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Vessilli

di Luciano Faverzani, Enciclopedia dannunziana

Il Vittoriale degli Italiani rappresenta non solo la casa di un grande poeta, ma anche la casa di un uomo che ha voluto far diventare la propria dimora un vero e proprio sacrario della Patria; un luogo nel quale per sua stessa volontà ogni pietra, ogni angolo doveva riportare alla mente il ricordo dei tragici eventi, ma contestualmente gloriosi, della grande guerra e dell’epopea fiumana. Proprio per questa sua volontà di fare del Vittoriale un sacrario ecco che le bandiere vennero a ricoprire un ruolo importante, non solo quelle storiche, che d’Annunzio fece sventolare dai pennoni del Vittoriale, ma anche quelle che nel corso degli anni gli furono donate e quelle che furono da lui stesso ideate, affidandone il disegno ad artisti a lui molto legati come, per esempio Guido Marussig.

Un percorso vessillologico fra le mura del Vittoriale

Lungo il percorso che dal doppio portale d’ingresso conduce alla Prioria, d’Annunzio fece collocare numerosi Pili, termine da lui adottato per la sua doppia valenza legata all’arma lunga con puntale metallico utilizzato dalla fanteria romana, ma anche di pennone o antenna per bandiera o gonfalone solitamente con una base di valore artistico. Non appena superato il portale d’ingresso si accede ad un viale che conduce alla Piazzetta della Vittoria del Piave, dove si erge una costruzione che riproduce il pilone di un ponte con sovrastanti archi spezzati, sulla cui sommità si erge il bronzo, realizzato nel 1917 da Arrigo Minerbi, della “Vittoria del Piave”, donato a Gabriele d’Annunzio dal Comune di Milano e qui collocato il 24 maggio 1935. Alle spalle di questo pilo si erge quello del “Dare in Brocca”, sul quale veniva issata la bandiera di d’Annunzio il cui disegno fu realizzato da Marussig.

         

La base del pilo è costituta da un cippo decorato frontalmente da un cerchio nel quale sono inserite le tre frecce con i tre anelli e nella parte alta un cartiglio con il motto “Dare in Brocca”. L’antenna termina con un puntale, ancora oggi posizionato sulla sommità dell’asta, costituito da una base sagomata da cui si innalzano tre frecce che attraversano i tre anelli.
Altro punto importante è la Piazzetta dell’Esedra dove si trova il tempietto che custodì il corpo del Comandante dal 1938 al 1968. Così Antonio Bruers descrisse il tempietto:

    si giunge all’Esedra, dove, nel centro, è stata tumulata, provvisoriamente, la salma di Gabriele d’Annunzio in un tempietto nel quale ardono tre lampade votive. Sulla lastra tombale la semplice iscrizione: Gabriele d’Annunzio, con un pugnale, in alto, e, in basso, la corona in bronzo della Reale Accademia d’Italia. Sopra un cuscino è steso il gagliardetto della Serenissima che accompagnò il Comandante nel volo su Vienna [il gagliardetto si trova oggi nella Stanza delle Reliquie] … Ai due lati della tomba, i gagliardetti di Zara e della Dalmazia.

Questi due ultimi gagliardetti sono oggi esposti nelle sale del Museo d’Annunzio Eroe.

In questa piazzetta sono collocati numerosi pennoni sui quali d’Annunzio faceva issare le bandiere delle città a lui più care, come per esempio quelle di Pescara, Fiume, etc. Pennoni che si trovano anche nel giardino fra le due torri degli archivi. Per custodire tutte queste bandiere d’Annunzio aveva fatto realizzare delle cassette apposite delle quali purtroppo restano solo le antine frontali con il nome della città.

Superata la loggia di collegamento fra l’edificio dello Schifamondo e le torri degli Archivi si entra nella Piazzetta Dalmata nella quale si erge il Pilo della Vergine dello Scettro di Dalmazia, sul quale d’Annunzio faceva issare il maestoso gonfalone di Principe di Montenevoso.

L’antenna era costituita da un albero maestro di nave, alto 28 metri, oggi sostituito, che fu donato al Comandante dai carpentieri dei cantieri di Sestri. Il pilo è composto da due macine, una in granito e l’altra in marmo veronese, decorate da otto mascheroni; le due macine poggiano su tre gradini. Numerose sono le iscrizioni, partendo dall’alto: sulla prima macina è incisa questa frase “Laudata sia nello eccelso la serenissima Vergine dello scettro di Dalmazia che per gli otto venti della rosa italiana come per questi otto teschi risoggioghi la barbarie schiava”; sulla seconda macina “Dal primo vallo di Roma al Monte Adrante insino agli altari di Marco sanguinosi nel laberinto di Cattaro e dal crudo sasso quivi imminente insino al sommo degli Acroceraunii non impari nell’amore del fato e del fulmine”; sui gradini vi è scritto “Nono anniversario della guerra bandita – settimo  della Pentecoste del Timavo” e “XXIV Maggio MCMXV-MCMXXIV / XXVII Maggio MCMXVII-MCMXXIV / Et Ultra”. Anton Giulio Domeneghini descrivendo il pilo scrisse: «Tutto l’insieme del ‘pilo’ vuol essere un’affermazione di fede e di amore per la Dalmazia crudelmente provata nella sventura di essere disunita dalla Patria italiana e un atto di fede nei nostri futuri destini».
Il luogo più intimo e più segreto dei ricordi della Guerra per Gabriele d’Annunzio è rappresentato dai Giardini Privati della Prioria nei quali, oltre all’Arengario e ai massi delle montagne della grande guerra, si possono vedere, ormai privi dell’antenna: il Pilo della Reggenza del Carnaro e il Pilo di San Marco.
Il Pilo della Reggenza del Carnaro, opera di Marussig, ha una base a forma di cippo con la parte superiore ad arco. Frontalmente è decorato con il simbolo del serpente che si morde la coda e nel centro è incisa la frase HIC FIRMIVS VIGET SIGNVM IMPERII SPES ALTA FVTVRI DIE XIV OCT MCMXXI (Ecco un segnale più saldamente il segno del governo, con grandi speranze per il futuro, il 14 ottobre. 1921); il puntale, oggi conservato nel Museo d’Annunzio Eroe è costituito da una sfera armillare sormontata da una punta con banderuola costituita dalla rappresentazione della bandiera della Reggenza.

                   

Di altro genere è invece, secondo la descrizione di Bruers, la

    Colonna Marciana formata da una base, costituito da una base a gradini ottagonali, da una colonna e a una vera da pozzo veneziano che costituisce il capitello, dal quale si innalza la più alta antenna del Vittoriale dove si issa il grande Gonfalone di S. Marco. Intorno a questo pilo si elevano i cipressi di Aquileia, dono dei combattenti d’Italia

 

         

Il puntale dell’asta, oggi non più presente, è costituto da un cilindro con disco da cui parte una colonna lavorata a scanalature da cui si staccano due ali, il tutto sormontato da una sfera armillare.
All’interno della Prioria l’unica stanza che ancora oggi conserva delle bandiere è quella delle Reliquie, fra esse spicca l’enorme stendardo della Reggenza Italiana del Carnaro che copre interamente il soffitto, sostenuto da un fitto intreccio di cordame marinaresco, e la bandiera della Squadriglia Aerea San Marco della quale d’Annunzio era il comandante.

Altre bandiere erano poste in altre stanze, come per esempio in quella della Musica e in quella del Lebbroso, ma oggi quelle bandiere si trovano esposte nel Museo d’Annunzio Eroe.
D’Annunzio, e non poteva essere diversamente, fu anche ispiratore di bandiere. Prima fra tutte bisogna ricordare lo stendardo che utilizzò a Fiume quale Comandante.
Lo stendardo, di forma quadrata, in seta nera con frange dorate, porta nel centro un grande stemma ovale brodée in filo dorato e argentato con l’insegna degli Arditi sormontato da un cartiglio con la scritta “Fiume o morte” negli angoli quattro scudetti uguali all’insegna centrale, in metallo dorato. Al Vittoriale è conservata anche l’asta che ha come puntale una torcia con la fiamma.

   

Altro stendardo, sempre legato all’epopea fiumana, è quello della guardia del corpo del Comandante che aveva adottato il nome La Disperata; fondatore del reparto fu Elia Rossi Passavanti (Terni 1896-1985), eroe pluridecorato della grande guerra, che era stato soprannominato da d’Annunzio “Frate Elia dell’ordine della prodezza trascendente”. Lo stendardo, di forma rettangolare disposto verticalmente, porta nel centro un grifone alato ricamato in filo dorato con in basso il motto “Servata Manebunt”.

Altri tre vessilli ispirati dallo stesso d’Annunzio sono: il grande Gonfalone della Reggenza del Carnaro, il Gonfalone di Principe di Montenevoso e la Bandiera del Dare in Brocca.
Del Gonfalone della Reggenza del Carnaro esiste negli archivi del Vittoriale uno scritto, di mano del Comandante, datato 11 aprile 1920, che così lo descrive:

    Bandiera rosso di sangue (cupo) – Nel centro un serpente d’oro squamato, che fa cerchio mordendosi la coda (come nel simbolo egizio). Dentro il cerchio una stella a cinque punte d’acciaio azzurrognolo. Il motto in lettere d’argento: Quis contra nos?

 

   

Dalla descrizione si notano però due differenze: in primis nel cerchio creato dal serpente vi sono ben sette stelle a sette punte a formare la costellazione dell’Orsa Maggiore; seconda differenza il motto si trova in un cartiglio il tutto in canutiglia dorata.
Esiste anche un altro documento nel quale è disegnato il Gonfalone nelle versioni orizzontale e verticale.
Questo gonfalone fu usato durante le grandi parate a Fiume e un modellino di esso era posto sulla scrivania del comandante.

 

L’enorme Gonfalone di Principe di Montenevoso ebbe origine dopo il 1924 quando la città di Fiume fu unita all’Italia, e quando re Vittorio Emanuele III emanò un decreto con il quale conferiva a d’Annunzio il titolo di Principe di Montenevoso.

 

Questo atto diede il là al Comandante che incaricò il suo fedele amico nonché legionario fiumano Guido Marussig di disegnare la corona, il mantello e lo scettro da principe di Montenevoso, apparato però mai realizzato.
Due anni dopo il 29 maggio 1926 con nuovo Decreto il re concesse a d’Annunzio lo stemma che da quel momento fu fatto realizzare in ogni angolo del Vittoriale.
Il blasone dello stemma veniva così descritto nel Decreto: «d’azzurro al Monte Nevoso d’argento accompagnato in capo dalla Costellazione dell’Orsa Maggiore d’argento (ossia 7 stelle di 7 punte)».
Così non fu però raffigurato nel Gonfalone dove la descrizione risulta essere la seguente: «di rosso al Monte Nevoso d’argento accompagnato in capo dalla Costellazione dell’Orsa Maggiore d’argento (ossia 7 stelle di 7 punte)».
Nel Gonfalone lo stemma è inserito in un padiglione sormontato dalla corona di Principe e con un cartiglio portante il motto “Immotus nec iners” (Fermo ma non inerte) voluto dal poeta e tratto da un verso del poeta latino Orazio.
Il tutto è inserito in un ottagono costituito da un cordiglio francescano; in alto e in basso sono posti due scudi con le armi della città di Fiume e della Dalmazia (d’azzurro a tre teste di leopardo coronate d’oro).

Infine la Bandiera del Dare in Brocca ossia “Imbroccare”, cogliere nel segno. Anche il simbolo del “Dare in Brocca” fu disegnato da Guido Marussig su indicazioni del Comandante. Tale simbolo rappresenta tre frecce che colpiscono tre cerchi. D’Annunzio ha fatto porre tale simbolo oltre che sul pilo, precedentemente descritto, anche in altri punti del Vittoriale. La bandiera inquartata di rosso, al 1° e 4°, e di bianco, al 2° e 3°, porta sul rosso tre cerchi in oro e sul bianco tre frecce in argento.

Numerose sono poi le bandiere che furono donate a d’Annunzio in vari momenti della sua vita e che ancora oggi sono conservate al Vittoriale.
Fra tutte sicuramente la più famose è la cosiddetta “Bandiera di Randaccio”.

Questa bandiera fu donata a d’Annunzio da Olga Levi Brunner che il Poeta Soldato chiamava affettuosamente Venturina.
La Bandiera gli fu donata nel dicembre del 1916; il 31 dicembre d’Annunzio scrive a Venturina:

    Mia cara amica, che il tricolore da issare su San Giusto mi venga dalle Sue mani molto amate è non soltanto un grande augurio ma un’intima gioia. Ho spiegato la bandiera. È magnifica. Aut cum hoc, aut in hoc. Non la spaventi il latino. Le sarà chiaro il giorno della vittoria. Aut cita mors, aut victoria laeta. Grazie dell’incomparabile dono. Ormai non avrò se non questa bandiera. ‘Non mai altra’. Le bacio le mani con tenerissima devozione. A rivederci. Il suo Gabriele d’Annunzio.

Questo dono non seguì però i progetti di Venturina ed entrò nella storia per altri motivi.
Avvolse infatti il corpo del maggiore Giovanni Randaccio; sventolò a Fiume e ricoperse la salma del giovane Siviero e infine avvolse il 1° marzo 1938 il corpo di Gabriele d’Annunzio.
Di notevole importanza è lo stendardo della Squadriglia San Marco.
La 87ª Squadriglia aeroplani, fu ufficialmente costituita il 2 febbraio 1918 sul campo di Ponte San Pietro (Bergamo), battezzata “Serenissima” in omaggio alla Repubblica di Venezia. Nasce al comando del Capitano Alberto Masprone che dispone di altri 8 piloti tra cui i Tenenti Aldo Finzi ed Antonio Locatelli. Ma perché tale bandiera si trova nella stanza delle Reliquie al Vittoriale? Per un motivo molto semplice sarà proprio la squadriglia San Marco a divenire lo strumento con il quale Gabriele d’Annunzio darà vita fra il 9 e il 10 agosto 1918 al volo su Vienna.
La Bandiera non è altro che un gonfalone di Venezia di dimensioni ridotte, che fu utilizzato dalla squadriglia quale proprio bandiera di combattimento.

Altra bandiera di estrema importanza è quella della R. N. Puglia custodita nel suo cofano. La bandiera di combattimento fu donata dalle Donne taratine con cerimonia pubblica il 20 marzo 1901. L’atto fu compiuto dalla presidentessa del Comitato, Donna Anna Carducci-Artemisio che offrì la bandiera al Comandante della nave, il Capitano di Fregata Giulio Coen. La bandiera, di sei metri di lunghezza per quattro di altezza è in seta, lo scudo di Savoia è in velluto cremisi, lamina d’argento e filo d’oro; nell’angolo superiore sinistro della fascia verde è ricamato lo stemma della città di Taranto.
Il Cofano, in legno di noce di Calabria, poggia su quattro piedi in bronzo a forma di tartaruga; i lati del cofano sono decorati in bronzo e intarsiati con motivi allegorici della tradizione tarantina e pugliese: il ponte girevole, gli stemmi delle municipalità di Taranto, Bari, Foggia e della Provincia di Lecce, statuette di Archita e di Paisiello, una scena della guerra tra Roma e Taranto. Sul coperchio era applicata una targa, oggi persa, con l’iscrizione: “Le signore taratine alla R. N. Puglia” e altri decori raffiguranti i principali prodotti dell’agricoltura pugliese (olive, uva e grano), scene di vita bucolica ed i simboli allegorici della Pace (ramoscello d’ulivo) e della Gloria (corona d’alloro).

La R. N. Puglia divenne anche il luogo sul quale il Comandante fece svolgere il funerale di Guido Keller von Kellerer e dalle immagini di quell’evento si può percepire come anche in quell’occasione le bandiere vennero a svolgere un ruolo di primaria importanza.

     

Vi sono poi le fiamme con le sette stelle dell’Orsa Maggiore che ricordano le imprese aeree e navali compiute da d’Annunzio durante la Grande Guerra. Le fiamme di colore blu di forma triangolare hanno ricamate in filo dorato le sette stelle dell’Orsa Maggiore e rispettivamente la scritta: Cielo Carsico 1917, Beffa di Buccari 10-11 febbraio 1918 e Pola 12-13 aprile 1918.

Infine si devono ricordare tre bandiere legate al biennio fiumano:
La bandiera del “Natale di sangue”

Per volontà di Gabriele d’Annunzio le bare dei caduti durante i cinque giorni di combattimenti che lo stesso Comandante definì il “Natale di sangue” furono ricoperte da questa grande bandiera tricolore.

La bandiera detta di Siviero.

Questa bandiera tricolore porta scritto a mano sulla fascia bianca la frase “Morti si, vivi no!”. Luigi Siviero era un fante del Regio Esercito che seguì Gabriele d’Annunzio a Fiume. Durante i primi giorni dell’occupazione si verificarono dei duri scontri armati fra le truppe italiane e i cosiddetti “ribelli” che al seguito di d’Annunzio avevano marciato su Fiume. Siviero fu il primo caduto di quel biennio e nel novembre del 1919 fu ricordato da d’Annunzio in un discorso con queste parole:

    Colpito a morte, non si lamentò, non imprecò. Dall’intollerabile dolore non gli escì se non una parola eroica: “Mi volevano far prigioniero: morto sì, vivo no”. Fu la sua prima parola e fu l’ultima. Nella sua agonia, mentre io ero al suo capezzale e gli baciavo per tutti i fanti la fronte già fredda trovò la forza di dirmi, spalancando i suoi belli occhi bruni: Ah, Comandante, mi volevano far prigioniero: morto sì, vivo no”.

La differenza della frase, al singolare quella riportata da d’Annunzio nel discorso appena citato, e al plurale quella scritta sotto lo stemma di Savoia, è determinata dal fatto che la bandiera fu donata a d’Annunzio dai commilitoni di Siviero che vollero così far propria l’ultima frase detta in punto di morte dal giovane commilitone.
Per ultima la bandiera di Dalmazia, la cui storia fu direttamente riferita allo scrivente dagli eredi di colui che l’aveva donata a d’Annunzio. Il cav. Carlo Zohar di Karstenegg comunicò che suo zio, colonnello Dario Mauri, aveva scritto delle memorie dove narrava quell’incontro avvenuto a Zara fra il padre, Cav. Natale Mauri e Gabriele d’Annunzio.


La famiglia Mestrovich, che cambiò il cognome in Mauri nel 1924, era esule a Roma dal 1915. Qui il Cav. Natale si fece ricamare da alcune suore una bandiera dalmata con le tre teste di leopardo. Nel 1919 la famiglia fece rientro a Zara riappropriandosi della propria casa dalla terrazza della quale il Cavaliere fece sventolare a fianco del tricolore la bandiera di Dalmazia che aveva fatto realizzare a Roma. Durante il soggiorno a Fiume d’Annunzio a bordo del cacciatorpediniere “Francesco Nullo” si portò a Zara dove sbarcò fra l’entusiasmo della folla il 15 novembre 1919. Così il figlio di Natale ricorda quel fatto:

    É in quel periodo che venne anche a Zara, D’Annunzio con una torpediniera; parlò dal palazzo del municipio davanti ad una folla in delirio. Quando era in partenza, vedendo dall’altra parte del porto la bella bandiera dalmata che sventolava dalla nostra terrazza, espresse insistentemente il desiderio di averla e mandò un ufficiale di marina da noi per chiederla. Mio padre si dimostrò favorevole purché gli dessero in cambio il tricolore della torpediniera. Ritornò l’ufficiale con il tricolore ammainato dall’albero della nave e ritirò la bella bandiera dalmata che mio padre aveva fatto ricamare a Roma. La torpediniera partì con la nostra bandiera sull’albero, bandiera che ora si trova al Vittoriale di Gardone.

 

Bibliografia essenziale

Antonio Bruers, Il Vittoriale degli Italiani. Breve guida, Gardone Riviera, Il Vittoriale degli Italiani 1941 (Roma, Istituto Poligrafico dello Stato)
D’Annunzio soldato, a cura di Luciano Faverzani, Giordano Bruno Guerri, Modena, Accademia Militare-Fondazione il Vittoriale degli Italiani, 2014
Luciano Faverzani, Antonio Benedetto Spada, Il Museo della Guerra di Gabriele d’Annunzio al Vittoriale degli Italiani, Grafo, Brescia 2008
Alessandro Martinelli, Bandiere della Reggenza Italiana del Carnaro al Vittoriale. La storia e le immagini delle rare bandiere dannunziane conservate al Vittoriale, «Vexilla Italica», 2002, n. 53, fasc. 1, pp 11-15
Marco Mecacci, Sui Vessilli della Reggenza del Carnaro, XIX Convegno Nazionale del CISV, Gubbio, 2013, dattiloscritto
Valerio Terraroli, Il Vittoriale. Percorsi simbolici e collezioni d’arte di Gabriele d’Annunzio, Milano, Skira, 2001
Aldo Ziggioto, Le bandiere degli Antichi Stati Italiani. Fiume, Torino, s.n., 1969
Aldo Ziggioto, Le bandiere degli Antichi Stati Italiani. Aggiornamento. Fiume, «Vexilla Italica», 1978, n. 10, fasc. 1, pp. 1-8
Aldo Ziggioto, Le bandiere degli Antichi Stati Italiani. Aggiornamento, «Vexilla Italica», 1978, n. 11, fascc. 2-3, pp. 21-29

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