Si sa che in quell’estate, dal 24 luglio fino al 10 agosto, egli è intento a seguire il lavoro Mascagni alle musiche della Parisina (Chiara 1981, pp. 229-230), e che il 10 luglio ha ultimato La Rosa di Cipro, ossia l’archetipo della Pisanelle (Lavagnini 1942, pp. 155-156). È dunque una possibile richiesta di collaborazione teatrale cui si riferirebbe la «lettera importante» ch’egli intende dirigere a Fortuny. Il quale il giorno dopo («23-8-[19]12») inoltra a d’Annunzio solo un lapidario «abbraccioti» (AGV, Fortuny Mariano; DFL, pp. 122-123), ma, se non comunica l’indirizzo richiestogli, è perché egli stesso, in procinto d’assentarsi da Venezia, ancora non ne è a conoscenza. Lo si evince dal nuovo telegramma trasmesso il 26 agosto da Cecilia de Madrazo (AGV, ivi; DFL, pp. 123-124): Mariano ha lasciato la città «pour quelques jours campagne conseille docteur» ed è in attesa di possedere un indirizzo «pour avoyer lettre». Se il contenuto dello scritto dannunziano resta comunque incerto, del tutto certa invece è l’attenzione affettuosa di Mariano nei confronti di Gabriele come dimostrano sia la tempestività del contatto sia l’incarico assegnato a Cecilia. 

Archivio Generale del Vittoriale, VI, 3, cartella “Mariano Fortuny”

In effetti, nulla potrà ormai intaccare la solidità d’un legame che, resistito a tanti episodi avversi, s’avvia a durare per il resto della vita. Nella mutila corrispondenza fa testo il breve scambio di messaggi intercorso tra il poeta e l’artista negli anni della vecchiezza d’entrambi. Il 12 maggio 1930 d’Annunzio, che sta raccogliendo le schede mentali e materiali del Libro segreto, rammenta all’«Immemore» – vergato sul dorso della busta – il tempo in cui s’era accarezzato il sogno di un’opera comune (M.7.6.15, DFL, pp. 107-110): 

O Marianaccio, / non ti vergogni di avere abbandonato e dimenticato il tuo fedele compagno d’arte? / Dove potrò io venire a infliggerti il castigo che meriti? / Eppure ti ho tanto amato e ammirato, come tu mi amasti – nel primo tempo degli Orfei. / Ti abbraccio con forza strangolatrice. / Il tuo pur sempre / Gabriele d’Annunzio. 

Concisa, ma commossa, la sollecita («15 Maggio 30») risposta  che Fortuny invierà da Milano (AGV, Fortuny Mariano; DFL, pp. 107-110), né è un caso che per essa egli utilizzi la carta dell’hotel, sopra la cui denominazione («Majestic / Hôtel Diana») spicca l’immagine d’un nido da cui si diparte una ghirlanda fiorita racchiudente la scritta «Uniti»: 

Caro Gabriele / La tua lettera feroce mi fa grandissimo piacere! e sono molto grato! / Non sono “immemore” ma semplicemente “silenzioso” / Con affetto e riconoscenza / tuo / Mariano Fortuny.

Archivio Generale del Vittoriale, VI, 3, cartella “Fortuny Mariano”.

 

Bibliografia essenziale

Bibliografia primaria

[AGV] Archivio Generale del Vittoriale, VI, 3, cartella Mariano Fortuny:
– telegramma di Mariano Fortuny a Gabriele d’Annunzio [da Venezia ad Arcachon, 23 agosto 1912];
– telegramma di Cecilia de Madrazo a Gabriele d’Annunzio[da Venezia ad Arcachon, 26 agosto 1912];
– biglietto di Mariano Fortuny a Gabriele d’Annunzio [s.l., ma Milano, 15 maggio 1930].

Fondo Mariutti Fortuny, Biblioteca Nazionale Marciana, M.7.6 ([M.7.6.1] M.7.6.2-M.7.6.16):
– In ordine di comparsa, le lettere di d’Annunzio citate: M.7.6.7, M.7.6.11, M.7.6.8-M.7.6.9, M.7.6.2, M.7.6.12, M.7.6.4, M.7.6.3, M.7.6.10, M.7.6.14, M.7.6.6, M.7.6.13, M.7.6.16, M.7.6.15;
– M.7.1.4 [Ugo Ojetti a Mariano Fortuny, San Giacomo di Spoleto, 22 ottobre 1901].

Inventario del Fondo Mariutty Fortuny, a cura di Marcello Brusegan, Biblioteca Nazionale Marciana, Cat. Mss. Marc. 32.  

[AMF] Archivio Museo Fortuny, MFQ002, Projet della Société civile d’études pour l’application du dispositif Théâtre Fortuny dit “Théâtre de Fêtes” f. 28 / cc. 1-9. 

[TT] D’Annunzio, Gabriele, Taccuini, a cura di Enrica Bianchetti, Roberto Forcella, Milano, Mondadori, 1965. 

[ATT] D’Annunzio, Gabriele, Altri taccuini, a cura di Enrica Bianchetti, Milano, Mondadori, 1976.

[DFL] D’Annunzio, Gabriele, D’Annunzio e Fortuny. Lettere veneziane (1901-1930), a cura di Maria Rosa Giacon, Lanciano, Carabba, 2017.

[LDC] D’Annunzio, Gabriele, Lettere ad Angelo Conti: Carteggio col «Dottor Mistico» – Con una Notizia di Ermindo Campana, «Nuova Antologia», 1939, CDI, 1603, pp. 10-32.

[PR] D’Annunzio, Gabriele, Forse che sì forse che no, in Ead, Prose di romanzi, a cura di Annamaria Andreoli, Niva Lorenzini. Introduzione di Ezio Raimondi, Milano, Mondadori, 1988-1989, I-II, II.

[SG] D’Annunzio, Gabriele, Nella Vita e nell’ArteLa Rinascenza della Tragedia, «La Tribuna», 2 agosto 1897, in Id., Scritti giornalistici, a cura di Annamaria Andreoli, Milano, Mondadori, 1996, I (1882-1888, testi raccolti e trascritti da Federico Roncoroni) e 2003, II (1889-1938 testi raccolti e trascritti da Giorgio Zanetti), II, pp. 262-265.

 

Bibliografia secondaria

1. Link di maggiore interesse sul Museo di Palazzo Pesaro degli Orfei

https://fortuny.visitmuve.it/it/il-museo/percorsi-e-collezioni/casa-museo/

https://fortuny.visitmuve.it/it/mostre/archivio-mostre/i-fortuny-una-storia-di- famiglia/2019/03/18040/mostra-3

https://www.doppiozero.com/il-rumore-del-genio-mariano-fortuny

 

2. Volumi collettanei 

Fortuny e Wagner. Il wagnerismo nelle arti visive in Italia, catalogo della Mostra di Palazzo Fortuny, Venezia 8 dicembre 2012-8 aprile 2013, a cura di Paolo Bolpagni, Milano, Skira, 2012.
Fortuny, el mago de Venecia, catalogo della Mostra, La Pedrera de Caixa Catalunya, 1° marzo-27 giugno 2010, coordinazione e documentazione di Sergi Plans, traduzioni di Benvenuta Govoni, Marta Pérez, Barcelona, Fundació Caixa Catalunya, 2010.
Gabriele D’Annunzio: grandezza e delirio nell’industria dello spettacolo, Atti del Convegno Internazionale, Torino, 21-23 marzo 1988, Centro Regionale Universitario per il Teatro del Piemonte, Genova, Costa & Nolan, 1989.
I Fortuny. Una storia di famiglia / catalogo della Mostra, Venezia, Palazzo Fortuny, 11 maggio-13 novembre 2019, a cura di Daniela Ferretti con Cristina Da Roit, in collaborazione con Axel & May Vervoordt Foundation, Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, 2019.
La scena di Mariano Fortuny, Atti del Convegno Internazionale di Studi Padova-Venezia, 21-23 novembre 2013, a cura di Maria Ida Biggi, Claudio Franzini, Cristina Grazioli, Marzia Maino, Roma, Bulzoni, 2016.
L’immagine tra materiale e virtuale: contributi in onore di Silvia Bordini, Atti della giornata di Studi, Roma, Università La Sapienza, 22 maggio 2012, a cura di Francesca Gallo, Claudio Zambianchi, Roma, Campisano, 2013.
L’occhio di Fortuny: panorami, ritratti e altre visioni, catalogo della Mostra, Venezia, 17 settembre 2005-2 luglio 2006, a cura di Claudio Franzini, Silvio Fuso, Presentazione di Giandomenico Romanelli, Venezia, Marsilio, 2006.
Mariano Fortuny y Madrazo. De Granada a Venecia, catalogo della Mostra, Centro Cultural Caja Granada, 3 dicembre 2021-marzo 2022, coordinazione di  María del Mar Villafranca, supervisione di Lucina Llorente Llorente (Madrid, Museo del Traje), Cristina da Roit (Venezia, Museo Fortuny), Granada, 2022.
Mariano Fortuny, catalogo della Mostra di Palazzo Fortuny, Venezia, 11 dicembre 1999-2 luglio 2000, a cura di Maurizio Barberis, Claudio Franzini, Silvio Fuso, Marco Tosa, Introduzione di Silvio Fuso, Venezia, Marsilio, 1999.
Museo Fortuny a Palazzo Pesaro degli Orfei, Venezia, a cura di Claudio Franzini, Giandomenico Romanelli, Pascaline Vatin, Milano, Skira, 2008.
Seta & Oro. La collezione tessile di Mariano Fortuny, catalogo della Mostra, Venezia, Libreria Sansoviniana, 16 novembre 1997-24 febbraio 1998, a cura di Doretta Davanzo Poli, Venezia, Arsenale Editrice, 1997.
Venezia per d’Annunzio. Percorsi tra le arti, la storia, la scrittura, Atti del Convegno, Venezia, 4-5 novembre 2013, «Archivio d’Annunzio», 2015, 2.

2.1. Contributi specifici 

Barberis,Maurizio, La luce di Fortuny, in Mariano Fortuny, pp. 41-48.
Bosisio, Paolo, Gabriele d’Annunzio: la regia teatrale e l’allestimento scenico, in Gabriele D’Annunzio: grandezza e delirio, pp. 141-170.
Brusegan, Marcello, Il Fondo Mariutti Fortuny della Biblioteca Nazionale Marciana, in Seta & Oro, pp. 189-202.
Caloi, Ilaria, Gli scialli Knossos. Ispirazione minoica e fascino orientale, in I Fortuny, pp. 487-491.
Da Roit, Cristina, L’arte del tessuto stampato, in I Fortuny, pp. 455-458.
Dal Canton, Giuseppina, Fortuny alle Biennali di Venezia fra realismo, simbolismo ed eclettismo, in La scena di Mariano Fortuny, pp. 137-151.
Favia, Roberta, Carte dannunziane a Venezia: il noto e l’inedito, in Venezia per d’Annunzio, pp. 207-231.
Franzini, Claudio, Il figlio del pittore in un salone veneziano. Biografia di Mariano Fortuny y Madrazo, in I Fortuny, pp. 33-51.
Franzini, Claudio, L’«opus magnum» di un hidalgo veneziano. Biografia di Mariano Fortuny y Madrazo, in Mariano Fortuny, pp. 49-71.
Franzini, Claudio, Mariano Fortuny Madrazo. Le narrazioni della bellezza, in La scena di Mariano Fortuny, pp. 25-38.
Fuso, Silvio, Introduzione a Mariano Fortuny, pp. 13-17.
Fuso, Silvio, Una singolare visione. Arte tra fotografia e teatro, in L’occhio di Fortuny, pp. 10-13.
Isgrò, Giovanni, La mancata collaborazione D’Annunzio/Fortuny, in La scena di Mariano Fortuny, pp. 179-196.
Maino, Marzia, Fonti di formazione, teoria e prassi nella poetica teatrale di Mariano Fortuny, in La scena di Mariano Fortuny, pp. 69-87.
Rinaldi, Simona, Le tempere veneziane di Mariano Fortuny, in L’immagine tra materiale e virtuale, pp. 19-32.
Romanelli, Giandomenico, Mariano Fortuny (tra Ruskin e Proust), in Mariano Fortuny, pp. 19-23.
Sdegno, Alberto, Una tecnica per la poesia, in L’occhio di Fortuny, pp. 14-17.
Tosa, Marco, Mariano Fortuny y Madrazo: l’arte della ricerca, in Mariano Fortuny, pp. 31-39.

3. Contributi singoli 

Antona-Traversi, Camillo, I libri che Gabriele d’Annunzio pensò e non scrisse, «Nuova Antologia», 1929, CCLXIV, 1369-1370, pp. 279-293, 409-428.
Antona-Traversi, Camillo, Vita di Gabriele d’Annunzio, Firenze, Vallecchi, 1933, I-II, II.
Antongini, Tom, Vita segreta di Gabriele d’Annunzio, Milano, Mondadori, 1938.
Barrail i Alter, Xavier, Fortuny à Venise, Venezia, Linead’acqua, 2016.
Byatt, Antonia Susan, Pavone e Rampicante. Vita e arte di Mariano Fortuny e William Morris, traduzione italiana di Anna Nadotti, Fausto Galuzzi, Torino, Einaudi, 2017 [Peacock & Vine: Fortuny and Morris in Life and at Work, London, Chatto & Windus, 2016].
Chiara, Piero, Vita di Gabriele d’Annunzio, Milano, Mondadori, 1981.
Conti Angelo, Mariano Fortuny, «Il Marzocco», III, 6 febbraio 1898, 2-3.
Conti, Angelo, La musica della pittura. Giovanni Bellini e Giorgione, in Ead, Giorgione, a cura di Ricciarda Ricorda, Novi Ligure, Città del silenzio, 2007, pp. 87-99 [già Firenze, Alinari, 1894].
Damerini, Gino, D’Annunzio e Venezia, Milano, Mondadori, 1943.
Damerini, Gino, Ricordi. Otto lettere del Poeta a Mariano Fortuny per la «Francesca da Rimini», «Quaderni dannunziani», 1958, XII-XIII, pp. 174-180.
Gallo Omero Giannino, Gabriele d’Annunzio nelle rivelazioni di vecchie lettere inedite, «L’Illustrazione Italiana», 6 aprile 1941, 14, p. 496.
Gallo, Omero Giannino, Lettere di d’Annunzio a Mariano Fortuny y Madraso [Madrazo], «La Nazione», 10 dicembre 1936.
Giacon, Maria Rosa, I voli dell’Arcangelo. Studi su d’Annunzio, Venezia ed altro, Piombino (LI), Il Foglio, 2008, pp. 145-154.
Gibellini, Pietro, L’archeologia linguistica della «Ville morte» [1976], in Ead, Logos e mythos. Studi su Gabriele d’Annunzio, Firenze, Olschki, 1985, pp. 241-250.
Isgrò, Giovanni, La nuova messinscena del teatro novecentesco nell’epistolario di D’Annunzio, «Dialoghi Mediterranei», 1° gennaio 2020, 41, https://www.istitutoeuroarabo.it.
Lavagnini, Bruno, Alle fonti della Pisanella ovvero D’Annunzio e la Grecia moderna, Palermo, Palumbo, 1942.
Ligon Smith, Wendy, Fortuny: Time, Space, Light, New Haven-London, Yale University Press, 2022.
Maino, Marzia, Con gli occhi della luce: fonti di formazione, teoria e prassi nella poetica teatrale di Mariano Fortuny, Padova, Cleup, 2014.
Masci, Filippo (a cura di), La vita e le opere di Gabriele d’Annunzio In un indice cronologico analitico (1863-1949), Roma, Alere Flammam, 1950.
Osma, Guillermo, Mariano Fortuny: his life and work, London, Aurum Press, 1980.
Palmerio, Benigno, Con d’Annunzio alla Capponcina, Firenze, Vallecchi, 1938.
Stefani, Giuseppe, D’Annunzio e gli irredenti, «Nuova Antologia», 1939, 1619, pp. 3-32.
Stocchiero, Sebastiano, Vicenza e D’Annunzio. Cronache d’arte e di gloria pubblicate sotto gli auspici del Comune di Vicenza, Vicenza, Officina Tipografica Vicentina, 1939, XVII.
Tazartes, Maurizia, La casa delle meraviglie a Venezia, Giunti «Arte dossier», 2022, 400, pp. 59-63.
Toscano, Anna, Museo Fortuny, il più blasonato dei Musei Civici / Il rumore del genio, Mariano Fortuny, «Doppiozero», 2 gennaio 2017 (https://www.doppiozero.com/il-rumore-del-genio-mariano-fortuny).
Valentini, Valentina, La tragedia moderna e mediterranea. Sul teatro di Gabriele d’Annunzio, Milano, Franco Angeli,  1992.

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