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Fonti francesi (panorama)

di Maria Rosa Giacon, Enciclopedia dannunziana

1. Nell’officina delle fonti. Modalità della fruizione intertestuale dannunziana

Non vi è autore nella storia letteraria italiana dell’Otto-Novecento che come d’Annunzio abbia dato prova di un utilizzo intertestuale non solo abnorme, ma anche provvisto di modalità poietiche decisamente singolari. Nella macroscopia del fenomeno dannunziano va infatti colta una certa drammatica fatalità: come «il poeta» Andrea Sperelli, anche l’artefice d’Annunzio è costretto a inventarsi (nel senso latino di ‘trovarsi’) ricavando il suo «la» dall’esterno, all’esterno ricercando la misura della propria identità; un’arte, dunque, che si fa a diretto contatto con, se non direttamente dentro la materia ricevuta dall’altro, a questa finendo per sovrimporsi come ad una semplice forma dell’espressione, sia essa verbale, che figurativa o musicale.
Con ciò è da intendersi che l’atto della fruizione dannunziana non conosce distinzioni di gerarchia o priorità: che si tratti d’una lirica di Théophile Gautier o dell’ode zoppicante d’un poeta ignoto; del
journal d’un viaggiatore d’eccezione quale Hippolyte Taine oppure d’una guida del Baedeker; di vocabolari quali il Tommaseo-Bellini e il Guglielmotti o d’un trattato d’estetica musicale come quello di Romain Rolland, per d’Annunzio non fa differenza alcuna.

Quanto veramente conta per il poeta dell’«amor sensuale della parola», benché anche risponda a necessità di tékhne costruttiva, è l’addensato d’intime vibrazioni che la materia dell’altro, nell’impasto fonico-visivo evocato dalla forma segnica, suscita ai sensi fornendo impulso al moto creativo.

Alla base delle assunzioni dannunziane è dunque una forma di com-penetrazione autoproiettiva e insieme autoagnitiva, che, eleggendo il documento, lo rigenera in toto e, in conformità a una strategia di cancellazione dello statuto d’appartenenza, lo riduce a quello del nuovo artefice. Sottoposta a questa sorta di reductio ad unum, la fonte viene restituita straniata e però non del tutto occultata; al contrario, tale restituzione spesso non è esente da tracce materiali che ne rendono il testo riconoscibile, quando esso non figuri addirittura trasposto con una puntualità così sconcertante da scatenare raffiche di denunce plagiarie. In simile, più o meno consistente, conservazione del segno originario non va tuttavia colta provocazione alcuna, bensì la difesa del proprio vissuto, il più intimo e irrinunciabile: il processo creativo, di cui quelle tracce costituiscono le sensibili particelle testimoniali.
Al contempo, dalla natura di tale riflettersi nella materia assunta discende un’essenziale conseguenza. Testimoni speculari della creazione, una volta entrati nel circuito del sistema i fontes non conoscono né confine di genere né limite di durata: anche in tal caso la memoria, questo grande strumento e tema dell’arte dannunziana, interviene a farsi garante di una tesaurizzazione gelosa, che, nel suo moto d’inesorabile espansione, nulla rigetta delle acquisizioni precedenti, acquisti tutti preziosi per recare ugualmente impressa l’impronta originale di colui che li scelse, o di «quel che di suo vi mise, già nel fatto di scegliere» (De Michelis 1963, 55). Nell’incessante concrescere di prosa e poesia, nell’interscambio d’immagini, motivi e tecniche formali tipico del re-inventarsi dannunziano, i prelievi più sedimentati circolano con identiche riprese o visibili adattamenti in opere assai distanti fra loro, segnando così il campo di una inter e, in progresso di tempo, intra-testualità ad amplissimo raggio e costantemente in fieri. Inoltre, come non hanno confine di genere e di durata, così i fontes non conoscono distinzione di nazionalità: vero artista globale avant la lettre, nelle sue innumerevoli letture, francesi, inglesi, tedesche, russe, d’Annunzio sempre trasceglie con infallibile intuito i prodotti più significativi dell’Europa fra Otto e Novecento, segnando, più che altri autori, l’adeguamento della nostra letteratura ai più alti livelli internazionali.

Scoprire il profilo intertestuale dell’opera di d’Annunzio è dunque addentrarsi, seguendo labirintici percorsi, in una «libreria delle librerie, in cui sono raccolte le informazioni» d’una porzione dell’«enciclopedia culturale» su cui poggia la nostra stessa modernità (Bertazzoli 2016, 20). Sarebbe stato questo il vero significato di quella Renaissance Latine che Melchior de Vogüé vide incarnarsi in lui (De Vogüé 1895).

2. Le fonti francesi: uno sguardo generale

Tra le molte culture moderne compulsate e fruite, la francese sempre deterrà presso d’Annunzio una priorità assoluta per un vario complesso di ragioni. In primo luogo, francese era di norma il tramite veicolare dell’Europa d’allora e d’Annunzio non avrebbe fatto eccezione. Modesta, nonostante certa infarinatura di lingue straniere presso l’ottimo «Cicognini» (Fatini 1935), la sua conoscenza dell’inglese e ancor più quella del tedesco, tanto da avvalersi di traduzioni francesi quando le italiane non fossero accessibili. Così sarebbe avvenuto nel caso di Shelley assunto nella traduzione di Félix Rabbe; dell’amato e quanto mai ostico Swinburne di Poems and Ballads, a lui ben presto noto «grazie all’amico Nencioni», ma concretamente fruito solo a partire dalla versione del 1891 di Gabriel Mourey (Praz 1966, 248); ancora, l’approccio a Nietzsche, del quale prima testimonianza è l’articolo del 1892 La Bestia elettiva, sarà reso possibile solo a partire dal 1893  sulla base di recensioni e di extraits dall’opera nietzschiana comparsi in francese, in larga parte consentendo la ripresa e la conduzione finale del Trionfo della morte (Tosi 1973 e 1981-b; Mariano 1983); per non dire, naturalmente, del ricorrere a traduzioni francesi per gli scritti di Tolstoj e Dostoevskij frequentati nel Giovanni Episcopo e nell’Innocente
Oltre alla funzione veicolare, evidentemente contarono affinità di Weltanschauung (Cimini 2016) – tra forme della civiltà e della sensibilità di cui la lingua è l’espressione –, ma al contempo ragioni pertinenti all’intimità del laboratorio artistico. Più agevole infatti risultava nel caso di quell’idioma fraterno conservare l’estraneo, che aveva indotto il moto autoagnitivo-creativo, all’interno del proprio che ne era la veste e il portato finale, mantenere la sostanza visiva e acustica del forestierismo senza tuttavia fuoriuscire dal quadro della lingua materna che quelle “impressioni” mediava e tesaurizzava, cioè «sans commettre […] des gallicismes, puisqu’il a toujours pris la précaution […] d’en chercher soit la forme italienne correspondante, soit la forme latine» (Tosi 1978, 32; Tosi 2013, II, 660). 
Francesi, dunque, le auctoritates che informarono l’esordio narrativo, nel percorso che da Terra vergine muove al Libro delle Vergini, al San Pantaleone e, passando per la traduzione dell’Episcopo et Cie, giunge alle Novelle della Pescara (D’Annunzio 1992, TN), raccolte ove certo si colgono influssi e imprestiti dalla narrativa verghiana, dall’antropologia di Antonio De Nino e Gennaro Finamore, ma soprattutto dall’opera di Zola, Flaubert e Maupassant (Tosi 1981-a1; Tosi 2013, 1981-a2). Alla pari, francesi prevalentemente saranno i fontes della sterminata fucina intertestuale delle «prose di romanzi» (D’Annunzio 1988-1989, PR, I-II), con esiti di particolare densità nel Piacere (cfr. Caliaro, in D’Annunzio 2009, 421-452), nell’Innocente (Giacon, in D’Annunzio 2012, 381-409) e nel Fuoco (Lorenzini, in PR, II). 
Per quanto riguarda la poesia, la presenza degli apporti transalpini è di sicuro dominante sin dal percorso esordiale, da Primo vere a Canto novo, condotto sotto la guida di Carducci, ma insieme di Hugo e di Zola (D’Annunzio 1982-1984, VS, I-II, I; Tosi 1980; Tosi 1981-a1). Saranno poi i versi dell’Intermezzo (Intermezzo di rime, 1883 e 1894), celebranti un aggiornamento in senso parnassiano e ormai simbolisticamente proiettato (Gautier, Baudelaire, Banville), benché in talune liriche (Venere d’acqua dolce, Peccato di maggio, La tredicesima fatica) si scorga una linea realistica dipendente dal Maupassant di Des vers (Tosi 1981-a1, 60-62; Tosi 2013, 1981-a2, II, 771-772). E sarà la variegatissima costellazione di suggestioni e utilizzi che, in contemporanea agli influssi della poesia inglese (Keats, Swinburne, Dante Gabriel Rossetti), congiunge sotto l’unico denominatore estetizzante la primitiva versione dell’Isaotta Guttadauro (1886) con quella (1890) dell’Isotteo-Chimera (Andreoli, in VS, I, 1058), per una parte dilatandosi dal parnassianesimo alla sensualità lussureggiante del Flaubert più scenografico e fastoso (quello di Salammbô e della Tentation de Saint Antoine); per l’altra discendendo, nel moto d’un vertiginoso exotisme dans le temps, al fondo del Medio Evo fantastico d’un Jean Lorrain, all’eclettismo metrico dell’età medicea, a Dante e allo Stilnovo (Tosi 1980, 114-115; Tosi 2013, II, 829-830).
Quasi nel medesimo periodo (1887-1892), le Elegie romane, oltre all’appariscente riferimento al metro barbaro carducciano e goethiano, lasciano trasparire tracce della lettura di Schopenhauer, ma anche il persistere di riecheggiamenti parnassiani (Banville) e l’influsso della poetica di Frédéric Amiel all’insegna di quella spiritualizzazione delle cose che fa del paesaggio simbolo dell’état de l’âme (Tosi 1976). Di lì a presso, nel Poema paradisiaco (1893), pur nel perdurare di digesti echi parnassiani (Gautier, Mendès), una fonte significativa già della Chimera quale Verlaine andrà fittamente a nutrire, in tutt’uno con la recente lettura del Maeterlinck di Serres chaudes e la riscoperta del trobar clus petrarchesco, non solo la tematica della ‘bontà’, quanto una musicalità dagli effetti stregati e «sonnambolici» che sposta l’asse della ricerca artistica in direzione dell’indefinito e del mistero (De Michelis 1960, 123-124). 
Persino la poesia delle Laudi, il cui immane laboratorio archeologico, mitico, folklorico, impossibilita ogni credibile tentativo di sintesi, dovrà taluni dei suoi esiti migliori, come quelli alcionî, agli echi e ai calchi di poeti ormai lontani quali il Rimbaud delle Illuminations e il de Régnier dei Jeux rustiques et divins, o come la presenza in Maia di cospicue sources letterarie francesi, dal Taine al Saint-Victor (Tosi 1968), ai giornali di voyageurs quali Gabriel Thomas e Charles Maurras fruiti per supplire ai dati mancanti dell’esperienza (Tosi 1947). 
Nell’opera teatrale italiana la derivazione da fonti francesi par come attenuarsi a petto dell’enorme messe degli emprunts dalla tragedia classica e moderna, con sensibile apertura al modello shakespeariano alla pari che ad assunzioni da fonti nostrane, tra le quali, per esempio, le suggestioni figurative michettiane e gli studi del folklore abruzzese sottesi alla stesura della mirabile Figlia di Iorio. Tuttavia, e a prescindere dalla produzione in lingua francese (La ville morte, Le Martyre de Saint Sébastien, La Pisanelle, Le Chèvrefeuille) la cui vastissima enciclopedia è trascorsa da fonti d’oltralpe anche nel caso delle immissioni classiche (Gibellini 1985; Benfante 1989, 1991), gli apporti transalpini non verranno mai a mancare, come appare fittamente documentato da Annamaria Andreoli e Giorgio Zanetti (in D’Annunzio 2013, TSM, I e II), quanto da eccellenti studi singoli, come l’indagine di Ilvano Caliaro sulle fonti di Fedra (Caliaro 1989, Caliaro 1991). 
Francesi, infine, gli apporti, talvolta vere e proprie trasposizioni letterali, che segnarono moltissime pagine della saggistica giornalistica dannunziana, come i prelievi effettuati dall’Enquête sur l’évolution littéraire di Jules Huret, dal Léonard de Vinci di Gabriel Séailles (Tosi 1981-b; Andreoli e Zanetti, in D’Annunzio 1996-2003, SG, I-II; Lorenzini, in PR, II, Le vergini delle rocce), e dal corpus degli scritti di filosofia dell’arte di Hippolyte Taine (Giacon 2009)

 

Bibliografia essenziale

Bibliografia primaria

D’Annunzio, Gabriele, Tutte le novelle [TN], introduzione di Annamaria Andreoli, a cura di Annamaria Andreoli e Marina De Marco, Milano, Mondadori, 1992.
D’Annunzio, Gabriele,
Prose di romanzi [PR], a cura di Annamaria Andreoli e Niva Lorenzini, introduzione di Ezio Raimondi, Milano, Mondadori, 1988-1989, I-II.
D’Annunzio, Gabriele,
Tragedie, sogni e misteri [TSM], a cura di Annamaria Andreoli con la collaborazione di Giorgio Zanetti, Milano, Mondadori, 2013, I-II.
D’Annunzio, Gabriele,
Versi d’amore e di gloria [VS], a cura di Annamaria Andreoli e Niva Lorenzini, introduzione di Luciano Anceschi, Milano, Mondadori, 1982-1984, I-II.
D’Annunzio, Gabriele, Scritti giornalistici [SG], a cura di Annamaria Andreoli, Milano, Mondadori 1996-2003, I-II: I (1882-1888), testi raccolti e trascritti da Federico Roncoroni; II (1889-1938), testi raccolti da Giorgio Zanetti.D’Annunzio, Gabriele, Il piacere, introduzione di Pietro Gibellini, prefazione e note di Ilvano Caliaro, Milano, Garzanti, 2009.
D’Annunzio, Gabriele, L’Innocente, prefazione di Pietro Gibellini, introduzione e note di Maria Rosa Giacon, Milano, Rizzoli, 2012.

Bibliografia secondaria

1. Atti d’Annunzio [Atti d’A.]
D’Annunzio giovane e il verismo, Centro Nazionale di Studi Dannunziani [CNSD], Pescara 21-23 settembre 1979, a cura del CNSD, Pescara 1981.
D’Annunzio e il simbolismo europeo, Gardone Riviera, 14-15-16 settembre 1973, a cura di Emilio Mariano, Milano, Il Saggiatore, 1976.
D’Annunzio europeo, Gardone Riviera-Perugia, 8-13 maggio 1989, a cura di Pietro Gibellini, Roma, Lucarini, 1991.
Il mondo di d’Annunzio: temi, forme, valori, CNSD, Pescara, 24-26 ottobre 2013, premessa di Pietro Gibellini, a cura del CNSD, «Rassegna Dannunziana» [RD], 65-66, 2016.
Trionfo della morte, CNSD, Pescara, 22-24 aprile 1981, a cura di Edoardo Tiboni e Luigina Abrugiati, Pescara, CNSD, 1983.

2. Contributi singoli
Fatini, Giuseppe, Il cigno e la cicogna: Gabriele D’Annunzio collegiale, Firenze, La Nuova Italia, 1935.
Benfante, Isabella, La «Città morta» fra Sofocle e Leconte de Lisle, «Quaderni dannunziani» [QD], 5-6, 1989, pp. 269-275.
Benfante, Isabella, Fonti greche e mediazioni francesi nella «Ville morte», in D’Annunzio europeo, Atti d’A., 1991, pp. 133-147.
Bertazzoli, Raffaella, L’intertestualità nell’opera di Gabriele d’Annunzio, in Il mondo di d’Annunzio, Atti d’A., 2016 [RD], pp. 19-36.
Caliaro, Ilvano, D’Annunzio lettore-scrittore, Firenze, Olschki, 1991.
Caliaro, Ilvano, Fonti della «Fedra dannunziana», in Fedra da Euripide a D’Annunzio. D’Annunzio a Harvard. Studi Dannunziani, Gardone Riviera, 6 luglio 1988, QD, 5-6, 1989, pp. 117-134.
Cimini, Mario, D’Annunzio, la Francia e la cultura europea, Lanciano, Carabba, 2016.
De Michelis, Eurialo, D’Annunzio a contraggenio, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1963.
De Michelis, Eurialo, Tutto d’Annunzio, Milano, Feltrinelli, 1960.
Giacon, Maria Rosa, I voli dell’Arcangelo. Studi su d’Annunzio, Venezia ed altro, Piombino, Il Foglio, 2009.
Gibellini, Pietro, L’archeologia linguistica della «Ville morte» [1976], in Id, Logos e mythos. Studi su Gabriele d’Annunzio, Firenze, Olschki, 1985, pp. 241-250.
Huret, Jules, Enquête sur l’évolution littéraire. Conversations avec MM. Ernest Renan, Jules de Goncourt, Émile Zola, Guy de Maupassant, Joris-Karl Huysmans, Anatole France, Maurice Barrès et alii, Paris, Charpentier, 1891.
Mariano, Emilio, La genesi del Trionfo della morte e Friedrich Nietzsche, in Trionfo della morte, Atti d’A., 1983, pp. 143-193.
Praz, Mario, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica [1930], Firenze, Sansoni, 1966.
Séailles, Gabriel, Léonard de Vinci, l’artiste et le savant. Essai de biographie psychologique, Paris, Perrin, 1892.
Tosi, Guy, D’Annunzio en Grèce. Laus Vitae et la croisière de 1895 d’après des documents inédits, Paris, Calmann-Lévy, 1947.
Tosi, Guy, D’Annunzio, le réalisme et le naturalisme français – Les Thèmes. La langue et le style. 1879-1886, in D’Annunzio giovane e il verismo, Atti d’A., 1981 (a1), pp. 59-105.
[In] Tosi, Guy, D’Annunzio e la cultura francese: Saggi e studi (1942-1987), a cura di Maddalena Rasera, prefazione di Gianni Oliva con testimonianze di Pietro Gibellini e François Livi, Lanciano, Carabba, 2013, I-II:
Tosi 1968, D’Annunzio, Taine e Paul de Saint-Victor, I, pp. 429-468 [D’Annunzio, Taine et Paul de Saint-Victor, «Studi francesi», 34, 1968, pp. 18-38].
Tosi 1973, D’Annunzio scopre Nietzsche, I, pp. 469-511 [D’Annunzio découvre Nietzsche, «Italianistica», 2-3, 1973, pp. 481-513].
Tosi 1976, D’Annunzio e il simbolismo francese, I, pp. 513-584 [D’Annunzio et le symbolisme français, in D’Annunzio e il simbolismo europeo, Atti d’A., 1976, pp. 223-282].
Tosi 1978, Influenze francesi sulla lingua e lo stile di d’Annunzio: dall’«Isotteo» al «Piacere», II, pp. 647-687 [Influences françaises sur la langue et le style de d’Annunzio: de l’«Isottèo» au «Piacere», «Rivista di letterature moderne e comparate», 1° marzo 1978, pp. 22-55].
Tosi 1980, D’Annunzio parnassiano, «bizantino» e simbolista: alle fonti di una poetica complessa (1886-1894), II, pp. 793-848 [D’Annunzio parnassien, «byzantin» et symboliste: aux sources d’une poétique composite (1886-1894), «Revue des Études Italiennes», 2-4, 1980, pp. 85-137].
Tosi 1981 (a2), D’Annunzio, il realismo e il naturalismo francese, II, pp. 761-792 [D’Annunzio, il realismo e il naturalismo francese, in D’Annunzio giovane e il verismo, Atti d’A., 1981, pp. 106-127].
Tosi 1981 (b), Incontri di d’Annunzio con la cultura francese, II, pp. 855-940 [Incontri di d’Annunzio con la cultura francese (1879-1894), «Quaderni del Vittoriale» [QV], 26, 1981, pp. 5-63].
Vogüé, Eugène-Melchior de, La Renaissance Latine, G. d’Annunzio: Poèmes et Romans, «Revue des Deux Mondes», 1° gennaio 1895, pp. 187-206.

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