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Casati Stampa, Luisa (Corè)

di  Floriana Conte, Enciclopedia dannunziana

Corè, l’altro appellativo greco di Persefone, spetta alla marchesa Luisa Casati Stampa per tutto il rapporto di amicizia amorosa con d’Annunzio, dopo una parentesi iniziale in cui d’Annunzio le tributa l’etichetta di “Monna Lisa”. Ancora il 27 marzo 1930 d’Annunzio si rivolge alla marchesa quarantanovenne con gli appellativi infernali a lei graditissimi di «Stigia Coré», «letéa Coré», «averna Coré» (Infiniti auguri, p. 165). Prima dell’avvento di Casati, entro il 1900 d’Annunzio si era assegnato la qualifica di «poeta di Persefone» nel primo dei romanzi della trilogia incompiuta dei Romanzi del Melagrano, Il fuoco (p. 80), consacrando a sé stesso come simbolo personale la melagrana e rivolgendosi così alla Foscarina/Eleonora Duse, che agli occhi del suo drammaturgo assume il volto di Persefone: 

Vi ricordate voi della scena in cui Persefone è sul punto di sprofondarsi nell’Erebo […]? Il suo volto somiglia al vostro quando s’oscura. […] È la vostra maschera, Perdita. […] nessun pittore avrebbe potuto rappresentarmi su la tela senza mettere nella mia mano il pomo punico. […] Voi medesima, Perdita, non vi compiacete di educare nel vostro giardino un bel melagrano per vedermi fiorire e fruttificare in ogni estate? Una vostra lettera […] mi descriveva la cerimonia graziosa con che adornaste di monili l’arbusto “effrenico” nel giorno stesso in cui vi giunse il primo esemplare di Persephone (pp. 13-23).

Della simbologia ctonia della regina degli inferi, del suo attributo precipuo, la melagrana, e della caratteristica interpretativa assunta nel romanzo dall’attrice che l’aveva preceduta vicino a d’Annunzio, Casati si appropria fino a recitare in tutto e per tutto un personaggio che stupisce d’Annunzio nelle sue messe in scena performative e nel rapporto con la ritrattistica. 

Roberto Montenegro, Luisa Casati come Coré/Persefone con un abito di Bakst e Poiret, tavola fuori testo in Pica 1915

Nel 1915 Vittorio Pica riproduce su «Emporium» in una tavola fuori testo il ritratto a china dell’illustratore messicano Roberto Montenegro, per il quale Casati, in un costume disegnato da Leon Bàskt e tessuto d’argento da Paul Poiret, posa nei panni di ‘Coré’ con in mano una melagrana. D’Annunzio coglie il messaggio: «Il ritratto d’oro è molto bello. E Coré porta la mia melagrana: il pomo pùnico!» (Infiniti auguri, p. 97). L’ambientazione che spinge all’estremo il decorativismo di Aubrey Beardsley consente a Pica di inserire il ritratto in un canone figurativo contemporaneo piuttosto alto, «accanto alle altre glorificatrici immagini che della snella e flessuosa persona, dalla grazia aristocraticamente raffinata, dell’intellettuale gentildonna lombarda hanno fissato, sulla tela e sulla carta o nella cera, Boldini e Bakst, Martini e Troubetzkoy» (Pica 1915, p. 31).<
A partire dal 1908 la marchesa è una musa attiva degli artisti, dei quali è mecenate e collezionista e ai quali commissiona esclusivamente propri ritratti; non fa distinzione tra tecniche, materiali e generi e fonda su una capillare diffusione delle riproduzioni di essi, oltre che sulle esposizioni d’arte (a Parigi, alle Biennali veneziane, alle mostre romane e milanesi), la codificazione della propria immagine ispirata anche a modelli rinascimentali, pianificata anche in dialogo con d’Annunzio e allineata ad alcuni dei più avanzati risultati della ricerca d’archivio su temi storico-artistici. L’identificazione con l’Isabella Inghirami delle allucinate pagine d’esordio del
Forse che sì forse che no e, per transfert, con Isabella d’Este, può aver influito su scelte e interessi della marchesa milanese, che sembrano orientarsi nella direzione di un’emulazione della marchesa di Mantova: dal rapporto con pittori, sarti e orefici a quello (di funesto esito per Luisa) col denaro.
Tra l’ingresso di Luisa nella mitologia letteraria con il (composito) personaggio di Isabella Inghirami nell’ultimo romanzo di d’Annunzio
e la più tarda menzione della marchesa col nome di Coré da parte dello stesso autore nel Libro segreto corrono venticinque anni (tenendo conto delle date di pubblicazione delle due opere, non delle fasi di redazione); tale lasso di tempo coincide grosso modo con il periodo che segna la presenza della marchesa nel mondo dell’arte.

***

Luisa Amman nasce a Milano il 23 gennaio 1881, secondogenita della milanese Lucia Bressi e dell’industriale del cotone d’origine ebraica, monzese con ascendenze austriache, Alberto Amman. Il 22 giugno 1900 a Pordenone Luisa sposa il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, diventando nota in società come marchesa Casati Stampa. Si separa nel 1914.
Probabilmente già nell’autunno 1903, la ventiduenne Casati incontra il quarantenne d’Annunzio durante una battuta di caccia. Gabriele è alla fine della relazione con Eleonora Duse, dalla quale si separa definitivamente nel 1904, l’anno in cui le porte dell’Inferno si spalancano ai due cognati adulteri della tragedia
Francesca da Rimini attraverso le violette (Colombo 2014, p. 103), i fiori che d’Annunzio predilige per omaggiare le donne. Il 4 maggio 1905 il flirt con Luisa è già oggetto di gossip: per «Ruy-Blas» d’Annunzio è intenzionato a godersi un nuovo idillio con una «fanatica dello sport molto famosa nell’aristocrazia milanese, di cui è uno degli ornamenti più eleganti». Nel 1908 a Roma d’Annunzio manda delle violette «brune» a Casati. La prima attestazione diretta datata di una buona conoscenza tra i due risale al gennaio 1908: entrambi si trovano a Roma, da dove il poeta spedisce alla marchesa un biglietto, forse per assistere alla prima della sua tragedia La Nave al Teatro Argentina l’11 gennaio (Infiniti auguri, pp. 45, 43, s. d.).
La marchesa merita dunque lo pseudonimo di “Monna Lisa” (attestato da una lettera di d’Annunzio s. d. ma precedente il 17 marzo 1908:
Infiniti auguri, p. 43). D’Annunzio sollecita un nuovo incontro il 4 giugno 1909 presso il proprio palco al Teatro Argentina per «assistere alla rappresentazione straordinaria della “Figlia di Iorio” per udire Marinella Bragaglia che non conosco nella parte di Mila» (Infiniti auguri, p. 47). Il 4 giugno 1909 d’Annunzio dedica a Casati «i piccoli fiori ideali del Pisanello di Bergamo» (Infiniti auguri, p. 48), cioè i fiori purpurei sfumati sullo sfondo botanico del ritratto di Lionello d’Este all’Accademia Carrara.

Giovanni Boldini, La marchesa Luisa Casati con due levrieri neri, olio su tela, cm. 253, 4 x 140, 5, 1908, Gran Bretagna, dal 1995 in collezione di Andrew Lloyd-Webber

La marchesa si fa ritrarre come una Monna Lisa che è scesa agli inferi a scegliere la sua toilette dal ritrattista più ricercato dall’alta società, Giovanni Boldini. Il ritratto più celebre e meno ammirato dal vivo della Casati (olio su tela, cm. 253, 4 x 140, 5) viene esposto a Parigi al Salon de la Société Nationale des Beaux–Arts inaugurato il 14 aprile 1909, mentre l’effigiata è a Roma e aspetta di farsi spedire a casa il ritratto a mostra finita, accontentandosi del ritaglio della recensione della mostra da «Le Figaro» (si deduce dalle lettere a lei indirizzate da Boldini il 5 gennaio, il 28 marzo, il 13 e il 14 aprile 1909 riunite da Dini-Dini, Boldini, II. L’epistolario, pp. 184-185). Appena asciugato, il ritratto viene esposto da Boldini insieme a quelli dei Coniugi Lydig a passeggio nel Bois e della Contessa de Pourtalès e assume la primazia su tutti gli altri dipinti esposti. Successivamente si guadagna fama grazie a un’accurata divulgazione a stampa promossa dalla stessa committente tra Parigi e l’Italia, sulle più rinomate riviste destinate a un pubblico ricco e femminile: la prima riproduzione appare sul più diffuso giornale francese di moda e costume dell’epoca, «Femina», il 1º dicembre 1909.
L’armamentario sfoggiato dalla Casati nel dipinto era piuttosto chiaro agli osservatori del tempo; è stato progressivamente sempre meno comprensibile a chi ne ha stilato schede e pagine critiche, anche per la difficoltà di accesso al quadro. La marchesa vi compare come una moderna dea degli inferi, superando in enigmaticità perfino Monna Lisa. La moda del sorriso ‘alla Gioconda’, ormai intesa come fatale donna-vampiro, aveva attecchito negli ambienti intellettuali parigini a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento e d’Annunzio l’aveva diffusa in Italia (Praz 1999 [1930], pp. 215-218: 217). Luisa è accompagnata da due levrieri neri, è raffigurata in guanti bianchi e in abito da passeggio di seta nera e viola, in vita sfoggia un mazzolino di violette dannunziane, si accinge a entrare nello studio di Boldini o forse ne sta uscendo (tra il 1908 e il 1909 la marchesa possedeva due cani neri, Erebo e Lete; lo sappiamo da d’Annunzio,
Infiniti auguri, pp. 44, 48, che non ne specifica la razza).
Il giorno dopo l’inaugurazione della mostra, Arsène Alexandre (Alexandre 1909, p. 5) chiama in causa Carpaccio, Tintoretto e Goya come ‘primitivi’ di Boldini, capisce la modernità estrema della combinazione dei colori e del superamento di una certa forma di realismo nel ritratto; ma quando passa a commentare fisionomia, mimica facciale e abbigliamento della marchesa (i grandi occhi, il vestiario inconsueto per posare in un interno), riconosce il clima complessivamente ctonio e contrappone la rappresentazione della marchesa alla
Gioconda: il ritratto segna il superamento del primato dell’enigmaticità femminile in Francia fino a quel momento spettante, per gli stessi motivi (presunta diabolicità ecc.), alla misteriosa effigiata del Louvre.
Con queste premesse, il flirt tra la marchesa e il poeta si traduce in passione a Parigi nel luglio 1913. A Saint-Germain-en-Laye, residenza reale di caccia nei pressi di Le Vésinet, d’Annunzio e Casati entrano in uno stato di ebbrezza dopo tre coppe di champagne Cordon rouge e d’Annunzio bacia Casati con tale trasporto da farla sanguinare:

Le giuro che non ho nessuna coscienza del fatto strano… Soltanto che avevo nella bocca il sapore del sangue, e che tutta la notte ho sofferta la sete per non voler bere…»; «Chiudo gli occhi, ripenso, rivedo. Posso riavere nella bocca il sapore del sangue, come nella sera a traverso il Bosco. Posso di nuovo succhiare il collo di Coré»; «Da qualche sera, la mia malinconia è così pesante e i miei pensieri sono così pericolosi che, in commemorazione della terrazza di Saint Germain, a pranzo bevo tre coppe di Cordon rouge.

In una sovrapposizione tra immaginazione e fisicità dell’erotismo, il bacio sanguigno alla marchesa attuato nel 1913 ha una prova generale letteraria nell’allucinata visita iniziale al Palazzo ducale di Mantova in Forse che sì forse che no (pp. 34-35), che termina nell’allusione al bacio sanguigno dato a Isabella (alter ego della marchesa nel romanzo): 

Gli disse quella parola entro la bocca, sotto la lingua; gliela disse entro la gola, alla sommità del cuore. […] Ed entrambi sentivano la durezza dei denti nelle gengive che sanguinavano. E arrossato da una sola piccola goccia era tutto il fiume carnale che fluiva sul mondo. 

Il 9 agosto 1913 d’Annunzio parafrasa e varia il passo del romanzo, usandolo per un auspicio erotico: «Mi giungerà una parola, quella che tu non puoi dire? Io te la dico, nel collo nudo, presso alle labbra, senza respiro» (Infiniti auguri, p. 71).
In un gioco di specchi, in
Forse che sì forse che no le peculiarità di Casati che si identificava in Isabella d’Este entrano nella personalità sadomasochistica e creativa di Isabella Inghirami: «Eri anche allora la più elegante dama d’Italia. […] Oggi hai per rivali Luisa Casati, Ottavia Sanseverino, Doretta Rudinì; allora gareggiavi con Beatrice Sforza, con Renata d’Este, con Lucrezia Borgia […] Tu inventavi le mode» (Forse che sì, pp. 57-59).
La domanda: «Ricordi la ventesima delle variazioni beethoveniane sul tema del Diabelli dedicate ad Antonia Brentano?», attribuita ad Aldo in
Forse che sì forse che no (p. 196), ha un’eco in una precedente affermazione di Casati ricordata da d’Annunzio in una lettera a lei del 9 agosto 1913 (Infiniti auguri, p. 67).
La lunga relazione tra Luisa e Gabriele, eccezionalmente più intellettuale che sessuale, è sostenuta anche dai ritratti, tradizionale stimolo per la memoria del cuore. Al 6 agosto 1913 risale l’annotazione autografa di d’Annunzio sotto una copia del ritratto di Casati scattato dal barone de Meyer: «La carne non è se non uno spirito promesso alla Morte». La frase è rivolta direttamente a Luisa nella lettera del 9 agosto 1913 (
Infiniti auguri, p. 69); compare alla fine del Libro segreto, con una variante adiafora («devoto» sostituisce «promesso»).

Adolf de Meyer, La marchesa Casati, 1911, in una cornice con la massima autografa di d’Annunzio del 6 agosto 1913, Gardone Riviera, Fondazione Il Vittoriale degli Italiani

Dieci anni dopo, il 12 dicembre 1923, d’Annunzio sollecita la memoria erotica della Casati: «vi ricordate di Parigi, di Venezia, della “figura di cera”, delle cose blu, della terrazza di Saint Germain, del segno sanguinoso sul collo senza sangue…» (Infiniti auguri, pp. 56-57, 69, 74, 123).
D’Annunzio trasfigura le caratteristiche fisiche e caratteriali della Casati (bellezza androgina, inquietudine, passione per arti figurative e teatrali, magia, esoterismo, droghe, abbigliamento) in diverse opere dopo
Forse che sì forse che no: in Solus ad solam, nei Taccuini, nel Notturno, in Di me a me stesso. Il frammento di un’opera incompiuta, Note indelebili su tre donne imperfette, inizia e finisce con un’allusione alla Casati/Coré/Persefone (Castagnola 2010). La prosa poetica erotico-macabra La figure de cire è plasmata su un’idea della Casati sviluppata da d’Annunzio insieme alla stessa marchesa nel corso degli anni, a partire dal primo episodio erotico del 1913, che configura in una sorta di contatto vampiresco non consumato il coinvolgimento erotico tra i due. D’Annunzio avrebbe dovuto pubblicare La figure de cire (inizialmente intitolata Dans l’ivresse nel manoscritto già di proprietà di Casati e ora presso la Biblioteca Cantonale di Lugano: cfr. R. Castagnola, La figure de cire, in d’Annunzio, Infiniti auguri, pp. 193-194) fin dal 1913 in un volumetto da Treves corredandolo con un ritratto di Luisa, come si deduce dalla lettera del 29 gennaio 1924 in cui Luisa specifica: «Ecco due disegni di Drian. La fotografia per la Figura di cera non è pronta. Prendi per il libro quella che ho dato» (in Infiniti auguri p. 132: forse Luisa si riferisce a una delle due copie della fotografia scattatale a Parigi da Man Ray due anni prima, ritrovate nello scrittoio dell’Officina della Prioria al Vittoriale in una busta sulla quale si legge: «La figura di cera | Gli occhi di vetro e gli occhi morenti…| Coré – Coré – Coré»: Castagnola, Prefazione, in Infiniti auguri p. 17; una terza copia dello scatto è esposta nello stesso ambiente, in una cornice con la dedica autografa: «A Ariel Coré La figura di Cera 17 Dicembre 23»). Il testo della prosa venne inglobato nel Libro segreto uscito nel 1935 (a una «figura di cera» in suo possesso, sicuramente in miniatura, fa riferimento nel febbraio 1922 d’Annunzio descrivendo la statuetta «vestita di merletti preziosi e ornata del toson d’oro. Fragilissima, ha sfidato i viaggi e i pericoli. Non le manca neppure un dito delle tenuissime mani. Sembra un’immaginetta foggiata per l’involtura»: Infiniti auguri, p. 117). Potrebbe trattarsi della statuetta polimaterica anonima «solo di recente riemersa all’attenzione fra le migliaia di oggetti che affollano il Vittoriale»: la proposta è di Castagnola 2014, pp. 197, 206).

La marchesa Casati (?), 1908 ca., cera, ferro, tessuto e legno, 30 x 7 x 10 cm, Gardone Riviera, Fondazione Il Vittoriale degli Italiani

Nello stesso 1913 Luisa si fa ritrarre a Parigi da Amos Nattini, tra le Canzoni delle gesta d’oltremare e l’Inferno dantesco, dopo una sollecitazione di d’Annunzio.
Quando nel 1916 d’Annunzio trascorre la convalescenza nella Casetta rossa a Venezia dopo l’incidente aereo che gli ha fatto perdere un occhio, sulla sponda opposta del Canal Grande vede Palazzo Venier dei Leoni, a fasi alterne abitato da Casati. Nel
Notturno d’Annunzio eterna la Coré regista e interprete di feste fantastiche nel palazzo veneziano: «la casa mozza di Coré ha più che mai un’apparenza di rovina incantata. […] Da quella scala che ora è un’ombra di velluto, in un plenilunio d’estate che sembra remotissimo, usciva la mascherata condotta dall’Arlecchino bianco che portava sopra l’omero un pappagallo azzurro e al guinzaglio una di quelle piccole pantere» (d’Annunzio, Notturno, 1921, p. 31).
Da Venezia Casati scrive a d’Annunzio: «Leggi il salmo XXXVI. È molto bello». Il salmo è un invito a desistere dall’autolesionismo emotivo: «non irritarti per chi ha successo, per l’uomo che trama insidie. Desisti dall’ira e deponi lo sdegno, non irritarti: faresti del male» (
Infiniti auguri, p. 180).
Nel 1917 i due amici si scambiano informazioni sulla ritrattistica estense tramandata dalle medaglie.
Il 5 dicembre 1917 d’Annunzio risponde così a una lettera di Luisa (perduta): «Conosco questa effigie dell’Estense; anzi posseggo la medaglia, e amo infinitamente il rovescio». Allo stato attuale non sappiamo se Luisa si sia procurata un esemplare della medaglia col ritratto di una [o un?] Estense (forse proprio Isabella), oppure se abbia inviato al poeta una riproduzione della medaglia, di cui egli dichiara di essere già in possesso (d’Annunzio, Infiniti auguri, p. 106). Non credo che d’Annunzio alluda alle medaglie pisanelliane di Cecilia Gonzaga e Novello Malatesta citate ne Il fuoco (su cui cfr. Tamassia Mazzarotto 1949, pp. 530-535); ad oggi non è noto se d’Annunzio possedeva un esemplare della medaglia di Isabella d’Este dovuta a Gian Cristoforo Romano (sulla quale si vedano Agosti, Ai fanatici della Marchesa, 2005, pp. XXXVI-XXXVII e n. 109; Agosti, Su Mantegna I. 2005, p. 477, e la scheda di Marongiu 2005, n. 5). All’asta dei beni della Capponcina nel 1911 andò il lotto 540: «Tre medaglie bronzo, due con effige [sic] Eleonora Estense e nel verso due diverse allegorie opera del Pisanello»: cfr. Catalogo della collezione Gabriele d’Annunzio, 1911, p. 39).
A una prima mediazione dannunziana si deve anche il ritratto più eccentrico e profondamente teatrale commissionato da Casati. Lo dipinse controvoglia a Capri “Cinerina”, la pittrice americana Romaine Brooks, che d’Annunzio raccomandò a Casati il 2 agosto 1919 (
Infiniti auguri, pp. 110-111). Brooks ricordò anni dopo l’incompatibilità con la modella: «Sembra un quadro di Félicien Rops… al posto dei piedi le ho fatto degli artigli… pensavo che si sarebbe messa a urlare e invece disse che ero un genio […]. Non avevo mai fatto nulla di teatrale. È enorme» (Desbruères 1968).

Romaine Brooks, La marchesa Casati, 1920 ca., olio su tela, 248 x 120 cm, collezione Lucile Audouy

Casati impersona anche vere e proprie eroine del teatro dannunziano. Entro il 1920, impone a Federico Beltran y Masses (pittore apprezzato da Rodolfo Valentino, che fu anche suo modello) una posa di una sola notte per un ritratto nel quale appare come la Basiliola di La nave (che sta per diventare di lì a un anno un film con Ida Rubinstein diretto da Gabriellino d’Annunzio), con una nave a vela sullo sfondo e in mano una sfera, dono di d’Annunzio (Beltran y Masses 1922). Il ritratto viene esposto nella sala personale di Beltran y Masses alla XII Biennale di Venezia nel 1920.

La marchesa Luisa Casati come Basiliola, 1920, olio su tela, 159 x 178 cm, collezione privata

Al Vittoriale d’Annunzio tenne con sé il ritratto polimaterico in miniatura a figura intera e due ritratti fotografici di Casati: quello scattato da De Meyer del 1911 e quello di Man Ray con due paia di occhi del 1922 (cfr. supra). Quest’ultimo deve essere stato oggetto di uno scambio tra i due amanti, dato che Luisa dedica la copia a d’Annunzio il 17 dicembre 1923 e d’Annunzio due giorni dopo le indirizza un suo ritratto scattato da Guelfo Civinini. Dalla corrispondenza tra il 12 e il 22 dicembre si evince che ci furono almeno due incontri, molto desiderati da entrambi (Infiniti auguri, pp. 122-127), ai quali si possono fare risalire i ritratti donati come pegni mnemonici. Probabilmente l’incontro di dicembre coincise con il primo soggiorno di Casati al Vittoriale; al 1929 risale l’ultimo incontro al Vittoriale.

Man Ray, La marchesa Casati, 1922, cartone dorato e stampa ad albumina, 213 x 160 mm, dedica di Casati a d’Annunzio del 17 dicembre 1923, Gardone Riviera, Fondazione Il Vittoriale degli Italiani
Guelfo Civinini, Gabriele d’Annunzio, s.d., cartone e stampa fotografica, 245 x 175 mm, con dedica del 19 dicembre 1923, Roma, collezione Raimondo Biffi

Il 24 aprile 1924 Casati invia al Vittoriale una tartaruga gigante acquistata al Tierpark Hagenbeck di Amburgo. Il rettile, che viene recapitato il 6 maggio (Infiniti auguri, pp. 138-139), si chiama Carolina, ma d’Annunzio lo ribattezza tautologicamente “Cheli”. Carolina/Cheli muore per una scorpacciata di tuberose, d’Annunzio la eterna in una scultura chiedendo a Renato Brozzi di lavorare sul suo carapace e di modellare testa e zampe in bronzo (1928) per l’esposizione nella sala da pranzo dove troneggia a capotavola nella Sala della Cheli come memento contro l’ingordigia.

La Cheli modellata da Renato Brozzi nella Sala della Cheli nella Prioria al Vittoriale: https://zambracca.it/2020/10/11/sala-della-cheli/

Il 29 novembre 1924, mentre posa per Ignacio Zuloaga, Luisa passa del tempo col pittore e con Miguel de Unamuno, autoesiliato di fresco, firmando con entrambi un messaggio per d’Annunzio (è nell’Archivio Generale del Vittoriale degli Italiani; ad essa accenna, senza trascriverla, Lacagnina 2009, p. 429, figg. 109-110. Il testo in spagnolo si legge in Cecchi, Coré, p. 202). 

Léon Bakst, Danse indo-persane/Marquise Casati, 1912, collezione privata

Casati si estrinseca in pubblico anche nella danza, praticata da autodidatta con collaborazioni di primissimo piano, grazie al ruolo di mecenate prodiga. All’estate 1912 risale il debutto di Casati in collaborazione con i Ballets Russes, di cui fa parte Léon Bakst (nel 1911 già scenografo per d’Annunzio di Le martyre de Saint Sébastien) che disegna i costumi per la marchesa. Casati si esibisce a St. Moritz due volte ad agosto: ripete una coreografia da L’uccello di fuoco di cui era stata principale danzatrice Tamara Karsavina; si esibisce per beneficenza, alla presenza del pittore Vitelleschi e di Matilde Serao, in una danza indo-persiana su musiche di Moussorgsky, forse dalla Chovanščina inserita da Djagilev nella Cléopâtre (Valfreury 1912, pp. 2 e 2). Quando tra maggio e giugno 1913 d’Annunzio è a Parigi per l’allestimento della Pisanelle, si congratula per un’esibizione: «Ho saputo di un suo saggio d’arte cose meravigliose» (Infiniti auguri, p. 56). Potrebbe trattarsi dell’apparizione della marchesa come “Divinità del Sole” in un costume di Bakst al ballo dato dalla moglie di James Rennel Rood, ambasciatore britannico a Roma, il 9 aprile 1913, con una replica per beneficenza qualche giorno dopo al Teatro Argentina: della sensazionalità della presenza scenica di Casati parlarono a caldo le cronache mondane di «La Stampa» e del «New York Times» e a lungo ne serbarono memoria l’autobiografia del diplomatico Rood (1925) e quelle del conte Witold Lovatelli (1942, 1949).
Nel 1913 si moltiplicano le feste organizzate da Casati a Venezia, indossando costumi di Bakst, e attirando sempre di più l’attenzione degli artisti che ne comprendono la vocazione performativa, come notano i cronisti contemporanei: «La marquise a l’âme d’un artiste, et Gabriele d’Annunzio la jugeait bien quand, dans son livre
Forse che sì forse che no, il déclarait que’elle était l’une des femmes les plus belles et les plus intellectuelles de nos jours» (Nosello 1913).
L’ultima festa di cui Casati è ideatrice e per la quale le viene riconosciuto dalla stampa il ruolo di regista e coreografa è la
Soirée magique organizzata nel suo Palais Rose il 30 giugno 1927, con un invito disegnato da Alberto Martini con la sua testa come Medusa, durante la quale ella interpreta il conte Cagliostro (Une Fête Cagliostro ou L’Evocateur évoqué à son Tour, «Vogue», settembre 1927, pp. 32-35).
La pervasività di mecenate delle arti e di danzatrice dilettante della marchesa era confermata da domenica 8 luglio 1917, quando Filippo Tommaso Marinetti pubblica
La danza futurista (Danza dello shrnapel – Danza della mitragliatrice – Danza dell’aviatore). Manifesto della danza futurista in prima pagina di «L’Italia futurista», dedicandolo «Alla marchesa Luisa Casati».
Insieme, Casati e Marinetti a Roma vanno alla prima dei Balli plastici di Depero al Teatro dei Piccoli di Vittorio Podrecca il 14 aprile 1918. Quando Marinetti passa a prendere la marchesa su sua richiesta nella villa di via Piemonte, ormai «la marchesa Casati è uno dei nostri più originali prodotti nazionali. Questa milanese geniale ha saputo per due anni di seguito battere clamorosamente in eleganza eccentrica e in sbalorditiva creazione di bizzarrie e snobismi tutto ciò che di più originale, elegante, eccentrico snobistico conteneva Parigi. […] è inoltre appassionata conoscitrice d’arte futurista, la difende e l’impone nella società romana» (Marinetti 1921, p. 55).
La vocazione alla teatralizzazione di ogni aspetto dell’esistenza è spiccata, pur se mai risolta completamente su un vero e proprio palcoscenico. Tra 1923 e 1924 Casati sfiora perfino l’idea di finanziare un teatro sperimentale creato dal suo ritrattista di fiducia, Alberto Martini (conosciuto a Roma nel 1906, messo sotto contratto e dal 1912 al 1934 pittore di dodici ritratti della marchesa, non tutti giunti fino a noi). Gli chiede di realizzare per il bacino di San Marco un esemplare del “Tetiteatro”, cioè l’«architettonico strumento terracqueo […] per le risonanze di una nuova voce e per nuove plastiche teatrali» che Martini aveva progettato in varianti scenografiche.

Un giorno (1934) al mio studio montparnassiano le feci vedere una mia invenzione teatrale (1928). Era un progetto di teatro poliedrico. Giochi magici di grandi specchi e piattaforme meccaniche che battezzò “il diamante”. Era infervorata, voleva farlo realizzare, si vedeva riflessa all’infinito, ingigantita, sospesa nel cielo e svanire. Ma improvvisamente sparì. Più nulla seppi di lei (Martini 1944, p. 13).

Giovanni Boldini, La marchesa Casati, 1913, olio su tela, 130 x 176 cm, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, inv. 5105

Entro il 1913 Casati si fa ritrarre nuovamente da Boldini: stavolta indossa un outfit da sera con un vistoso accessorio da costumistica teatrale: la penna di pavone, trasfigurata in moltitudini da pennellate dinamiche quasi futuriste. A questo accessorio fa riferimento d’Annunzio quando le scrive: «Ho la casa piena di penne di pavone (come quella che rotta penzolava sul suo collo) per superstizione d’amore» (lettera s. d., ma databile a partire dal novembre 1913, in Infiniti auguri, p. 82).
Probabilmente Casati aveva già da tempo rapporti con il futurista prossimo venturo Umberto Boccioni, se possedeva un tradizionalissimo ritratto femminile a pastello del pittore naturalizzato romano risalente al 1903 (ora in una collezione privata a Roma: Calvesi-Coen,
Boccioni, p. 135 fig. 7), cioè al periodo in cui a Roma Boccioni frequentava come allievo la libera scuola di nudo in Accademia di Belle Arti e lo studio di Giacomo Balla. Progressivamente Casati tra 1913 e 1915 forma la maggiore collezione privata contemporanea di opere futuriste (numericamente vicina solo a quella di Marinetti). La marchesa è mecenate del gruppo non solo nell’ambito della danza (come si è visto sopra), della pittura e degli insiemi plastici (commissionando suoi ritratti) ma anche della nuova statuaria di Boccioni.

Umberto Boccioni, Forme uniche della continuità nello spazio, gesso, 1913, tavola 9 (non numerata) in R. Longhi, Scultura | futurista | Boccioni, con 10 illustrazioni , Firenze 1914

Il gesso di Forme uniche della continuità nello spazio compiuto nel 1913 (esposto a Parigi dal 20 giugno al 16 luglio 1913, a Roma dal 6 dicembre 1913 al 15 gennaio 1914, a Firenze dal 9 marzo ad aprile 1914), nel 1930 è nella collezione francese della Casati: lo attesta quell’anno il volume Art italien moderne, préface par Giovanni Scheiwiller, Paris, Éditions Bonaparte, 1930, che riproduce il fianco sinistro dell’opera a p. 27, didascalia a p. 89: «Formes uniques de la continuité dans l’espace, 1913. (Collection marquise Casati, Paris)». Nello stesso libro, pp. 26-27, ci sono le riproduzioni di due dipinti di Boccioni, Etats d’âme II e III: Ceux qui s’en vont e Ceux qui restent del 1911 e di un’altra statua, Expansion spiralique de muscles en mouvement, rispettivamente collocati nella collezione di Marinetti a Roma e nella collezione della Casati. Non sappiamo a quando risale esattamente il passaggio dalla collezione parigina della Casati a quella romana di Marinetti, ma è possibile stringere la cronologia tra il 1931 e il 1933. 

La Marchesa Casati, con gli occhi di mica e il cuore di legno. Assieme plastico ritratto – del futurista Balla, copertina di  «Il Mondo», V, 75, 30 marzo 1919

Poco prima del 14 giugno 1933 Marinetti fa fondere in bronzo il gesso di Forme uniche per la mostra al Castello Sforzesco a Milano (Birolli-M. Pugliese, pp. 419-420). Sono presso Marinetti nello stesso 1933 il gesso di Boccioni e un’altra opera futurista appartenuta a Casati, l’insieme plastico La marchesa Casati con gli occhi di mica e il cuore di legno di Balla (secondo Benzi 2014, pp. 104, 113 n.11, Marinetti compra Forme uniche da Fedele Azari nel 1927). Tra i ritratti di Luisa realizzati da Balla, il busto polimaterico spiccava per umorismo e rapporto innovativo con l’eredità della scultura italiana: aveva gli occhi regolati da un meccanismo semovente collegato al cuore ed era diventato molto noto grazie alla Grande esposizione nazionale futurista (Catalogo, Milano, 1919, ristampa anastatica Firenze, 1979), organizzata da Marinetti; là era stata esposta insieme a un altro ritratto della marchesa sotto le spoglie di una Nascita di Venere (Sintesi dinamica) di Giuseppe Vitelleschi, di proprietà della stessa Casati che al marchese pittore il 23 aprile 1918 a Roma detta un biglietto per d’Annunzio perché lei sconta un infortunio a un braccio (d’Annunzio, Infiniti auguri, p. 185); la consacrazione postuma di La marchesa Casati con gli occhi di mica e il cuore di legno si deve, decenni dopo quell’occasione, alla superba ecfrasi satirica di Carlo Emilio Gadda nel San Giorgio in casa Brocchi, che dà conto anche della polimatericità e della dinamicità dell’insieme plastico (1931, in Gadda 19993, p. 677; ho trascritto il passo in Conte, Luisa Casati, p. 337). Oltre all’ecfrasi di Gadda, del ritratto di Balla restano: la fotografia frontale pubblicata sulla copertina di «Il Mondo» di sabato 29 marzo 1919; una foto di datazione ignota (databile al 1932 secondo Benzi 2014, p. 109) in cui l’insieme plastico si scorge alle spalle di Marinetti; la recensione di Paul d’Olan sul «Mercure de France» alla mostra del 1919. Nei primi anni Trenta, Marinetti aiuta economicamente la Casati (Notizie biografiche di G. Mori, La divina marchesa 2014, p. 279), la cui collezione e i cui beni mobili custoditi al Palais Rose di Le Vésinet (già dimora di Robert de Montesquoiou, modello del barone Charlus della Recherche) sono battuti a un’asta giudiziaria il 10 dicembre 1932 (Conte 2013, pp. 344-347, Conte 2014, pp. 61, 67-68, 69 n. 5, 70 n. 32). L’ipotesi più coerente è che Marinetti si sia aggiudicato entrambe le opere di Boccioni e di Balla all’asta giudiziaria, probabilmente su richiesta della Casati, che chiese aiuto anche a d’Annunzio (cfr. oltre; Benzi 2014, p. 104, ipotizza invece che Marinetti abbia acquistato alcune opere dalla Casati nel 1923 quando ella smantella la casa romana: finora a riguardo non sono note attestazioni documentarie).
Con il telegramma del 14 dicembre 1932 nel quale la marchesa chiede all’amico «dieci mila lire» e qualcuno di sua fiducia che scelga «oggetti d’arte tuo piacimento» dopo la vendita giudiziaria del sabato precedente (10 dicembre) che rende Luisa «disperata per sopruso Palais Rose» (
Infiniti auguri, p. 168) cessa la corrispondenza nota tra la marchesa e d’Annunzio. Nell’ala del Palais Rose a Le Vésinet denominata Ermitage Casati esibiva una galleria di propri ritratti. Dopo qualche tempo cercò di recuperarne una parte, insieme ad altri suoi beni dispersi a quell’asta, elaborando da Londra una List of goods lost by Marquise Luisa Casati (pubblicata in Conte 2013, pp. 344-347). La lista comprende, per esempio, il ritratto di Boldini che era finito all’asta nel 1932 (cfr. supra). La lista dattiloscritta divide i beni per generi: abbigliamento e accessori, vasellame, oggettistica di pregio e pezzi da arredamento, infine Pictures. Le ventitré opere elencate, diverse per tecnica e raggruppate sotto i nomi degli artisti, hanno in comune il soggetto e l’esecuzione contemporanea: sono ritratti della proprietaria «between one square yard and lifesize» in diversi atteggiamenti o nelle vesti di personaggi mitologici, come Circe, o storici, come la contessa di Castiglione, tutti «well framed»; non c’è nessuna opera antica.
Al 1938 risale il primo documento di residenza di Casati a Mayfair a Londra, dove vive sua figlia Cristina. Il 1° marzo muore d’Annunzio.

Il professore all’Accademia di Belle Arti a Berlino Otto Haas-Heye, che aveva conosciuto Casati decenni prima al Palace Hotel di St. Moritz, ricomincia a frequentarla a Londra quando è ridotta in miseria e testimonia che nella sola stanza in affitto al 32 di Beaufort Gardens Casati non possedeva più nulla, tranne un ritratto di d’Annunzio: «la grande tovaglia chiara stesa sul tavolo a mo’ di altare davanti alla finestra; e al centro un ritratto a grandezza naturale di d’Annunzio. Il nome del poeta, Gabriele, era scritto in verde scuro sulla tela, nella calligrafia di Luisa» (Haas-Heye, Memorie), che muore, sola e quasi dimenticata, il 1° giugno 1957.
Alla fine, ripercorrendo l’inusuale relazione, cominciata dal primo incontro con Luisa, amazzone sottile «nella brughiera di Gallarate» (Infiniti auguri, p. 160) e culminata nel più volte rievocato episodio «della sera di Saint-Germain», d’Annunzio si arrende all’impossibilità di domare il temperamento mercuriale dell’amica che lo appassionò fino a che non gli chiese denaro e che pochissime volte scelse di fermare la sua flânerie per concedersi fisicamente a lui. Il biografo erotico di d’Annunzio, André Germain, conferma che il poeta ricordava Casati con adorante desiderio: «Elle était, pour lui, l’eau et le cristal, et des images de grotte, de source, d’enchantment liquide et de scintillement cristallin affluèrent à son imagination lorsqu’il s’agit de célébrer Coré» (Germain 1954). Fino a un momento prima della catastrofe finanziaria che rese prosaica la sua esistenza, spazzando via ogni possibilità di continuare a recitare altri da sé, Luisa riuscì a incarnare l’unico sogno perpetuo nell’immaginazione del recluso d’Annunzio, che così le scrisse il 23 febbraio 1922: «Coré è rimasta per me misteriosa come il suo mito sotterraneo. Per ciò è la sola creatura viva che io lascio indugiarsi nelle mie imaginazioni» (Infiniti auguri, pp. 116-117).

 

Fonti

Alexandre A., Les Salons de 1909. Société Nationale des Beaux-Arts, «Le Figaro», Mercredi 14 Avril 1909 (55° Année, 3° Série, N. 104), pp. 4-6.
Beltran y Masses F.,
Une visiteuse nocturne, «Aux ecoutes», 5 marzo 1922.
d’Annunzio G., [A. Cocles],
Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire, Verona 1935.
d’Annunzio G.,
Forse che sì forse che no, Milano 1910.
d’Annunzio G.
Il fuoco (1900), Milano 1975.
d’Annunzio G.,
Infiniti auguri alla nomade. Carteggio con Luisa Casati Stampa, a cura di R. Castagnola, Milano 2000.
Desbruères M.,
Romaine Brooks, «Bizarre», Mars 1968.
Fancy Dress Ball Dazzled Romans
, «The New York Times», 13 aprile 1913.
Gadda C. E.,
Opere, edizione diretta da D. Isella, II. Romanzi e racconti, Milano, 19993.
Haas-Heye O.,
Memorie, inedite.

Impresa Vendite Galardelli  e Mazzoni, 11 via del Giglio, catalogo n. 15, anno XXIII, 1911, Catalogo della collezione Gabriele d’Annunzio esistente nella Villa La Capponcina presso Settignano […]. La vendita volontaria all’incanto verrà effettuata dall’impresa suddetta nei giorni 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 13 e 14 giugno 1911  a ore 15 […].
Lovatelli W.,
Roma di ieri. Cronache e fasti, Città di Castello 1949.
Marinetti F. T.,
La marchesa Casati e i balli futuristi, in Id., L’alcova d’acciaio, Milano 1921.
Martini A.,
Alberto Martini, Milano 1944.
Martini A.,
Una grande artista. Parigi, in Id., Vita d’artista, in Alberto Martini. Mostra antologica, catalogo della mostra, a cura di P. Bellini con la collaborazione di M. Goldin e S. Orlandini, Susegana (TV) 1988, pp. 142-188: 167.
Nosello,
Lettre de Venise, «Le Gaulois», 21 ottobre 1913.
Pica V.,
Due giovani illustratori americani (Roberto Montenegro e Gregorio Lopez-Naguil), «Emporium», Vol. XLI, 1915, n. 241, pp. 19-37
Un gran ballo in costume dell’aristocrazia romana
, «La Stampa», 11 aprile 1913, p. 5.
Valfreury,
Mondanités. De Saint Moritz, «Le Gaulois», 18 e 24 agosto 1912, pp. 2 e 2.

Studi

Per completezza rinvio a: 

Conte F., Luisa Casati collezionista e mecenate tra 1908 e 1915, in Identità nazionale e memoria storica. Le ricerche storico critiche sulle arti nell’età postrisorgimentale (1870- 1915). Atti del Convegno della Società italiana di Storia della critica d’arte (SISCA) (Bologna, Università degli studi, 7-9 novembre 2012), Firenze 2013, II, pp. 325-347 [«Annali di Critica d’arte», IX, 2013].
Conte F.,
Monna Lisa col melograno: la marchesa Casati per l’arte del suo tempo, «Ricerche di storia dell’arte», 114, 2014, pp. 61-71.

Si aggiunga la seguente bibliografia secondaria:

Agosti G., Ai fanatici della Marchesa, Introduzione a A. Luzio – R. Renier, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga, a cura di S. Albonico, Indici e apparati a cura di A. Della Casa et. al., Milano 2005, pp. VII-XXXVII.
Agosti G.,
Su Mantegna I. La storia dell’arte libera la testa, Milano 2005.

Benzi F., Luisa Casati e il futurismo: una musa per la modernità, in La divina marchesa 2014, pp. 95-113.
Birolli Z.-Pugliese M.,
I gessi di Boccioni e le successive traduzioni in bronzo, in Il futurismo nelle avanguardie, atti del convegno internazionale (Milano, Palazzo Reale, 4-6 febbraio 2010), a cura di W. Pedullà, Roma 2010, pp. 417-440.
Calvesi M.- Coen E.,
Boccioni, Milano 1983. p. 466.
Castagnola R.,
Un frammento orfico dannunziano, in Letteratura e filologia fra Svizzera e Italia. Studi in onore di Guglielmo Gorni, Roma 2010.
Castagnola R.,
Inafferrabile come un’ombra dell’Ade, in La divina marchesa 2014, pp. 195-209.
Colombo E.,
La lussuriosa dantesca nel prisma dell’Imaginifico, «Archivio d’Annunzio», 1, ottobre 2014, pp. 95-122.
Dini P.- Dini F.,
Boldini. Catalogo ragionato 1842-1931, Torino 2003, II. L’epistolario.
Germain A.,
La vie amoureuse de d’Annunzio, Paris 1954.
La divina marchesa: arte e vita di Luisa Casati dalla Belle Époque agli anni folli
, catalogo della mostra, a cura di G. Mori, Milano 2014.
Lacagnina D.,
Avanguardia, identità nazionale e tradizione del moderno: Ignacio Zuloaga e la critica italiana (a partire da due articoli di Vittorio Pica), in Emporium: parole e figure tra il 1895 e il 1964, atti delle giornate di studio, a cura di G. Bacci, M. Ferretti, M. Fileti Mazza, Pisa 2009, pp. 403-433.
Marongiu M., in
Vittoria Colonna e Michelangelo, catalogo della mostra, a cura di P. Ragionieri, Firenze 2005, pp. 40-41.
Mori G.,
Luisa Casati, Casaque, Casinelle, Coré: opera d’arte vivente, in La divina marchesa 2014, pp. 29-93.
Praz M.,
La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (1930), Introduzione di P. Colaiacomo, con un saggio di F. Orlando, Firenze 1999.
Tamassia Mazzarotto B.,
Le arti figurative nell’arte di Gabriele d’Annunzio, Milano 1949.

 

 

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