di Adriana Vignazia, Enciclopedia dannunziana
Gabriele d’Annunzio e Karl Gustav Vollmoeller
Archeologo, poeta, drammaturgo, sperimentatore di nuove forme di spettacolo e scopritore di nuovi talenti, Karl Gustav Vollmoeller (1878-1948) è ancor poco studiato sebbene abbia avuto un ruolo determinante come sceneggiatore del film Der Blaue Engel [The blue angel], che rese famosa Marlene Dietrich nel 1930, e abbia contribuito alla scoperta di Josephine Baker. In gioventù Vollmoeller fu influenzato da D’Annunzio in alcune scelte di vita ed estetiche; con lui condivise la passione per il teatro, l’arte classica, i motori, la curiosità verso un medium moderno come il cinema e uno stile di vita molto dispendioso.
Nato in una numerosa e ricca famiglia protestante di industriali tessili di Stoccarda, sensibili ai problemi sociali creati dall’industrializzazione (Tunnat 2008a, pp. 22-24), Karl Gustav aveva ricevuto un’educazione molto concreta e nello stesso tempo raffinata ed elitaria: dal padre, commerciante e poi industriale di successo, aveva imparato a trattare con rigore e ostinatezza gli affari; dallo zio Karl Vollmoeller (1848-1922), medievista, professore di lingue romanze e di inglese, era stato educato agli studi umanistici, mentre il precettore Karl Bauer (1868-1942), pittore e poeta, aveva coltivato la sua precoce vena poetica. Le relazioni sociali della famiglia l’avevano favorito mettendolo in contatto con le personalità più in vista della cultura europea del tempo. Bauer l’aveva introdotto nel circolo di Stefan George suscitando stupore tra i presenti: «Così Karl Bauer aveva portato il giovane e recalcitrante Karl Gustav Vollmoeller …. un ragazzo biondo, dagli occhi blu, vispo e vivace nell’atteggiamento, nel vestire, nel suo modo di guardare e di parlare» (Wolters 1930, p. 166). George nel 1897, 1899 e 1900 pubblicò sulla rivista «Blätter für die Kunst» poesie e scene dai suoi drammi: Als ein Prolog, Odysseus, Parcival, Herbstphantasie [Fantasia d’autunno], Am Ende [Alla fine], (Blätter 1897, 4 serie, fascicolo 1-2, pp. 39-46), poi il Lied des Fischers [Il canto del pescatore] dal dramma Assues, Fitne und Sumurud (Blätter 1899, 4 serie, fascicolo 5, pp. 137-140) e il IV atto del dramma Catherina Gräfin von Armagnac und ihre beiden Liebhaber [Catherina contessa di Armagnac e i suoi due amanti] (Blätter 1900, 5 serie, fascicolo 1, pp. 65-90), scritti lodati anche da Hugo von Hofmannsthal che riconosceva a Vollmoeller: «la più profonda capacità dello scrivere per il teatro: il percepire e sviluppare la situazione dal cuore dei personaggi» (George-Hofmannstahl 1953, p. 157).
Nel circolo di George e durante i suoi numerosi soggiorni in Italia per motivi di salute, Vollmoeller aveva conosciuto le opere di D’Annunzio, ma la conoscenza personale del poeta avvenne probabilmente nel gennaio 1898 a Parigi, in occasione della prima rappresentazione della Ville morte. Lo spettacolo lo impressionò a tal punto che pochi mesi dopo decise di accompagnare il poeta tedesco Max Dauthendey (1867-1918) in un viaggio in Grecia e al ritorno si iscrisse alla Facoltà di archeologia e filologia classica, partecipando agli scavi diretti dal professor Paul Wolters nei pressi di Tebe e in Turchia. Nel 1901 si laureò con una tesi sulle Tombe greche a camera con letti funebri.
Nello stesso anno D’Annunzio lo invitò ad assistere alla prima rappresentazione della Francesca da Rimini al teatro Costanzi di Roma, il 9 dicembre 1901. Le reazioni del pubblico e i giudizi della critica furono contraddittori sia in Italia (Maiolini 2021, pp. LXXIV-LXXIX) che nei paesi di lingua tedesca: Alfred Kerr pubblicò in data 13 aprile 1902 una sarcastica critica sul quotidiano berlinese «Der Tag» in cui salvava la Duse trovandola moderna ed espressiva, più vicina a se stessa che alla Francesca, ma castigava l’autore. Giudicando banale la conclusione della tragedia dannunziana, Kerr sottolineava la discrepanza tra la pomposa decorazione, le magniloquenti indicazioni sceniche e la povertà dell’azione (Kerr 1998, pp. 132-136). Un altro critico aveva aggiunto alla definizione «poema di sangue e di lussuria» un sarcastico «e di erudizione» descrivendo la prostrazione degli spettatori alla fine delle sei ore di spettacolo (Anonimo 1902, pp. 555-556). In Austria invece Hermann Bahr la giudicava la più bella tragedia dannunziana (Neues Wiener Tagblatt, 2 aprile 1902, p. 1-3). Anche a Vollmoeller la tragedia era piaciuta, vi vedeva paralleli con il suo dramma Catherina Gräfin von Armagnac e propose quindi una traduzione in tedesco.
La proposta cadde in un momento di tensione dei rapporti tra D’Annunzio e il suo editore Fischer che aveva pubblicato, secondo D’Annunzio, traduzioni scadenti in edizioni mediocri, per la Francesca pretendeva quindi una traduzione in versi e un’edizione di lusso. Fischer accettò di farne un libro elegante e illustrato, ma la ricerca del traduttore si rivelò lunga e complessa.
Mentre erano in corso le trattative per la scelta del traduttore, tra D’Annunzio e Vollmoeller s’instaurò un legame di amicizia e di condivisione. Attratto dalle scelte estetico-tipografiche dannunziane, Vollmoeller optò per l’uso dei caratteri latini nella stampa dei suoi primi testi, una decisione con valenze polemiche in Germania e seguita anche da Stefan George per la pubblicazione della sua rivista (Hartmann 1998, pp. 26-31, 38). D’Annunzio lo mise in contatto con l’editore Treves che pubblicò in tedesco la raccolta di liriche Parcival-Die frühen Gärten [Parcival – i primi giardini], stampata nelle officine di Treves a Milano in edizione di lusso nel 1902 e edita nel 1903 da Fischer. Dalla lettera del 19 novembre 1902 di D’Annunzio a Vollmoeller risulta che Treves mise a disposizione di Vollmoeller i caratteri tipografici della Francesca da Rimini, l’antiqua del Rinascimento veneziano. Nella lettera non si fa il nome delle opere, però in quel periodo, con i caratteri latini, furono stampate: Catherina Gräfin von Armagnac, Assues Fitne und Sumurud e Der deutsche Graf [Il conte tedesco], drammi cominciati tra il 1896 e il 1898 e pubblicati rispettivamente nel 1903, 1904 e 1906 presso Fischer. I primi due drammi presentano anche la stessa dispendiosa impaginazione della Francesca, mentre il terzo è in formato ridotto. In queste opere, dedicate all’amore e alla fedeltà, sono riscontrabili motivi dannunziani, anche se marginali: Catherina, sposata a un violento e geloso uomo d’arme, ma innamorata del giovane Delfino dall’animo di un poeta, segue l’amante nella morte; Sumurud, che significa Smaragd, nome della fedele schiava di Francesca, ricalca il tipo della donna crudele che asserve gli uomini, mentre Fitne è l’amante fedele fino al sacrificio di sé. Anche il ‘deutscher Graf’ ama e muore per salvare il matrimonio dell’amico.
A inizio 1903 D’Annunzio accettò la proposta di Fischer di affidare a Karl Gustav Vollmoeller, promettente poeta (Fischer 1989, p. 527), la traduzione della Francesca che, iniziata a fine marzo 1903, fu completata nell’autunno.
Il contratto tra Vollmoeller, Fischer e D’Annunzio fu invece firmato il 16 maggio dello stesso anno ed è inusuale perché Vollmoeller, a differenza del traduttore francese George Hérelle (Cimini 2004, pp. 103, 246-247), non era disposto a lavorare per pochi denari. Basato sul principio di parità tra traduttore e autore stabiliva che i proventi della vendita del libro e le percentuali delle rappresentazioni fossero divisi al 50% tra autore e traduttore; a questo andava una garanzia di 1000 marchi per la traduzione, acconto da scalarsi dai guadagni successivi. Per la versione scenica da pubblicarsi sulla rivista della casa editrice «Neue deutsche Rundschau» gli era concessa libertà di scelta e un’ulteriore retribuzione di 100 marchi per ogni foglio di stampa, impresso recto e verso, da dividersi tra autore e traduttore, qualora l’autore non vi avesse rinunciato espressamente.
Durante il lavoro affiorarono piccole divergenze, come per esempio la grafica dei capilettera delle indicazioni sceniche. D’Annunzio conferiva alle scenografie «dignità di oggetto estetico autonomo» (Angioletti 2011, p. 124), il cui simbolismo compensava quanto andava perduto nella rapidità della scena (Hérelle 1984, p. 97). Vollmoeller invece riteneva più importante i dialoghi e lo sconsigliava indicandogli come modello la sua Catherina. Infine Vollmoeller propose a D’Annunzio di far tradurre a George l’ode dedicata alla Duse adducendo come motivo la sua complessità. Dopo il rifiuto di George, al posto della poesia fu posta una xilografia di Adolfo de Carolis (1874-1928), illustratore e scenografo della Francesca nel 1901, con la dedicatoria alla Duse.
La traduzione fu molto lodata perché Vollmoeller aveva saputo trovare una forma congeniale in cui ritmo e suono della lingua tedesca ben si adattavano all’originale. Per il contenuto aveva invece adottato una strategia di adattamento del testo di partenza alla cultura del paese d’arrivo, consistente nella riduzione dei riferimenti storici e culturali che risultavano affaticanti per spettatore e lettore non italiano, nella soppressione dei paratesti privilegiando elementi coreografici e musicali di sicuro effetto, come i canti delle donne di Francesca.
La relazione tra Vollmoeller e D’Annunzio non terminò con la pubblicazione della Francesca. Vollmoeller nel 1903 aveva conosciuto e poi sposato la bellissima Norina Gilli (1880-1957), fiorentina, e aveva fissato una delle sue residenze a Fiesole, per cui avevano occasione di vedersi spesso, anche privatamente, frequentando gli stessi caffè e gruppi intellettuali. Norina, nome d’arte Maria Carmi, si dedicò al teatro recitando e ballando in molte pantomime e film muti, ed ebbe anche il ruolo di Isabella Inghirami nel film Forse che sì, forse che no, girato nel 1920 da Gaston Revel.
La frequentazione di D’Annunzio e della Duse, l’ideale da loro vagheggiato di un teatro della poesia all’aperto in cui grandi masse di spettatori si riunivano per celebrare un rito e una festa popolare, avevano confermato in Vollmoeller l’idea della necessità di una riforma del teatro. Ma mentre D’Annunzio non era disposto a fare nessuna concessione al pubblico, né in termini di comprensibilità, né di durata dello spettacolo, o di realismo delle vicende perché riteneva fosse appunto il pubblico a doversi elevare alla sua poesia, Vollmoeller considerava il teatro dal punto di vista dello spettacolo e del coinvolgimento del pubblico con quanto si svolgeva sulla scena per raggiungere, come nel teatro antico, la catarsi dei sentimenti. Anche l’organizzazione dello spazio nel teatro borghese, con un ristretto pubblico seduto lontano dalla scena, lo faceva riflettere e auspicare una riforma che attirasse anche i ceti sociali non borghesi. Questa attenzione al pubblico e allo spettacolo, insieme alla sua vita mondana e frenetica, lo allontanavano sempre di più da Stefan George che richiedeva agli adepti del suo Cenacolo dedizione assoluta alla poesia e all’arte. La sua concezione del teatro era legata alla parola, all’elemento liturgico, era lettura che poneva l’accento sulla comprensione del testo e non concedeva niente alla tradizione recitativa degli attori; le letture avvenivano di fronte a un pubblico molto ristretto senza alcuna ricerca né di successo, né di guadagno (Merlin 2014, pp. 64-65).
Nella lettera del 22 novembre 1903 a Hofmannsthal, Vollmoeller sintetizza la sua esperienza di poeta, la lunga gestazione dei suoi primi drammi, anticipando la sua futura attività di drammaturgo, sperimentatore di nuove forme di spettacolo e scopritore di talenti:
Che io non abbia cominciato a scrivere drammi all’improvviso, a ventidue anni, Lei lo crederà. Oltre alle poesie nei “Blätter” rimuginavo drammi con coro e musica, la lirica ogni tanto spuntava e poi spariva. Da due anni non ho più fatto una poesia. Partendo dall’aspetto architettonico sono arrivato al teatro da creare (in fondo vogliamo tutti crearne uno, non è vero?) Atene, Epidauro, Bayreuth. Su questo c’è molto da dire. Poi capitalista. Anche di questo sarebbe bene parlare una volta. Poi improvvisamente ho capito che tutto è da cercare e da creare nella persona che recita, e più nella parola che nel gesto. […] Bisogna scoprire esseri umani. Tutto il resto si pensa e prepara prima. Bisogna scoprire un uomo o una donna e educarli. Il teatro, gli sfondi, il denaro e il pubblico ci sono già (Vollmoeller-Hofmannsthal 2010, p. 123).
Il riferimento alla poesia, che aveva caratterizzato la sua produzione giovanile, spiega in parte la scelta di non tradurre l’ode alla Duse nella Francesca da Rimini e in seguito la collaborazione con Binding e Schneeli nella traduzione dei drammi in versi. La proposta di far tradurre l’ode a George può essere letta come tentativo di coinvolgere il Maestro nella nuova avventura, ma il sopracitato approccio ‘capitalistico’ irritava George che, deluso dal pessimo uso che secondo lui faceva Vollmoeller delle sue straordinarie doti di poeta e scrittore, a metà marzo 1904 si sfogò sarcastico con Hofmannsthal condannando «la massima ricercatezza stilistica [di Vollmoeller] che vuole trarre subito burro dalla via lattea adattandola ai diversi bisogni del mercato» (George-Hofmannsthal 1953, p. 213). Molti anni più tardi, nel 1942, Vollmoeller onorerà la memoria del suo primo maestro dedicandogli una lunga poesia dal titolo Praeceptor Germaniae, scritta durante i mesi del duro internamento americano (Bergstraesser 1957, pp. 21-27).
Ma l’approccio ‘capitalistico’ e la volontà di riformare il teatro portarono inevitabilmente Vollmoeller a collaborare con Max Reinhardt, il regista più innovativo nell’area tedesca. Max Reinhardt (1873-1943) insieme al fratello Edmund a fine 1905 acquistò il Deutsches Theater gestendolo come un’impresa privata, senza sovvenzioni pubbliche, con uso di pubblicità, investimenti finanziari, sostegno di giornali e riviste (Balme 2005, pp. 41-49). Si era così conquistata la libertà di sperimentare nuove forme di spettacolo, con nuove messinscena e innovazioni tecniche quali la scena girevole, un uso nuovo della luce, della musica, della danza e degli odori. Una concezione del teatro vicina all’industria dello spettacolo, condivisa da Vollmoeller diventato suo collaboratore, ed è frutto del suo lungo lavoro di persuasione (Tunnat 2008a, p. 152) se Reinhardt aveva accettato di rappresentare le tragedie greche in un circo, versione moderna del teatro antico, dove la partecipazione di un gran numero di comparse e di spettatori permetteva la realizzazione di uno spettacolo simile alle feste popolari, con nuovi rapporti tra scena e pubblico (Fischer-Lichte 2005, pp. 13-27). Per questo tipo di spettacolo Reinhardt aveva bisogno di opere nuove, di traduzioni moderne delle tragedie greche e di pantomime. Per lui Vollmoeller tradusse l’Antigone e l’Orestea, compose un mistero in forma di pantomima Das Mirakel, messo in scena a fine 1911 con musiche di Engelbert Humperdick. Secondo Vollmoeller i drammi dannunziani ben s’adattavano alla nuova forma di spettacolo.
La Nave, la Fedra e Forse che sì, forse che no
In questa prospettiva è da vedersi la ripresa delle traduzioni in tedesco di D’Annunzio tra il 1908 e il 1912, un periodo molto intenso per Vollmoeller, impegnato in messinscene e traduzioni per Reinhardt, in rally automobilistici promozionali per i propri motori – era co-proprietario della fabbrica italiana di motori Züst – e nella costruzione di prototipi di aerei; e spesso ricoverato al sanatorio di Davos insieme alla moglie.
La spinta iniziale venne da Rudolf von Binding che durante un suo soggiorno fiorentino aveva conosciuto D’Annunzio e tradotto La morte del cervo e La resurrezione del centauro, e nel suo entusiasmo dannunziano aveva cominciato a tradurre anche La Nave proponendola a diversi teatri. Entrando in contatto con il Deutsches Theater, cui interessava di più la Fedra, Binding animò Vollmoeller che si era a sua volta interessato alla Fedra e, più esperto e pragmatico di lui, prese contatto con diversi editori, tra cui l’Insel Verlag proponendosi come rappresentante degli interessi di D’Annunzio in Germania. Una decisione da vedersi sia nella prospettiva di una prassi allora in uso, ossia del traduttore che trattava con autore e editore (Mendelssohn 1970, pp. 75-76), sia delle possibili rappresentazioni di Reinhardt, sia delle brutte traduzioni edite da Fischer che Vollmoeller voleva evitare. Tra aprile e agosto egli condusse a ritmo serrato le trattative consultandosi con D’Annunzio:
Le trattative che conducevo finora con editori e giornali sono a tal punto che urge una conclusione. L’unico editore che si dimostra veramente pronto a qualche rischio è l’Inselverlag di Lipsia, come gusto e modernità forse il primo della Germania. Fischer non si muove. Langen è morto. (Morì di fatto 4 settimane fa). Vorrei adesso sottoporle l’abbozzo di un contratto come lo propone l’Inselverlag (Lettera di Vollmoeller a D’Annunzio, 29 maggio 1909, in Vignazia 1995).
Ed infine stipulò un contratto con la casa editrice Insel in cui gli veniva riconosciuto questo ruolo, insieme al diritto di prestampa del romanzo Forse che sì, forse che no e dei drammi La Nave e la Fedra; si prevedeva l’intervento di un altro traduttore e il diritto per l’editore e il traduttore di esercitare anche separatamente l’opzione sulle opere di D’Annunzio già pubblicate in Italia. Per il trattamento economico si segue il modello di Fischer, ossia la divisione al 50% dei proventi e una garanzia per il lavoro del traduttore.
Anton Kippenberg, allora direttore del Verlag Insel, aiutò Binding nelle trattative includendo La Nave nel contratto e Vollmoeller, molto pragmatico e pieno di lavoro, decise di controllarne la traduzione. Trovandola ‘usabile’ propose una collaborazione, per cui superate le iniziali diffidenze, i due uomini cominciarono a lavorare insieme e con vantaggio reciproco prima alla traduzione della Nave, poi a quella della Fedra, considerata debole da Binding, ma interessante per le possibilità della messinscena da Vollmoeller. Per Binding si trattava di collaborare con una persona più esperta nel lavoro di traduzione e ben inserita nel mondo editoriale e dello spettacolo, per Vollmoeller era d’aiuto dividere lavoro e utili con una persona di talento, soprattutto dopo l’esperienza della Francesca, descritta nella sopracitata lettera del 22 novembre 1903 a Hofmannsthal come segue: «Peccato che il nostro amico D’Annunzio non immagini e non sappia quanto lavoro ci abbia investito. Sono stati mesi duri» (Vollmoeller-Hofmannsthal 2010, pp. 124-125). Lo stile di vita frenetico di quel periodo era poco confacente alla poesia e l’esperienza di vita familiare, insieme a 8 tra fratelli e sorelle in una casa simile a un porto di mare, rendevano gradito e ovvio per Vollmoeller il lavoro condiviso, favorito da un suo tratto caratteriale di aiutare le persone «da dietro le quinte» (Tunnat 2008a, pp. 368-375), o nelle parole di Ruth Landshoff-Yorck, nipote di Fischer e compagna: «Essere amico è stato… uno dei suoi principali compiti» (cit. in Buohler 2010, p. 108). A D’Annunzio presentò il lavoro comune come nato dalle circostanze e chiese la sua approvazione; più tardi D’Annunzio gliene farà un velato rimprovero nella lettera del 23 novembre 1910.
Per sé Vollmoeller riservò la traduzione del Forse che sì, forse che no. Nel romanzo confluisce la passione di D’Annunzio per il volo, condivisa da Vollmoeller che insieme al fratello Hans si era dedicato alla costruzione di prototipi di aereo, aveva preso il brevetto da pilota e insieme a D’Annunzio nel 1909 aveva assistito a Brescia alla gara di volo descritta nel romanzo. La sua stesura e la traduzione avvennero in condizioni estreme: D’Annunzio aveva iniziato a scriverlo nell’autunno 1909 e lo voleva pubblicato contemporaneamente in Italia, Francia e Germania. Vollmoeller traduceva man mano che riceveva le bozze corrette dall’autore, le ultime gli furono consegnate a Davos; nel giugno 1910 erano pronte le bozze in tedesco. Per ricavarne il massimo possibile come promesso a D’Annunzio, in quel periodo assediato dai creditori, Vollmoeller aveva pensato di pubblicare il romanzo a puntate e in contemporanea su riviste e giornali diversi, nel caso migliore sulla «Neue Freie Presse» di Vienna e sul «Berliner Tagblatt». Giornali e riviste però, avendo già programmato le pubblicazioni del 1910, avrebbero potuto iniziare con la stampa solo nel gennaio 1911 mentre Kippenberg voleva pubblicarlo nell’autunno 1910 per sfruttare il mercato natalizio e stimolare all’acquisto dei drammi. Binding consigliava di non attendere essendo la tematica aviatoria elaborata letterariamente una novità assoluta e il protagonista, Paolo Tarsis, un eroe moderno che non perdeva le sue energie in considerazioni estetiche, psicologiche o filosofiche, ma le convogliava nella tecnica, nei motori, nell’efficienza. L’ebrezza della velocità era la nuova componente che si mescolava ai sentimenti anticipando l’estetica futurista. Perciò il 20 luglio Vollmoeller, elencando a D’Annunzio tutti i tentativi intrapresi per la pubblicazione a puntate dell’opera intera, o anche solo di singole scene presso 15 periodici, tedeschi e austriaci, che oltre ai problemi di organizzazione avevano manifestato dubbi di carattere morale, consigliò di accettare il compromesso offerto dalla casa editrice di garantire il pagamento di 9 edizioni del romanzo invece di 6. Il 13 settembre il libro era pronto. Vollmoeller operò una piccola modifica al contratto per essere risarcito dalla perdita degli introiti della prestampa, senza però informare sufficientemente D’Annunzio. Prima di ripartire per Davos, cercò ancora giornali e riviste disposte a pubblicare una recensione dettagliata del romanzo, e trovò il «Berliner Tagblatt» e la «Frankfurter Zeitung». A novembre la vendita del romanzo si profilava bene, però per pareggiare le spese affrontate dalla casa editrice avrebbe dovuto superare le 10.000 copie vendute; nel 1913 le edizioni erano già 13, ossia 13.000 copie.
L’esperienza aviatoria e la traduzione del romanzo stimolarono Vollmoeller alla redazione della poesia Volare necesse est (Vollmoeller 1960, pp. 7-11), un inno al progresso tecnico che realizza il sogno umano del volo, poesia definita da Hofmannsthal «meravigliosa» (Vollmoeller-Hofmannsthal 2010, p. 129), e del dramma Wieland. Märchen in drei Akten [Wieland. Favola in tre atti], ispirato a un’opera wagneriana incompiuta, basata sulla saga germanica del fabbro Wieland, abile costruttore di armi cui il re aveva fatto tagliare i tendini del ginocchio per impedirgli la fuga. Nel testo, iniziato nel 1909 e pubblicato da Insel nel 1911, Vollmoeller coniuga alla saga del fabbro motivi moderni quali la costruzione di un aereo e la critica alla spregiudicatezza di giornalisti, editori e speculatori. Pochi e superficiali i punti di contatto con il romanzo di D’Annunzio: il sorvolo del canale della Manica (invece del Mar Tirreno), un legame quasi incestuoso tra fratelli, un protagonista concupito dalle donne e privo di scrupoli nei loro riguardi, la folla che assiste al volo. Il dramma, messo in scena da Reinhardt, fallì clamorosamente, ma del libro si ebbero già due edizioni nel 1911.
Nelle pause della traduzione del romanzo Vollmoeller, in quel periodo spesso allettato, cercava di preparare più opere di D’Annunzio nella convinzione che sarebbero state presto messe in scena da Reinhardt. Propose a Kippenberg di pubblicare La Figlia di Jorio, un dramma che aveva riscosso molto successo in Italia, e Più che l’amore, una tragedia moderna in prosa del 1906, fallita alla sua prima rappresentazione. L’editore accettò a malincuore la pubblicazione di quest’ultima e nel maggio 1910 si stese un contratto che infrangeva però la regola della parità prevedendo per il traduttore due edizioni garantite, pari a 700 marchi, e a D’Annunzio una sola, pari a 350. Il contratto non piacque a D’Annunzio che lo firmò solo nel mese di luglio, quando un fratello di Vollmoeller, sempre malato a Davos, si recò di persona a Parigi per la firma. A chiarimento del suo agire il 9 luglio Vollmoeller scrisse a D’Annunzio due lettere che forse non vennero mai spedite, non trovandosi nell’archivio del Vittoriale, ma solo nell’archivio di famiglia, ora a Marbach. Nella prima, in un tono un po’ brusco, Vollmoeller espone il suo modo di concepire il lavoro di traduzione e la funzione di promotore delle opere di D’Annunzio in Germania: al primo doveva andare almeno una garanzia per il lavoro fatto, spesso non semplice, da detrarsi dalle percentuali dell’effettivo profitto, sempre divise tra autore e traduttore. Nella seconda, dal tono più conciliante, Vollmoeller spiega che il lavoro del traduttore è doppio e consiste nella traduzione e revisione dell’opera per adattarla alla scena, perché si potevano avere guadagni dalla vendita dei drammi in forma di libro solo dopo 20 recite del dramma stesso; da qui la richiesta della garanzia di due edizioni per il traduttore. Rimettendo a D’Annunzio la decisione di ritirarsi dal contratto si rammaricava di non potergli parlare di persona perché condannato al letto. Questo antecedente, legato anche alla difficoltà di incontrarsi e parlarsi di persona, spiega quanto avvenne con la traduzione de Le Martyre de Saint Sébastien.
Le Martyre de Saint Sébastien
Il mistero in versi francesi fu rappresentato per la prima volta il 21 maggio 1911 al teatro Châtelet di Parigi con musiche di Debussy e con la ballerina Ida Rubinstein (1885-1960) nel ruolo del santo. La serata fu un successo, ma secondo Kippenberg, presente alla rappresentazione, dovuto soprattutto alla messinscena, agli attori, alla musica e all’interesse suscitato dalla stampa. Il dramma in sé gli era sembrato molto noioso e quindi rifiutava di pubblicarlo in tedesco. Vollmoeller era invece convinto che il dramma avrebbe potuto avere successo se rappresentato da Reinhardt in un circo, con grande afflusso di spettatori. L’esperienza positiva della messinscena dell’Orestea e in seguito quella della sua pantomima Das Mirakel, messa in scena a fine 1911, lo rassicuravano. I punti di contatto tra questa e il Martyre gli sembravano evidenti: entrambi ambientati nel Medioevo, facevano appello ai sentimenti cristiani del pubblico, richiedevano la partecipazione di un grande numero di comparse e la musica vi giocava un ruolo non indifferente. Per Vollmoeller la tematica del miracolo, e più generalmente religiosa, era una costante basata su esperienze di vita: nel 1911 compose la pantomima, trasformata in film nel 1912; nel 1927 pubblicò una raccolta di novelle di chiaro stampo sincretistico Sieben Wunder der Heiligen Jungfrau Maria [Sette miracoli della santa Vergine Maria] diventata Acht Wunder der Heiligen Jungfrau Maria [Otto miracoli della santa Vergine Maria] nell’anno successivo ed infine nel romanzo The last Miracle, redatto negli USA e pubblicato postumo nel 1949, da cui avrebbe voluto trarre un film (Tunnat 2008a, p. 539).
Perciò dopo il rifiuto di Kippenberg, Vollmoeller propose il Martyre a Fischer, che accettò; a fine giugno 1911 si stipulò un contratto che come al solito prevedeva una garanzia di pagamento per il traduttore, da scalarsi dalle percentuali dello spettacolo, divise al 50% tra autore e traduttore.
Quando in luglio Gustav Schneeli (1872-1944), pittore, storico dell’arte e diplomatico, si rivolse a lui per la traduzione del Martyre, Vollmoeller impegnato con la messinscena delle sue opere e le tournée insieme a Reinhardt, pensò di ripetere l’esperienza fatta con Binding. Verificate le capacità di Schneeli, che voleva farne una traduzione in versi, a fine agosto 1911 i due uomini lavorarono insieme a una prima revisione della traduzione. Dal loro carteggio risulta la discussione su alcuni problemi di traduzione, e la richiesta di Schneeli a Vollmoeller di essere messo in contatto con il mondo editoriale e dello spettacolo. Nell’ottobre si presentò l’occasione di informare D’Annunzio sulla traduzione del Martyre in collaborazione con Schneeli: per i 25 anni della sua casa editrice Fischer pubblicò un catalogo in cui compariva una scena del Martyre e, d’accordo con Vollmoeller, spedì a D’Annunzio la metà del compenso e l’altra metà a Schneeli. Alla richiesta di spiegazione di D’Annunzio, Vollmoeller rispose il 13 dicembre 1911 da Londra presentando la traduzione come già fatta da Schneeli e giacente presso Fischer, la mancanza di tempo per il molto lavoro e la recente morte del padre, che lo obbligava a assumersi più responsabilità nel consiglio di amministrazione dell’impresa familiare, sarebbero state la causa degli scarsi contatti. Lodando il lavoro di Schneeli e ricordando a D’Annunzio tutti i suoi tentativi di metterlo in contatto con Reinhardt lo invitò a Londra ad assistere alle prove dei suoi drammi. Vedere Reinhardt al lavoro, il contatto personale e la discussione avrebbero fatto il resto. Dalla lettera traspare un velato rimprovero al vivere ritirato di D’Annunzio ad Arcachon e al suo scarso interesse per quanto succedeva sulle scene del tempo. Intanto del lavoro consegnato a Fischer a fine dicembre non venivano preparate le bozze mancando ancora la firma di D’Annunzio al contratto; Schneeli era irrequieto e non ne comprendeva la ragione.
A inizio 1912 l’intervento personale del conte Harry Kessler (1868-1937), scrittore, mecenate e diplomatico, presente alla prima del Martyre, sembrò favorire la messinscena di alcune opere dannunziane da parte di Reinhardt. Il conte, colpito dalla recita della Rubinstein, intendeva farle avere il ruolo di Fedra. A fine maggio 1912 Vollmoeller e il conte Kessler riuscirono a far conoscere personalmente D’Annunzio e Reinhardt, e in seguito D’Annunzio e Schneeli, che a sua volta organizzò un incontro tra D’Annunzio, Reinhardt e l’attore Alexander Moissi, probabile interprete del ruolo del santo in tedesco. In giugno Schneeli e Vollmoeller prepararono una versione scenica del Martyre e della Phädra.
Il problema restava il contratto, e qui è difficile dipanare le fila di quanto può essere veramente avvenuto perché dalle lettere e telegrammi rimasti le informazioni sono contraddittorie. Un problema era sicuramente rappresentato dalla garanzia che Vollmoeller chiedeva per il lavoro di traduzione, adattamento scenico e pubblicità dell’opera, garanzia prevista per il solo traduttore/traduttori. Nell’agosto 1912 Vollmoeller, trovandosi per un tempo più lungo in Francia, riuscì a farselo firmare: forse a D’Annunzio in quel momento Vollmoeller sembrava la persona più adatta a realizzare i progetti discussi con Reinhardt in giugno, tra cui una traduzione dell’Edipo e la scrittura di una pantomima. Della firma Schneeli non era stato informato. Il 2 settembre si viene a sapere da una lettera di Schneeli a D’Annunzio che tra Vollmoeller e Fischer era nata una brouille e il 4 ottobre che Vollmoeller gli aveva consigliato di ritirare la traduzione e rivolgersi all’editore Erich Reiss di Berlino, amico intimo di Reinhardt e direttore di una casa editrice che pubblicava edizioni molto accurate. Senza metterne al corrente Vollmoeller, Schneeli firmò con Reiss un contratto che prevedeva una garanzia di 900 marchi da dividersi tra autore 50% e traduttori (25+25%), accusando Vollmoeller di voler sfruttare il lavoro dell’autore (Lettera del 13 ottobre 1912 a D’Annunzio). D’Annunzio accettò il contratto confermando con un telegramma la sua approvazione. Vollmoeller si trovò esautorato da ogni funzione, senza aver avuto la possibilità di sciogliere il contratto precedente con Fischer; spiegazioni da D’Annunzio non riuscì ad averne, né a incontrarlo a Parigi (Vollmoeller a D’Annunzio, telegrammi del 22 e del 27 ottobre 1912) perciò a inizio novembre tornò a Londra per continuare i suoi lavori, ossia la trasformazione in film della pantomima Mirakel, la cui prima si ebbe a Vienna alla presenza dei membri del congresso mondiale eucaristico. Il film The miracle fu presentato poi a Londra in dicembre; e sempre a Londra, a inizio novembre c’era stata la prima del suo dramma A Venetian Night.
La scelta, anche se comprensibile per il comportamento non sempre lineare di Vollmoeller e per gli alti costi del suo lavoro, rivela la scarsa comprensione del ruolo da questi rivestito nella complessa organizzazione degli spettacoli della compagnia di Reinhardt. Ed ebbe conseguenze fatali, perché quando in novembre il conte Kessler raggiunse Vollmoeller a Londra per discutere il finanziamento e la messinscena della Fedra e del Martyre, venne a sapere con sorpresa dell’improvviso cambiamento di opinione di Reinhardt.
La situazione tra editori e traduttori si complicò: Schneeli appoggiato da Reiss e dal parere positivo dei suoi avvocati a novembre decise di andare per le vie legali, Vollmoeller più pragmatico si ritirò dal processo. Fischer invece, avendo un contratto firmato, non cedette. Il processo si concluse nel febbraio 1913; l’opera fu pubblicata da Reiss a fine 1913, ma non venne mai messa in scena in Germania. Il processo suscitò un’eco negativa nel mondo dello spettacolo, ma soprattutto vanificò l’occasione della messinscena di alcuni drammi dannunziani da parte di Reinhardt, garanzia di successo e diffusione internazionale di un’opera. Schneeli non si impegnò molto per avere recensioni o una rappresentazione affidandosi piuttosto lavoro dell’editore (Schneeli a D’Annunzio, 14 dicembre 1913, in Vignazia 1995, p. 134). Per inesperienza del mondo dell’editoria si lasciò anche sfuggire la proposta di Georg Müller, successore di A. Langen a Monaco, di diventare l’unico editore di D’Annunzio in Germania allo scadere dei precedenti contratti editoriali. D’Annunzio dopo la guerra non rispose più alle sue lettere, neppure quando gli veniva chiesto dove versare i proventi dalla pubblicazione de La Contemplazione della morte, affidata a Schneeli per la traduzione nel 1912 e pubblicata da Georg Müller nel 1919 (Vignazia 1995, pp. 139-140).
Altri progetti e il dopoguerra
Dopo questo processo i contatti tra Vollmoeller e D’Annunzio divennero più rari, ma non cessarono. Vollmoeller, dietro promessa di vedersi affidata da D’Annunzio la traduzione del prossimo romanzo L’uomo che rubò la Gioconda, ispirato al furto avvenuto al Louvre nel 1911, si era ritirato dal processo e aveva cominciato ad interessare riviste e case editrici per la sua pubblicazione a puntate in contemporanea, e in tre lingue. Accettarono il «Corriere della sera», la «Revue de Paris» e la «Berliner Illustrierte Zeitung», il libro sarebbe uscito presso la casa editrice Ullstein di Berlino. Per cautela il contratto sarebbe stato stipulato non prima della consegna dei primi capitoli, che D’Annunzio non scrisse mai (Vollmoeller a D’Annunzio, febbraio 1914). Ne risultò solo un soggetto cinematografico, pubblicato per la prima volta come feuilleton sul quotidiano parigino «Excelsior» nel 1920 (Alatri 1983, p. 342).
L’ultima traduzione di Vollmoeller, su richiesta di D’Annunzio del 7 febbraio 1914, riguarda le didascalie per il kolossal Cabiria (un film muto ambientato a Cartagine nel III secolo a.C., durante le guerre puniche), pubblicate in un fascicolo a parte da consegnarsi agli spettatori prima dello spettacolo. Il fascicolo, in italiano o in tedesco, fu stampato a Milano presso la società editoriale Bertieri & Vanzetti, conosciuta per le accurate scelte grafiche dei suoi prodotti, e presenta le stesse caratteristiche. Il contributo di D’Annunzio al film di Giovanni Pastrone fu limitato: propose il titolo del film, diede il nome al protagonista maschile, Maciste, uno scaricatore del porto di Genova rivelatosi un grande talento, e scrisse le didascalie. Il film, proiettato a fine aprile 1914, fu un grande successo italiano e mondiale per le sue innovazioni tecniche, ma per via della guerra fu censurato in Germania e in Austria, come fu anche vietato importare e trasmettere qualsiasi film o opera italiana. La sua prima proiezione a Berlino, poi Dresda e Lipsia, fu possibile solo nel 1920.
Lo scoppio della guerra bloccò le relazioni editoriali e di scambio culturale. L’interventismo di D’Annunzio fu condannato da Fischer e da Kippenberg.
La relazione tra D’Annunzio e Vollmoeller resistette invece alla guerra, nonostante l’essersi ritrovati su fronti opposti e con atteggiamenti differenti: alieno a nazionalismi e guerre Vollmoeller, interventista D’Annunzio. A fine guerra Vollmoeller, separandosi da Norina GIlli, aveva trasferito la sua residenza italiana da Firenze a Venezia, dove aveva preso in affitto Palazzo Vendramin e l’aveva trasformato in un centro di ritrovo di artisti internazionali, aperto agli amici e a chi, dopo l’ascesa di Hitler al potere, aveva bisogno di aiuto. I contatti riprendono nel luglio 1924:
Mio caro Carlo,
che piacere squisito e raro, tra fratelli d’arte, il ritrovarsi sempre fratelli dopo avere severissimamente combattuto! Volete voi risuggellare la nostra fraternità traducendo come mi viene proposto – il mio ultimo libro? Voi solo potete tradurlo.
Vi abbraccio, il vostro
Gabriele d’Annunzio
22 luglio 1924
Insieme al sollievo per il ripresentarsi di una persona amica dopo la guerra, la formulazione suggerisce che il consiglio venisse da qualcuno vicino al poeta. La risposta di Vollmoeller non si è conservata, ma risulta che volesse invece coinvolgere D’Annunzio in qualche altro progetto. Infatti dal carteggio tra lui e l’avvocato viennese Rudolf Kommer, che lavorava per Max Reinhardt, al 1 agosto 1924, si legge: «Farò di tutto per convincere d’Annunzio. Noi ci sentiamo ogni giorno» (Österreichische Nationalbibliothek: Autograph 522/20-12, p. 3). Forse si trattava della richiesta dei diritti per la messinscena de Le chévrefeuille, che Reinhardt nel marzo 1924 aveva fatto per la seconda volta. La prima volta era stata nell’ottobre 1913, ma D’Annunzio, come risulta dalla lettera a Vollmoeller del 7 febbraio 1914, riconosce di aver mancato di mandargli in tempo il manoscritto.
Al Vittoriale, sempre più rinchiuso nella revisione delle proprie opere per l’edizione Omnia e per le messinscena dei drammi con Giovacchino Forzano, D’Annunzio non cercò altri traduttori per il tedesco. Vollmoeller era invece concentrato sulla produzione filmica e teatrale e viaggiava spesso con Reinhardt negli USA. Tuttavia erano entrambi spesso in Italia e inevitabilmente in contatto con le alte gerarchie fasciste. Reinhardt nel 1927 mise in scena al Vittoriale La figlia di Jorio, uno spettacolo sontuoso finanziato dal regime fascista. Mussolini gli chiese di mettere in scena a Firenze, nel giardino dei Boboli, il Sogno di una notte di mezza estate (13 maggio 1933) e l’anno successivo sarà il conte Volpi a chiedere la messinscena de Il Mercante di Venezia nel campo San Trovaso a Venezia. Vollmoeller collaborò con Forzano, di cui era amico, nella trasformazione filmica di Campo di maggio – un dramma scritto da Forzano prendendo spunto da un’idea di Mussolini sugli ultimi giorni di Napoleone al potere; il dramma fu tradotto in tedesco con il titolo Hundert tage (Campo di maggio) [I cento giorni] nel 1933 per volontà dei nazisti che volevano in questo modo conquistare il Duce come alleato.
L’avvento del nazionalsocialismo creò una cesura, anche se all’inizio le alte gerarchie naziste cercarono di cooptare i due famosi rappresentanti della cultura internazionale per creare consenso al regime, seguendo l’esempio del fascismo in Italia. A Reinhardt proposero una collaborazione e il titolo di Ehrenarier [Ariano honoris causa] che lui però rifiutò; a Vollmoeller – ariano – chiesero più volte nel 1934, 1936 e 1937 di collaborare offrendogli anche il ruolo di ministro della cultura del Reich, da lui rifiutato senza però mai schierarsi chiaramente contro il regime (Tunnat, 2008a, pp. 460-462). La sua casa a Venezia e a Berna, come anche quelle di altri membri della sua famiglia, erano a disposizione dei molti amici ebrei e non, in fuga dalla Germania e in attesa di un imbarco per la Palestina o per le Americhe. Molto probabilmente l’amicizia con D’Annunzio ‘protesse’ Vollmoeller perché, dopo la sua morte, nell’estate 1938 mentre era a Hollywood, gli venne confiscato palazzo Vendramin con tutte le sue collezioni di libri e oggetti preziosi costringendolo a lasciare l’Italia e a mettere fine alla sua attività anti-nazista. Gli subentrò il conte Volpi, con cui Vollmoeller aveva spesso discusso la possibilità di una Biennale per film da tenersi a Venezia, ma il conte si guardò bene dall’aiutarlo a recuperare i suoi averi. Vollmoeller lasciò l’Europa a fine maggio 1939 alla volta degli USA dove lo aspettavano mesi duri per l’ostilità dei servizi segreti che lo sospettavano di essere un collaboratore dei nazisti, fu internato in diversi Lager ed infine morì nell’ottobre 1948, a Los Angeles, dove si era recato per la realizzazione del film The last miracle dall’omonimo romanzo.
Bibliografia
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Riferimenti archivistici
Il lascito Karl Gustav Vollmoeller si trova ora al Deutsches Literaturarchiv (DLA) di Marbach am Necker.
Al Vittoriale è conservato il contratto del 30 giugno con le firme di S. Fischer e Vollmoeller; all’Archivio di Marbach, il contratto dell’agosto 1912 completo di tre firme.