di Sara Campardo, Enciclopedia dannunziana
Genesi, elaborazione, vicenda editoriale
Elettra, secondo libro delle Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, uscì congiunto ad Alcyone presso Treves nel dicembre 1903, ma con data 1904. Dopo Maia, primo libro del ciclo, pubblicato a maggio, seguiranno altri quattro volumi intitolati alle sette Pleiadi: ecco, nel mese di dicembre, Elettra e Alcyone. Molti anni più tardi verranno pubblicati Merope (1912, col titolo Canzoni delle gesta d’oltremare) e Asterope (1915- 1918, Canti della guerra latina).
Il 1903 può essere considerato uno degli anni più fertili e felici per la produzione dannunziana, coincidente sia con il culmine della sua arte, sia con un’enorme vitalità sul piano privato, in una totale sintonia arte-vita che non sarà mai più raggiunta. In gennaio D’Annunzio è a Milano per seguire la pubblicazione dei primi tre volumi delle Laudi in un unico libro di diecimila versi; ma, come testimoniano varie lettere ai Treves, il progetto originale fallisce e se Maia verrà pubblicato nel maggio 1903, Elettra e Alcyone appariranno solo a dicembre. Si tratta di un’elaborazione passionale e faticosa, segnata da «furie laboriose» per cui «non v’è altro rumore al mondo se non quello delle […] penne d’oca e non altra bianchezza se non quella delle carte di Fabriano» (d’Annunzio 1999, p. 241).
Elettra appare meno compatto, nella sua genesi, rispetto a Maia e Alcyone. Non si delinea sin da subito in forma di raccolta unitaria, come Alcyone, che ha precise simmetrie, corrispondenze e richiami interni, ma diventa il libro di lode agli Eroi (eroi dell’arte, del pensiero, della cultura e della patria), solo quando gran parte delle liriche è già stata composta e pubblicata in diversi periodici, come suggeriva Gibellini (1975, pp. 421-424) e confermava in seguito Donati (1988, pp. 165-189), pertanto la stesura della maggior parte delle poesie risulta anteriore alla delineazione della struttura in cui sono state poi inserite, a differenza di Alcyone e Maia, per le quali risulta evidente già dalla preistoria testuale una marcata progettualità.
La composizione delle singole liriche è legata per lo più a occasioni celebrative. Il piano strutturale venne definito nel momento di ricostruire il fascicolo per la tipografia, ordinando le poesie già composte e predisponendone altre per meglio articolare la sequenza o precisare nodi di raggruppamento o trapassi da una sezione del libro all’altra.
Già nel luglio 1899 d’Annunzio aveva in mente di scrivere delle Laudi: «Ho una volontà di cantare così veemente che i versi nascono spontanei nella mia anima come le schiume dalle onde. In questi giorni, in fondo alla mia barca, ho composto alcune Laudi, che sembrano veramente figlie delle acque e dei raggi, tutte penetrate di aria e di salsedine» (d’Annunzio 1999, p. 574). Nell’agosto dello stesso anno si nota dai carteggi che sono previsti sette libri, da raccogliersi in tre volumi: «Le Laudi si compongono di sette libri, i quali saranno pubblicati in tre volumi: I, tre libri; II, due libri; III, gli altri due» (d’Annunzio 1999, p. 705). Nel novembre 1899 è manifesta l’intenzione di intitolare ciascun libro a una delle stelle della costellazione delle Pleiadi. Il 16 novembre 1899 d’Annunzio, per mettere insieme un po’ di soldi, fa pubblicare sulla «Nuova Antologia» i primi sette componimenti delle Laudi: L’Annunzio (Maia), Canto augurale per la Nazione eletta e Le città del silenzio: Ferrara. Pisa. Ravenna (Elettra), Bocca d’Arno e La sera fiesolana (Alcyone).
Dopo mesi di lavoro sul Fuoco tornerà alla poesia solo nel luglio 1900, quando deciderà di trascorrere l’estate in Versilia con la Duse, in una villetta in riva al mare in località Secco Motrone. Altra stagione molto produttiva per le Laudi sarà l’estate 1902, in cui il Poeta si recherà nuovamente in Versilia.
L’interesse creativo di d’Annunzio seguì fasi e nuclei solo in parte corrispondenti con l’ordine ideale assunto dalla raccolta nel volume di Elettra. L’inizio resta comunque affidato alla poesia sulle montagne, cui si lega, pur stimolata dall’occasione della morte, l’epicedio per Segantini, che fu pittore montano per eccellenza.
Sul finire del 1899, quando il poeta pubblicava il primo nucleo di Laudi sulla «Nuova Antologia» dando corpo, come dimostra Gavazzeni, all’idea di un panteismo francescano di segno pagano, quasi «laudi del creato senza creatore», l’inserzione del Canto augurale per la Nazione eletta fonde il motivo paesistico (già toccato con le laudi Alle Montagne e Per la morte di Giovanni Segantini) col motivo eroico-politico di eredità carducciana che verrà sviluppato anche dalla retorica fascista: l’Italia è presentata come la terra feconda dei campi e del mare, chiamata a un grande destino. Al contrario le prime tre città del silenzio, riecheggiando anche nel metro e nelle cadenze la lirica delle origini, con un gusto preraffaelita, si ispirano a un tono che nel gruppo di liriche della «Nuova Antologia» era rappresentato dalla Sera fiesolana e da Bocca d’Arno, e che alla fine risulterà prevalente piuttosto in Alcyone che non in Elettra.
Il 1900 vede dominare il tema politico con il Canto di festa per Calendimaggio, Al Re giovine, Alla memoria di Narciso e Pilade Bronzetti, Per i marinai d’Italia morti in Cina e A Roma.
Nello stesso anno, dietro al tema più schiettamente politico- nazionalista, ne emerge uno filosofico-culturale, rappresentato dall’ode per Friedrich Nietzsche (Per la morte di un distruttore), e dall’attenzione per la creazione artistica, con la poesia per la rovina della Cena leonardesca (Per la morte di un capolavoro).
Nel 1901 tende a prevalere il motivo dell’arte. La notte di Caprera, pur preannunciando una vasta ma incompiuta Canzone di Garibaldi, segna in verità un superamento dell’eroismo guerriero in favore dell’eroismo dell’arte, che raggiunge il suo culmine con le composizioni per due grandi musicisti italiani (Per la morte di Giuseppe Verdi e Nel primo centenario della nascita di Vincenzo Bellini).
L’interesse per l’arte domina anche il 1902, a partire dalla laude composta Nel primo centenario della nascita di Vittore Hugo che, però, recupera i valori dell’italianità, svolti sul versante dell’arte e della storia nei cinquanta sonetti delle Città del silenzio, che vedranno la luce entro l’autunno del 1902, appunto.
Nel 1903, preparando il fascicolo per il tipografo, d’Annunzio compone i Canti della morte e della gloria e i Canti della ricordanza e dell’aspettazione, che fungono da cerniere divisorie tra le diverse sezioni del libro.
Nel redigere l’architettura testuale di Elettra, d’Annunzio rispettò in parte la contiguità genetica delle diverse laudi: lasciò in funzione proemiale il testo più antico, Alle Montagne (prima del febbraio 1896); altro testo antico come A Dante (28 dicembre 1899) rimase a introdurre testi patriottici dell’agosto-settembre 1900 (Al Re giovine, Alla memoria di Narciso e Pilade Bronzetti, Per i marinai d’Italia morti in Cina, A Roma). Il culmine della sezione eroica è segnato dalla poderosa canzone di Garibaldi, composta a ridosso dei testi succitati (22 gennaio 1901) e ivi collocata anche strutturalmente. Altri testi già composti a quell’altezza vennero trasposti in altra sezione: Per la morte di Giovanni Segantini finì più in basso, come decima laude, in apertura della sezione contenente gli epicedi di artisti (Segantini, appunto, con Verdi, Bellini, Hugo); in chiusura di questa sezione Per la morte di un distruttore e Per la morte di un capolavoro.
Tre scarti notevolissimi si hanno fra la data di composizione (alta) e la collocazione all’interno della raccolta (bassa). Le prime tre Città del silenzio (Ferrara, Pisa, Ravenna) furono fuse col gruppo dei sonetti, composti più tardi con altro metro (il sonetto, appunto) e un taglio più classico-storico ben diverso dai modi e dai toni preraffaeliti delle prime composizioni, languidamente arieggianti modi mistico-sensuali da canzone antica. Il Canto di festa per Calendimaggio, poi, venne tolto dalle poesie coeve del 1900, che rappresentano tutte lamenti per le perdute glorie italiche, per essere collocato vicino al finale glorioso e gioioso sancito dal Canto augurale per la Nazione eletta, che, pur essendo fra i più antichi a comparire (novembre 1899), si prestava, per il suo acceso entusiasmo profetico, a chiudere la raccolta.
I testi di Elettra sono disposti secondo un ordine ideale che non coincide con quello cronologico con cui furono composte le singole liriche, spesso dettate da un’occasione o da un anniversario celebrativo. I testi sono, invece, disposti in modo da formare tre sezioni tematiche. D’Annunzio cerca di imprimere una sequenza narrativa al futuro libro traendola dagli stessi materiali poetici di cui già dispone.
La prima sezione va da Alle Montagne a La notte di Caprera e celebra, in odi sempre composte per occasioni ben precise, eroici nomi ed eventi dell’età risorgimentale e postrisorgimentale che non trovano ragione d’essere nel presente della nazione italiana, ormai privo di speranze e di slanci eroici, ma traggono ispirazione e si giustificano in due grandi miti del passato, pure ricordati in questa sezione: Dante e Roma. A chiudere la prima sezione del libro dedicata agli eroi della patria e a tematiche strettamente civili, viene il lungo frammento epico-lirico della Notte di Caprera introdotto dalla breve ode dedicatoria A uno dei Mille.
Segue, poi, la seconda sezione, costituita da sei inni funebri in memoria di altrettanti personaggi che con la propria morte hanno segnato la fine della gloria della latinità, com’è espresso anche nella lirica Canti della morte e della gloria introduttiva alla sezione. Come aveva cantato gli eroici protagonisti della storia nazionale, d’Annunzio canta questi grandi personaggi della cultura e dell’arte alla stregua di veri e propri eroi.
L’ultima sezione, introdotta dai Canti della ricordanza e dell’aspettazione, è dedicata alle Città del silenzio: si tratta di venticinque città italiane che vengono ricordate e celebrate attraverso cronache particolareggiate di eventi e della loro gloriosa storia in età comunale e risorgimentale, rievocata a simboleggiare una futura rinascenza.
Chiudono il libro, e al contempo concludono nel futuro la sequenza narrativa che lo sostiene, il Canto di festa per Calendimaggio e il Canto augurale per la Nazione eletta: il primo che esorta il popolo italiano a non perdere la speranza in un riscatto dalla presente situazione di decadenza e il secondo che anticipa l’immagine di un’Italia finalmente risorta e trionfante.
L’editio princeps risale al 20 dicembre 1903, ma con data 1904, quando, dopo un sofferto carteggio con Treves e continue posticipazioni di d’Annunzio per la consegna del manoscritto, uscirono a cura dell’editore milanese il Secondo e il Terzo Libro delle Laudi.
Seguiranno una seconda edizione di Elettra sempre per conto di Treves (1906), l’Edizione Nazionale Mondadori (1928) e l’edizione per il Sodalizio dell’Oleandro (1934). Da segnalare anche una plaquette posteriore alla princeps e contenente Le città del silenzio (Parigi, Govone, 1926).
La stampa del 1934 è l’ultima apparsa in vita del poeta e quindi rispecchia con ogni probabilità la sua ultima volontà, dato che la poté sorvegliare personalmente. Era, infatti, abitudine di d’Annunzio, preoccuparsi sempre di scegliere personalmente il tipo di carta, la copertina ed eventuali illustrazioni, per rispondere nel miglior modo possibile al gusto del pubblico. Questa minuziosa cura per le scelte tipografiche e gli ornamenti è attestata nei carteggi relativi alle Laudi.
La cura del testo, invece, pare evidente solo all’altezza della princeps, quando troviamo un d’Annunzio attentissimo correttore delle bozze trevesiane. Ma la severa revisione delle bozze operata nella prima edizione non troverà riscontro nelle stampe successive. La seconda edizione, che vede Treves ristampare isolatamente Maia (1905), Elettra (1906) e Alcione (1907), ci mostra un d’Annunzio che appone note concernenti le illustrazioni, non la correttezza del testo.
Uscirono, infine, una serie di edizioni postume, tra le quali sono da menzionare l’edizione Zanichelli del 1943 con interpretazione e commento di Enzo Palmieri e Versi d’amore e di gloria vol. II a cura di Annamaria Andreoli e Niva Lorenzini per la collana “I Meridiani” edita da Mondadori nel 1984.
L’attuale edizione critica di riferimento è quella del 2017 a cura di Sara Campardo per l’Edizione Nazionale delle Opere di Gabriele d’Annunzio che, seguendo i principi della moderna filologia d’autore, mette a disposizione un apparato genetico che consente di entrare nel vivo dell’officina dannunziana per ricostruire il processo compositivo delle singole liriche e dell’opera nel suo insieme.
Contenuto e struttura
Alle Montagne, testo che apre la raccolta nella sua struttura ne varietur, è il più antico. La prima apparizione a stampa risale al febbraio 1896, su «Il Convito». Intitolata originariamente Ode a colui che deve venire, la lirica esprime l’idea di attesa di un messaggero portatore di nuove speranze a un paese, l’Italia, e al suo popolo che vive un momento di incertezza e di decadenza storica, sociale e culturale. Questa idea di attesa di un personaggio eroico che risollevasse i destini italiani era cara al poeta in quegli anni (Le vergini delle rocce è del 1896); il fatto che d’Annunzio al momento di inserire il testo nella raccolta cambi il titolo in Alle Montagne, risponde a un’esigenza di carattere tematico: le montagne sono infatti motivo ricorrente in Elettra, ove rappresentano la patria ideale dell’Eroe e per questo esaltate come luoghi di purezza, altitudine, solitudine, sedi della potenza divina e delle forze naturali, unico luogo degno di preparare l’eroe alla sua missione.
A Dante (già Laude di Dante), datata sull’autografo «La Capponcina, 28 decembre 1899», fu composta per un’occasione precisa: la chiusura dell’orazione Per la dedicazione dell’antica loggia fiorentina del grano al nuovo culto di Dante (già Nel tempio di Dante, cfr. «Il Giorno» del 14 gennaio), con cui d’Annunzio diede inizio, su invito del Comitato dantesco di Firenze, alle Lecturae Dantis, l’8 gennaio 1900. La laude fu recitata pubblicamente dall’Autore, come egli stesso scrive in una lettera del 22 gennaio all’amico Geoges Hèrelle: «Alcuni giorni fa inaugurai in or san Michele la pubblica lettura di Dante. La folla era così grande che circa cinquemila persone occupavano le vie adiacenti cercando di penetrare nella sala. Vi manderò la Laude di Dante» (d’Annunzio 1993, p. 244). La lirica è tutta un succedersi di invocazioni rivolte a Dante, presentato come forza naturale dotata di potere salvifico che si irraggia nei secoli a illuminare le generazioni future della nazione italiana; fu pubblicata sulla «Nuova Antologia» del 16 gennaio e fatta confluire in Elettra con alcune varianti formali.
Lo spunto per la composizione del testo dedicato Al Re giovine (già Ode al Re) datato sull’autografo «notte del 7 agosto 1900», è l’assassinio del re Umberto I, avvenuto a Monza il 29 luglio 1900 con la conseguente successione al trono di Vittorio Emanuele III. Il giovane re ebbe notizia di tali eventi mentre navigava l’Egeo reduce da una crociera a Costantinopoli e il poeta volle vedere in questa contingenza un segno del destino: il presagio che le nuove fortune dell’Italia sarebbero venute dal mare. L’ode fu pubblicata su «Il Giorno» il 12 agosto 1900 e subito suscitò un acceso interesse, tanto che d’Annunzio scrisse a Hérelle il 13 agosto: «Vi mando l’Ode al Re che in questo momento solleva grandissimo rumore».
Altra ode di occasione è Alla memoria di Narciso e Pilade Bronzetti (già Ode alla memoria di Narciso e Pilade Bronzetti – trentini). Con questa lirica il poeta si fa portavoce di quella parte di opinione pubblica che reagì con sdegno all’ordine del governo di rimuovere la corona di fiori mandata dalla città di Trento perché fosse deposta sulla tomba di Umberto I. Tale gesto offendeva i numerosi italiani irredenti che erano intervenuti ai funerali del Re, come testimonia «Il Giorno» del 10 agosto: «Imponente era il gruppo delle terre irredente di Trieste Trento Istria Gorizia e Dalmazia». L’ode ha, ancora una volta, tono profetico: l’evocazione dell’atteso eroe che risolleverà le sorti della Nazione trae spunto da un lato dalle vicende garibaldine in cui trovarono la morte i valorosi fratelli trentini, dall’altro dalla tematica dell’irredentismo visto come una nuova forza capace di risolvere la crisi politica dell’Italia contemporanea. La lirica, datata sull’autografo «Settignano 1900 – 19 agosto – mattina», apparve su «Il Giorno» del 22 agosto, dopo essere stata annunciata sullo stesso quotidiano il giorno precedente: «Domani Il Giorno pubblicherà una nuova ode di Gabriele D’Annunzio. Essa è uscita dall’animo del poeta per l’intervento degli italiani irredenti ai funerali di Umberto I e però è dedicata alla memoria di Narciso e Pilade Bronzetti».
La rivolta antieuropea e nazionalista scoppiata in Cina nel 1900, detta dei Boxers, indusse le nazioni europee a inviare forze militari per proteggere i connazionali che in quel momento si trovavano in Cina dalla minaccia di sterminio. L’Italia inviò un contingente di marinai che combatterono valorosamente da giugno ad agosto, fino alla presa di Pechino. Parecchi furono i caduti e l’ode composta Per i marinai d’Italia morti in Cina (già Ode per i marinai d’Italia Morti in Cina) trae occasione da questi avvenimenti per auspicare la rinascita della nazione italiana sull’esempio di questo valoroso sacrificio. L’ode, datata sull’autografo «Al Secco Motrone: Sera del 9 settembre 1900», fu pubblicata su «Il Giorno» del 14 settembre.
L’ode A Roma, di carattere civile, è composta in occasione del trentesimo anniversario della presa di Roma. Composta il «16 settembre 1900 (pomeriggio)», fu pubblicata su «Il Giorno» del 20 settembre 1900. In tono profetico il poeta esprime la speranza che presto all’Italia sarà restituita l’antica grandezza, e a Roma un ruolo cardine come nel suo passato glorioso.
A uno dei mille, mai stampata prima della princeps, svolge funzione introduttiva al lungo componimento dedicato a Garibaldi. Il protagonista della lirica è un vecchio marinaio nei cui occhi splende ancora l’orgoglio di chi fu uno dei Mille che salparono da Quarto. Amareggiato della situazione presente della Patria e dallo scarso interesse che il popolo italiano mostra per la gloriosa impresa cui egli partecipò, si chiude in silenzio, sdegnato. In calce all’autografo è indicata la data di composizione: «2 giugno 1902».
La Notte di Caprera rappresenta un frammento della più vasta Canzone di Garibaldi ipotizzata inizialmente dall’autore. Annunciandola all’amico Hérelle in una lettera del 3 febbraio 1901 d’Annunzio scrive: «Fra breve vi manderò un poema epico scritto nel metro della Chanson de Roland». Il progetto iniziale era infatti quello di un vero e proprio poema epico composto di ben sette parti. Già in corso di elaborazione nel dicembre 1900, come testimonia una lettera a Treves, La notte di Caprera fu poi recitata dal poeta in diverse occasioni in alcune città italiane, come testimonia un’ulteriore lettera a Emilio Treves del 22 febbraio 1901: «Domani deciderò se il 3 di marzo io debba andare a Genova per leggere là la canzone, l’ultima volta». In un’altra lettera spedita da Milano il 1° marzo, d’Annunzio può ringraziare l’editore per l’avvenuta pubblicazione in opuscolo del testo.
I Canti della morte e della gloria, di composizione tarda e mai a stampa prima della Treves 1904, sono la realizzazione del titolo Threni – cantiamo i morti – presente già nell’elenco di titoli riportato nella c. 4086, conservata presso l’Archivio Personale del Vittoriale. Breve corona di tre sonetti, il testo segna il passaggio dal precedente gruppo di liriche ferventi di passione civile, al gruppo degli epicedi e delle commemorazioni degli eroi dell’arte (Segantini, Verdi, Bellini, Leonardo), del pensiero (Nietzsche) e della poesia (Hugo). Di composizione tarda, verrà inserito dal poeta solo nel fascicolo allestito per il tipografo di Elettra sui fogli manoscritti della minuta.
Per la morte di Giovanni Segantini, dedicata al pittore trentino scomparso il 28 settembre 1899 mentre si trovava sulle Alpi dell’Engadina per dipingere il trittico «La Natura, la Vita e la Morte», apparve su «Il Marzocco» l’8 ottobre seguente. Segantini viene presentato come il pittore montano per eccellenza, che sa comunicare attraverso la sua opera ciò che i luoghi gli hanno ispirato: la purezza della solitudine nelle vette innevate, la potenza della natura e la presenza del divino nella bellezza del creato, in pratica gli stessi motivi già visti in apertura con Alle Montagne.
L’ode Per la morte di Giuseppe Verdi (già In morte di Giuseppe Verdi – Canzone), datata sull’autografo «La Capponcina: il 23 febbraio 1901 – ore 5 1⁄2 di sera», è dedicata al musicista da poco scomparso a Milano (27 gennaio). Letta pubblicamente dall’autore il 27 febbraio nell’Aula Magna dell’Istituto Fiorentino di Studi Superiori, a seguito di un’Orazione commemorativa rivolta ai giovani ivi riuniti, venne pubblicata su «La Tribuna» del 28 febbraio. Nell’opuscolo pubblicato da Treves nel 1901 troviamo In morte di Giuseppe Verdi – Canzone preceduta proprio dall’Orazione ai giovani. Nell’ode il poeta celebra la genialità della musica di Verdi, che seppe esprimere attraverso essa i sentimenti di gioia e dolore comuni a tutti gli uomini.
Nel primo centenario della nascita di Vincenzo Bellini (già Ode), finita di comporre il 25 novembre 1901 per la commemorazione della nascita del musicista catanese (novembre 1801), venne pubblicata su «La Tribuna» del 30 novembre. D’Annunzio ricorda il musicista presentandolo come eroe della Sicilia moderna che seppe esprimere i sentimenti umani attraverso una melodia greca fin da subito compresa dagli italiani ‘figli degli elleni’, che rimase estranea agli altri popoli europei. Piangendo la morte di Bellini in stile e metro greco, il poeta sottolinea la continuità tra Grecia e Sicilia che ha visto rinascere nell’opera del grande musicista.
L’ode Nel primo centenario della nascita di Vittore Hugo è datata in calce all’autografo: «Santa Eleonora: 21 febbraio 1902. Mezzanotte. Laus Deae.». Composta per commemorare la nascita del grande poeta francese (Besançon, 26 febbraio 1802), fu pubblicata per la prima volta nell’opuscolo di Treves; sul «Marzocco» del 26 febbraio 1902 ne venne pubblicata solo la IX strofa. In quest’ode d’Annunzio cerca di ripercorrere le grandi tematiche liriche di Hugo, poeta particolarmente caro agli italiani per il suo interesse per gli avvenimenti risorgimentali della nostra nazione. Attraverso una forzata ellenizzazione del francese tenta di nobilitare il moderno nazionalismo facendolo discendere dalla Grecia, vista come patria archetipica di tutti i valori di cui, secondo d’Annunzio, l’Italia è erede.
Per la morte di un distruttore, composta il 5 settembre 1900, come testimonia la minuta che riporta in calce «Al Secco Motrone: *il 5 di settembre 1900. (ore 3 pom.)» è stata composta in occasione della morte di Friedrich Nietzsche, avvenuta qualche giorno prima (come indicato dalla data del sottotitolo della lirica «F. N. XXV AGOSTO MCM»). La lirica sarà anticipata nel «Giorno» del 9 settembre 1900 e in un secondo tempo posta in Elettra per celebrare Friedrich Nietzsche, eroe del pensiero della cui dottrina d’Annunzio fu il primo scopritore e diffusore in Italia già a partire dal 1892 con La Bestia Elettiva. Tale scritto testimonia una vera e propria affinità elettiva tra il superuomo nordico e il nuovo eroe mediterraneo che il poeta ha già teorizzato e reso protagonista del Piacere e dell’Innocente e che poi rappresenterà nei romanzi e drammi successivi.
L’ode Per la morte di un capolavoro (già Ode per la morte di un capolavoro) datata sull’autografo «*Gabriel *Giorno d’amore – 19 decembre 1900» fu pubblicata per la prima volta sull’«Illustrazione Italiana» il 1° gennaio 1901 con una frase esplicativa, già peraltro comunicata in una lettera del 30 dicembre 1900 a Emilio Treves: «Questa ode fu concepita dal poeta in una sua recente visita a Santa Maria delle Grazie, dinanzi alla ruina irreparabile del Cenacolo Vinciano». La morte dell’affresco e della scena in esso rappresentata viene drammatizzata dal poeta, che vede in essa il simbolo della decadenza italiana.
I Canti della ricordanza e dell’aspettazione segnano il passaggio alla terza e ultima sezione della raccolta: Le città del silenzio. Il testo, mai apparso prima della princeps, manca anche nel fascicolo predisposto per Treves nel 1903, dove è sostituito da una carta (numerata 255), che reca il titolo Canti della Ricordanza e dell’Attesa con l’avvertenza che manca un’ode. Da ciò si desume che il testo fu composto all’ultimo momento come cerniera tra la seconda e la terza sezione. Nel ricordo del passato glorioso è auspicata la venuta dell’eroe «necessario», atteso per la salvezza della patria, che verrà da una delle città momentaneamente oppresse dal silenzio, ma che ricordano un grande passato.
Le città del silenzio, protagoniste dell’ultima sezione, sono per la maggior parte città dell’Italia centro-settentrionale che in epoca contemporanea non hanno avuto ruolo di primaria importanza storica e culturale, ma che l’ebbero all’epoca dei Comuni e delle Signorie, fino al massimo splendore artistico nel corso del Rinascimento. Visitando i luoghi, che ora appaiono solitari e remoti, il poeta cerca di richiamare alla memoria eventi e personaggi che le resero importanti nella speranza, sempre viva, di vederle rinascere in un presente che appare dominato dalla viltà e dalla miseria morale.
Il trittico iniziale dell’ultima sezione, Le città del silenzio: Ferrara, Pisa, Ravenna fu pubblicato per la prima volta sulla «Nuova Antologia» il 16 novembre 1899, assieme ad altri quattro componimenti: L’Annunzio, destinato a confluire in Maia, Canto augurale per la Nazione eletta, che farà parte di Elettra e Bocca d’Arno e La sera fiesolana che finiranno in Alcyone. Il trittico recava allora titoli separati: Il silenzio di Ferrara, Il silenzio di Pisa, Il silenzio di Ravenna.
I quattro sonetti dedicati alle città di Rimini, Urbino, Padova e Lucca uscirono sul «Marzocco» del 28 dicembre 1902 raggruppate sotto il comune titolo Le città del silenzio. Rimini. Urbino. Padova. Lucca.
Qualche settimana prima sulla «Nuova Antologia» del 1° dicembre 1902 uscirono i sonetti dedicati alle città toscane e umbre col seguente titolo: Dal Secondo Libro delle Laudi. Le città del silenzio. Perugia. Assisi. Spoleto. Gubbio. Spello. Montefalco. Narni. Todi. Pistoia. Prato. Arezzo. Orvieto. Cortona.
Infine sulla «Nuova Antologia» del 1° novembre 1903 furono pubblicate le altre città del silenzio accomunate dal titolo Dal Secondo Libro delle Laudi. Le città del silenzio. Bergamo. Carrara. Volterra. Vicenza. Brescia. Ravenna.
Le date di composizione delle Città del silenzio non sono testimoniate dagli autografi, ad eccezione di Pistoia, la cui minuta reca in calce: «Settignano 9 settembre 1902». Per datare approssimativamente i sonetti, pertanto, ci soccorrono solo le pubblicazioni in rivista come terminus ante quem e una lettera a Pepi Treves che d’Annunzio scrisse il 17 novembre 1902: «ho finito cinquanta sonetti in gloria di 25 città italiane» (d’Annunzio 1999, p. 591), ovvero l’intera sezione delle Città del silenzio.
Il Canto di festa di Calendimaggio, che secondo l’autore stesso risale all’anno 1900 (cfr. Per l’Italia degli italiani, Treves 1923), venne pubblicato sul «Secolo XX» solo nel giugno 1902. Il componimento trae spunto da un’occasione di carattere sociale, il 1° maggio, festa del lavoro, per esortare tutti i lavoratori a svolgere con gioia le proprie mansioni e a prendere coscienza della propria importanza evitando di cadere nelle illusioni della demagogia socialista.
Il Canto augurale per la Nazione eletta, ode che chiude la raccolta, fu pubblicato per la prima volta sulla «Nuova Antologia» del 16 novembre 1899, assieme ad altri quattro testi delle Laudi (cfr. quanto detto poco sopra per Ferrara, Pisa, Ravenna.). L’edizione in rivista, priva del titolo, recava varie titolature a margine: L’Aurora (strofa 1), La Vittoria (strofa 2), La Consacrazione dell’Aratro (strofa 6), L’Arsenale (strofa 9), La consacrazione della Prora (strofa 10), L’Alto Destino (strofa 11). Nell’ultima ode del libro si realizza ciò che in ogni componimento era stato in vari modi annunciato, augurato, atteso: l’Italia finalmente si riscuote dal lungo sonno sotto il volo della Vittoria Alata, simbolo di un futuro nuovamente trionfale.
Stile e interpretazioni
Elettra fu a lungo trascurata dalla critica per la retorica altisonante e oratoria di alcuni suoi componimenti e per quell’apparente carattere “raccogliticcio” del libro. In effetti d’Annunzio la compose per affermarsi come nuovo vate della patria e ideale erede di Carducci, celebrando il Risorgimento e prefigurando l’esaltazione della Grande guerra. Ma se alcuni testi poggiano su discutibili idee nazionalistiche (ad esempio l’ode Al Re giovine o il Canto augurale per la nazione eletta), altri risultano poeticamente ben riusciti. Si deve all’edizione critica di Elettra a cura di Sara Campardo (2017) una rivalutazione e messa a nuova luce dell’intero secondo libro delle Laudi, allontanandolo da quell’idea che la critica si era fatta negli anni di un libro propagandistico nato per aggregazione di momenti lirici isolati. Si tratta certamente di odi composte per precise occasioni, atte a celebrare gli eroi nel centenario dalla nascita o in occasione della loro morte (eroi della patria e dell’azione, ma anche eroi dell’arte, del pensiero e della letteratura), ma il libro ha una sua autonomia e una sua progettualità e può essere considerato un unicum, ideato e voluto da d’Annunzio a coronamento delle prime tre Laudi, negli anni di trapasso da un secolo all’altro e nel momento della conversione del Poeta da Imaginifico a Vate.
Assieme all’edizione critica sono stati fucina di idee i convegni dannunziani su Elettra organizzati negli anni. Dal primo furono pubblicati gli Atti del 30° Convegno nazionale di studi dannunziani, Elettra, Chieti-Pescara, 23-24 maggio 2003, Pescara, Ediars, 2003, tra cui si segnalano i saggi di Simona Costa, Pietro Gibellini, Giorgio Barberi Squarotti, Angelo Piero Cappello, Antonio Zollino. Il più recente convegno, ideato e proposto da Raffaella Bertazzoli e Pietro Gibellini, promosso dal Centro Nazionale di Studi Dannunziani e organizzato da Elena Ledda il 22 e 23 ottobre 2020 (poi rimandato, annullato e organizzato online a causa della pandemia), lancia nuove sfide, nuove prospettive e nuovi orizzonti di avvicinamento al Secondo Libro delle Laudi, sondandone le idee e il linguaggio (Pietro Gibellini), i grandi personaggi storici che ivi si fanno eroi (Ester Capuzzo, Carlo Santoli, Alberto Granese, Marco Mangani, Andrea Lombardinilo), la morfologia del silenzio dell’ultima riuscitissima sezione (Raffaella Bertazzoli).
Le poesie di Elettra, scaturite per la gran parte da occasioni celebrative, sono assemblate da d’Annunzio «con un’abilità che conferisce al libro un’unità non solo apparente, facilitata dal fatto che i testi poggiano su una base comune di pensiero e linguaggio» (Gibellini 2021, p. 15).
I riferimenti a monti, cime, vette, rocce, macigni e simili costellano quasi tutte le poesie, dalla proemiale Alle montagne, che compendia tutto il pensiero dannunziano, alla laude per il pittore montano per eccellenza, Segantini, a Dante, presentato con fronte rocciosa e formatosi nel «sacro monte», all’equiparazione dell’isola tiberina a un petroso vascello nell’ode a Roma. Quella di Elettra è una natura «statica e dinamica allo stesso tempo: quella che provoca il perenne ondeggiare del mare e il soffio dei venti, l’immobilità delle montagne, il ciclo delle stagioni […]. Secondo d’Annunzio, erede in questo del pensiero risorgimentale, al passato imperiale di Roma e alla perdurante decadenza succederà fatalmente un ritorno dell’Italia alla gloria; in questa fase di pausa silenziosa, sospesa tra «ricordanza» e «aspettazione», si attende l’Eroe che propizierà il riscatto, dando nuova luce all’umanità» (ivi, p. 16). Ed ecco, a prefigurare l’Eroe, una serie di superuomini, tra cui spicca Per la morte di un distruttore (Nietzsche), che contiene una silloge di tutte le idee che permeano l’intero libro e che in svariati passi traduce direttamente da Così parlò Zarathustra.
Il filo rosso che tiene insieme l’intera raccolta è proprio la figura dell’Eroe, la cui epifania è attesa dall’inizio (Alle montagne) alla fine (Canto augurale per la Nazione eletta).
Eroe per antonomasia è Garibaldi, in Elettra cantato nel lungo poemetto a lui dedicato (La notte di Caprera), ma anche in A uno dei mille e nell’ode Alla memoria di Narciso e Pilade Bronzetti.
Ma «Eroe / primo di nostro sangue» è Dante, nume tutelare dell’intero libro, che riunisce in sé l’eroe dell’arte, del pensiero e della patria e proietta la sua ombra anche su altri testi, da quello in memoria dei fratelli Bronzetti ai marinai d’Italia morti in Cina, da Garibaldi ai Canti della morte e della gloria, dall’epicedio per Giuseppe Verdi alle odi in onore di Bellini e Hugo, fino alla fine, dove lo si vede perfino aggirarsi tra alcune città del silenzio: Gubbio, Orvieto, la sua Ravenna. «Presentandolo come protagonista non di un viaggio verticale dall’inferno al paradiso, ma di una navigazione nel mare orizzontale dell’umanità, nell’«oceano senza rive tra due / poli, tra il Bene e il Male», d’Annunzio lo trasforma in un sosia del «Barbaro enorme» di Nietzsche» (ivi, p. 22-23).
«D’Annunzio non è un interprete di Dante, ne è l’erede: potrebbe spiegarsi in questi termini un dantismo che non mira all’esegesi, ma alla rivitalizzazione del padre della lingua e della poesia italiana, […] perché il dantismo dannunziano è un processo culturale a tutto tondo, mai esercizio filologico» (Lombardinilo 2021, p. 145).
La grande tematica del silenzio, cui d’Annunzio dedica un’intera sezione di Elettra, transita lungo le pagine della Beata riva (1900), nel colloquio tra l’amico e autore Angelo Conti e d’Annunzio a ridosso della pubblicazione delle prime tre città del silenzio, Ferrara, Pisa, Ravenna: «Sono in Italia alcuni luoghi, nei quali ha parlato e parlerà in eterno il genio umano, nei quali è diffusa una particolar luce e si respira una speciale atmosfera, chiusi al rumore vano dell’esistenza e aperti al vivente silenzio delle idee» (Conti 2000, p. 44).
«Il silenzio che avvolge le città di Elettra è gravido di significati e si qualifica come il dire poetico più autentico. In quest’accezione unisce due elementi della sfera emotivo/sensoriale, “ricordanza” e “aspettazione”, menzionati nel titolo del testo che apre la silloge. Cioè: esercizio della memoria e sentimento del desiderio/speranza. In tal modo d’Annunzio intreccia il silenzio all’azione eroica nel tempo sospeso dell’attesa:
È figlia al silenzio la più bella sorte.
Verrà dal silenzio, vincendo la morte,
l’Eroe necessario. Tu veglia alle porte,
ricòrdati e aspetta.
Col silenzio si attiva la “ricordanza”, con cui è possibile ricostruire il passato facendolo coincidere con “l’aspettazione”, con il desiderio del futuro» (Bertazzoli 2021, pp. 118-119).
Bibliografia essenziale
Edizione critica di riferimento:
Gabriele d’Annunzio, Elettra, edizione critica a cura di Sara Campardo, Gardone Riviera, Il Vittoriale degli italiani («Edizione nazionale delle opere di Gabriele d’Annunzio»), 2017; https://edizionedannunzio.wordpress.com/wp-content/uploads/2023/05/dan-elettra.pdf.
Edizioni apparse in vita:
Gabriele d’Annunzio, Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, vol. II, Milano, Treves, 1904 (editio princeps).
Gabriele d’Annunzio, Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, libro II, Milano, Treves, 1906.
Gabriele d’Annunzio, Elettra, Verona, Bodoni (Mondadori), 1928 (Istituto Nazionale per la Edizione di Tutte le Opere di Gabriele d’Annunzio).
Gabriele d’Annunzio, Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, Elettra, Roma, Per l’Oleandro, 1934.
Edizioni commentate:
Gabriele d’Annunzio, Elettra, con interpretazione e commento di E. Palmieri, Bologna, Zanichelli, 1943.
Gabriele d’Annunzio, Versi d’amore e di gloria, vol. II, a cura di A. Andreoli e N. Lorenzini, Milano, Mondadori, 1984.
Bibliografia secondaria:
Stefano Agosti, Tecniche della trasposizione in d’Annunzio, in «Il Verri», n. 7-8, pp. 9-20.
Luciano Anceschi, Ipotesi di lavoro sui rapporti tra d’Annunzio e la lirica del Novecento, in Barocco e altro, Milano, Rusconi e Paolazzi, 1960, pp- 125-136.
Giorgio Bàrberi Squarotti, Dante: l’inno e altro, in Elettra. 30° Convegno di Studio, Centro Nazionale di studi dannunziani, Chieti-Pescara, 23-24 maggio 2003, pp. 37-50.
Raffaella Bertazzoli, Verso “Elettra”: d’Annunzio (Pascoli) e la poesia civile, in Elettra. 30° Convegno di Studio, cit., pp. 38-51.
Raffella Bertazzoli, La morfologia del silenzio nell’ultima sezione di “Elettra”, in Celebrare gli eroi. D’Annunzio e il libro di “Elettra”, a cura di Raffella Bertazzoli e Pietro Gibellini, 47° Convegno di Studi dannunziani, Centro Nazionale di studi dannunziani, Pescara, 22-23 ottobre 2020, pp. 115-138.
Carlo Bo, D’Annunzio e la letteratura del Novecento, in L’arte di Gabriele d’Annunzio, Atti del convegno internazionale di studio, Venezia-Gardone Riviera-Pescara, 7-13 ottobre 1963, Milano, Mondadori, 1968, pp. 69-79.
Sara Campardo, Il secondo Libro delle “Laudi”: genesi ed elaborazione, in Celebrare gli eroi. D’Annunzio e il libro di “Elettra”, a cura di Raffella Bertazzoli e Pietro Gibellini, 47° Convegno di Studi dannunziani, cit., pp. 25-38.
Milva Maria Cappellini, Note in margine alle “Città del silenzio”, in Elettra. 30° Convegno di Studio, cit., pp. 140-151.
Angelo Piero Cappello, Elettra fra ‘ricordanza’ e ‘aspettazione’, in Elettra. 30° Convegno di Studio, cit., pp. 139-150.
Ester Capuzzo, Il mito di Garibaldi dall’Unità al primo dopoguerra, in Celebrare gli eroi. D’Annunzio e il libro di “Elettra”, a cura di Raffella Bertazzoli e Pietro Gibellini, 47° Convegno di Studi dannunziani, cit. pp. 39-50.
Carlo Carena, I miti di Elettra, in Elettra. 30° Convegno di Studio, cit., pp. 7-14.
Angelo Conti, La beata riva. Trattato dell’oblìo, a cura di Pietro Gibellini, Venezia, Marsilio, 2000.
Gianfranco Contini, Innovazioni metriche fra Otto e Novecento, in Varianti e altra linguistica, Torino, Einaudi, 1970, pp. 587-599.
Simona Costa, 1903, l’anno delle Laudi, in Elettra. 30° Convegno di Studio, cit., pp. 15-26.
Gabriele d’Annunzio, Alcyone, ed. critica a cura di Pietro Gibellini, Milano, Mondadori, 1988.
Gabriele d’Annunzio, Alcyone, ed. critica a cura di Pietro Gibellini, commento di Giulia Belletti, Sara Campardo, Enrica Gambin, Venezia, Edizione nazionale-Marsilio, 2018.
Gabriele d’Annunzio, Maia, a cura di Cristina Montagnani, Gardone Riviera, Il Vittoriale, 2006.
Gabriele d’Annunzio, Lettere ad Angelo Conti, a cura di Ermindo Campana, in «Nuova Antologia», a. LXXIV, fasc. 1063 (1° gennaio 1939).
Gabriele d’Annunzio, Lettere a Georges Herelle 1891-1913, a cura di Maria Giovanna Sanjust, Bari, Palomar, 1993; nuova edizione completa: Carteggio D’Annunzio-Hérelle (1891-1931), a cura di Mario Cimini, Lanciano, Carabba, 2004.
Gabriele d’Annunzio, Lettere ai Treves, a cura di Gianni Oliva, Milano, Garzanti, 1999.
Gabriele d’Annunzio, Versi d’amore e di gloria, vol. II, a cura di Annamaria Andreoli e Niva Lorenzini, Milano, Mondadori, 1984.
Eurialo De Michelis, Tutto d’Annunzio, Feltrinelli, Milano, 1960.
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Franco Gavazzeni, Le sinopie di “Alcione”, Milano-Napoli, Ricciardi, 1980.
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Carlo Santoli, Giuseppe Verdi e Vincenzo Bellini nel II libro di “Elettra” di Gabriele d’Annunzio, in Celebrare gli eroi. D’Annunzio e il libro di “Elettra”, a cura di Raffella Bertazzoli e Pietro Gibellini, 47° Convegno di Studi dannunziani, cit. pp. 93-98.
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Antonio Zollino, Elettra nel Novecento italiano, in Elettra. 30° Convegno di Studio, cit., pp. 213-234.