Cerca
Cerca
Close this search box.
A B C D E F G I K L M P R S T U V Z

Bozzini, Umberto

di Gianni Oliva, Enciclopedia dannunziana

Nella lunga, canonica serie delle «Fedre», da Euripide a Seneca, da Racine a Swimburne, non molto spazio è stato dedicato alla Fedra di Umberto Bozzini, che pur entrerebbe di diritto nella lista di quegli autori che si sono cimentati su un tema così frequentato. Eppure questa Fedra di provincia, se così’ si può dire, svolse un ruolo interessante per l’elaborazione della Fedra dannunziana.
Quanto a Bozzini, verrebbe subito in mente l’espressione perplessa di Don Abbondio di fronte al nome di Carneade,  ma come spesso accade, un’accorta indagine porta a illuminare una personalità tutt’altro che trascurabile, che ebbe il suo momento di gloria ai primi del Novecento proprio con una
Fedra concepita in quel clima di diffuso ritorno all’antico che influenzò il cosiddetto «teatro di poesia» dell’epoca.
L’opera di Bozzini  fu rappresentata a Roma al Teatro Valle nel 1909 e fu recensita per giunta da Domenico Oliva sul “Giornale d’Italia”, ovvero la tribuna più autorevole da cui veniva giudicato in quegli anni il teatro italiano contemporaneo.
Chi era, dunque,  Bozzini? Porre questa domanda ai cittadini di Lucera sarebbe forse quasi un sacrilegio, visto che nella cittadina pugliese  Bozzini era nato (8 luglio 1876) e cresciuto e lì fu venerato dopo la morte come gloria locale, tant’è che gli sono state dedicate strade e scuole e la biblioteca municipale conserva adeguatamente le sue carte e le sue opere. In anni non molto lontani, nella ricorrenza del cinquantenario della rappresentazione (1909-1959) la
Fedra di Bozzini fu ristampata dall’editore Cappelli di Bologna, mentre di recente, in coincidenza con il centenario della rappresentazione (2009), è stata approntata, con la collaborazione di enti locali,  una meritevole edizione integrale delle Opere di Bozzini a cura di Francesco De Martino,  che raccoglie la Fedra, altre opere teatrali e vari scritti giornalistici dell’autore pugliese.
Appartenente ad una agiata famiglia della borghesia agraria meridionale, Bozzini ricevette una solida formazione classica presso il Liceo-Ginnasio “Bonghi”. Più tardi frequentò a Napoli la Facoltà di Giurisprudenza, divenendo nel frattempo collaboratore dello statista Antonio Salandra. Questa attività non gli impedisce di coltivare i suoi studi preferiti di mitologia, storia, avvicinandosi anche  ai poeti moderni, da Carducci a Pascoli a d’Annunzio.
Nel 1907 inizia la composizione della sua
Fedra, come attesta  il manoscritto conservato a Lucera (ms. autografo, fasc. IV, c. 26). La prima edizione dell’opera fu pubblicata a Napoli nel 1909 presso la Società Commerciale Libraria; la seconda a Lucera presso la Libreria Mancino nel 1910.
Alla
Fedra fecero seguito altre opere teatrali: tra i testi a stampa il Manfredi (1911-1912), Il cuore di Rosaura (1913-1914), un «capriccio comico» ambientato a Venezia, Il trapezio volante (1913), Croce Rossa (1914-15, incompiuto),  Georgica (1915) e altri abbozzi conservati nella biblioteca di Lucera. Scorrendo questi lavori si può accertare lo scrupolo con cui Bozzini lavorava, compiendo sopralluoghi, utilizzando documenti e fonti spesso di prima mano.
Colpito da grave malattia, Bozzini morì il 23 luglio 1921 a soli 45 anni, rimanendo nella memoria dei suoi concittadini per l’eleganza del tratto, come si legge in alcuni necrologi. 

La contesa con d’Annunzio

Il giorno 10 aprile 1909 usciva a Napoli (Società Commerciale) l’opera di Bozzini, e lo stesso giorno veniva rappresentata al Teatro Lirico di Milano la Fedra di d’Annunzio dalla compagnia Fumagalli-Franchini. Quanto alla priorità di pubblicazione, la coincidenza della data del 10 aprile andrebbe a tutto vantaggio di d’Annunzio. Certo è però che la Fedra di Bozzini era già stata scritta prima (la data del ms., si diceva, è il 1907), dopo anni di studio e di elaborazione. Lo provano peraltro alcune testimonianze come le lettere indirizzate a Luigi Gamberale: «sono quasi cinque anni che lavoro zitto zitto a scrivere». Sappiamo invece con certezza che d’Annunzio vergò l’ultima cartella del manoscritto la notte tra il 2 e il 3 febbraio del 1909, mentre il 10 dello stesso mese il suo segretario Benigno Palmerio approntava la copia definitiva. Sicuramente l’opera era in gestazione fin dal dicembre 1908, come risulta scorrendo la corrispondenza con Treves, ma a suscitare qualche sospetto è la fretta con cui d’Annunzio lavorò all’opera. Che cosa era successo, perché tanta determinazione a compiere il lavoro ? E’ sufficiente  la “tanta passione” con la quale Gabriele si era abbandonato a un «vecchio soggetto» da rinnovare profondamente o era sollecitato da altri eventi? La situazione ha tutta l’aria di una gara, di un primato da conquistare. Ma nei confronti di chi ? Seppur non nominato, potrebbe Bozzini rientrare nello squadrone dei Fedristi che lo assillavano? Non si può ignorare d’altro canto l’accanimento con cui Bozzini rivendica, nei confronti di d’Annunzio,  le sue ragioni per quanto riguarda la priorità dell’opera, gridando quasi al plagio e raccontando una storia singolare, quella dei due attori Mario Fumagalli e della consorte di questi, Teresa Franchini, di aver fatto conoscere a D’Annunzio la sua opera essendo in possesso del copione che avrebbero dovuto recitare. In effetti i due artisti avevano firmato con Bozzini un contratto fin dall’agosto del 1908. All’ultimo momento però, attirati e ingaggiati dalla sirena di  d’Annunzio, preferirono cambiare partito portando con loro il manoscritto della Fedra. Ecco quanto asserisce indignato l’autore pugliese scrivendo a Luigi Gamberale: 

il contratto col Fumagalli ha la data 19 agosto 1908: ed il Fumagalli ha posseduto 2 copie manoscritte della mia Fedra da quel giorno fino a 10 giorni dopo  aver consumato il tradimento e firmato il contratto con D’Annunzio, come risulta dalle ricevute postali.
Se il Fumagalli era capace di tradirmi, era anche capace di completare il tradimento: quindi il D’Annunzio può aver conosciuto la mia, io non certo  la sua.

A riprova di ciò e ad illuminare ancora meglio la dinamica del presunto plagio operato da d’Annunzio, soccorre  un’altra lettera del Bozzini datata 24 aprile 1909, in cui emergono nuovi particolari sulla singolare vicenda: 

La Franchini e il Fumagalli (marito e moglie) si erano fin dall’agosto 9 o 8 impegnati con me con regolare contratto; e mio cognato Guglielmo Cutolo aveva sborsato 4 mila franchi per concorrere alle spese di messa in scena. Io partii in febbraio da Milano dopo essermi assicurato che D’Annunzio trattava con un’altra attrice (Irma Gramatica) e che la coppia criminale mi era fedele. Dopo 8 giorni il tradimento era compiuto: per fortuna restituirono i denari a Cutolo. Che potevo fare? Strepito per i giornali? Nessuno mi avrebbe dato retta.

Se non altro Bozzini si consolava che, dati i fatti, nessuno almeno avrebbe potuto torcere il plagio  al contrario: e cioè che lui aveva preso spunto da d’Annunzio.
La certezza che il Bozzini mostra di avere nelle lettere a Luigi Gamberale non dipende dalla scelta di un soggetto che appartiene alla grande tradizione classica, ma deriva dall’aver egli ritrovato nell’opera dannunziana alcuni elementi che, stando alle sue parole, erano di propria esclusiva invenzione e che d’Annunzio non poteva aver ereditato dalle «Fedre» antiche e moderne. Il  28 aprile 1909 rivendicava la  scena del bacio tra Fedra e Ippolito che, a suo giudizio, non esisteva in Euripide, in Seneca e nella tradizione: 

Il bacio è mio – incalzava Bozzini – e mia esclusivamente l’accusa pubblica al cospetto dell’accusato, donde la drammaticità del 3° atto, che a me pare il più teatrale.

Ma vediamo più da vicino, testi alla mano, la scena originale rivendicata dal Bozzini. 

Intertestualità tra le due Fedre

Per poter valutare le probabili influenze dell’opera di Bozzini su quella di d’Annunzio occorre prendere in considerazione, per quanto possibile, la vasta letteratura critica sull’argomento. Il costante riferimento alla rapidità della stesura della Fedra dannunziana, più volte documentata nelle interviste rilasciate ai giornali, non mira certo, come già si diceva, ad affermare che l’idea della stesura del testo fosse venuta a d’Annunzio dalla lettura di quella del Bozzini, poiché è chiaro che l’erudizione filologica ed archeologica di d’Annunzio non era opera d’improvvisazione. Tuttavia, una prima ombra plana sulla scelta dell’argomento da svolgere nel ritorno di d’Annunzio al teatro dopo vari anni. Nell’intervista concessa a Renato Simoni alla vigilia della prima rappresentazione, l’autore dà spiegazioni di due ordini: da un lato la volontà di proporre al pubblico italiano una Fedra che, rispetto a quella francese di Racine, ne fosse anche una versione moralizzante e pudica; dall’altro la volontà di mettere in scena i personaggi della Grecia che i recenti scavi archeologici a Creta stavano portando alla ribalta.
Tuttavia, tutto ciò non spiega perché quelle motivazioni, pur valide, fossero riprese solo ora dopo aver fatto parte di un vecchio progetto abbandonato all’epoca della rottura con la Duse. La letteratura critica sulla
Fedra dannunziana è talmente abbondante da provare che nessun autore è completamente esente da riferimenti, più o meno liberi e spregiudicati, agli autori precedenti. Nel caso della Fedra dannunziana, le accuse di plagio sono però più specifiche. Le scene più compromettenti da questo punto di vista sono la dichiarazione d’amore di Fedra a Ippolito e quella dell’accusa al giovane. Quest’ultima ha portato a sostenere l’incriminazione di plagio che sarebbe stato operato da d’ Annunzio anche a danno di Swinburne, di cui sarebbero stati ricalcati interi versi. D’altra parte però confrontando le due scene di Bozzini e di d’Annunzio, le discordanze superano le uguaglianze. Innanzitutto, seppur irrilevante ai fini di un’analisi strutturale del testo, l’impostazione della psicologia dei personaggi è notevolmente divergente: teneri, innocenti, ingenui, prede dei loro puri sentimenti quelli di Bozzini, duri, perversi, nutriti dallo slancio vitalistico gli eroi della tragedia dannunziana.
Non si può negare che nella struttura di tutta la scena si avverta anche la presenza di Seneca in cui l’accusa della donna, per quanto diretta, è fatta in assenza di Ippolito, e senza pronunciarne il nome, laddove in Bozzini Ippolito è presente. A queste considerazioni si aggiunga che i paradigmi etici entro i quali le diverse scene dell’accusa sono impostate divergono nettamente, così come lo stile ed il linguaggio sono personali ed inequivocabili. Se altrove si è potuto confermare un plagio quasi letterale da parte di d’Annunzio (ad esempio nel caso di Swinburne), qui l’originalità dell’impostazione erudita si discosta radicalmente dalla scena bozziniana, così come se ne discosta la struttura. A onor del vero va anche detto che la scena del bacio, prima che in Bozzini, era già in Ovidio (
Heroides, Ep. IV), che trasformava in un contesto elegiaco personaggi e situazioni epiche o tragiche.<
In  Bozzini Fedra e Ippolito si lasciano andare ad una nostalgica rievocazione dei tempi felici dell’infanzia del giovane, quando il loro rapporto era ancora immacolato, libero dall’inumana passione della donna. Così facendo, si ritrovano avvinghiati l’uno all’altro:

Ippolito
M’ardono le tempie… in un turbine t’odo come d’ebbrezza violenta… ignoto…

Fedra
Chiedilo a questo spasimo che stringe i nostri corpi vicino… a le mani cariche di carezze…

Ippolito
Una pantera ieri uccisi… nel bosco… e sotto i miei ginocchi si tendeva così… e mi guardava con i tuoi occhi…

Fedra
E su la bocca, forte ti mordeva così

La commovente e fresca modernità di questa scena, che è una scena d’amore prima che una scena di “incesto” (comunque più presunto e pretestuoso che reale), stride con l’erudita ed archeologica scena dannunziana, carica di sentimenti eccessivi.
Nonostante la differenza del clima sentimentale e psicologico delle due scene, l’elemento è inequivocabilmente lo stesso, presente solo ed esclusivamente in Bozzini e d’Annunzio, e Bozzini può a diritto rivendicare senza tema di dubbio l’anteriorità della sua stesura. Ma al di là di questo semplice elemento, ci sembra di poter notare un altro fattore che, leggermente rielaborato a livello narrativo, pure è presente solo nei due autori. In Bozzini, dopo averlo guardato con sguardo di pantera, Fedra bacia Ippolito simulando l’ipotetico morso dell’animale e, quando il giovane si ritrae inorridito, esclama: 

Si… si… uccidimi… si… sotto i ginocchi…
nel cerchio delle tue braccia..

In d’Annunzio, rielaborati, i due termini tornano con insistenza:

Ippolito
La Cipride t’afforza? Abbranchi come la pantera lasciva. E gli Iddii veggono! […]

Non è certo una coincidenza l’assimilazione di Fedra cacciatrice d’amore con una pantera, animale ferino, cacciato e cacciatore a sua volta. Né può essere una coincidenza che d’Annunzio riprenda così fortemente la metafora amorosa conservando tanto la figura dell’animale quanto l’atteggiamento contraddittorio del porsi alle ginocchia di colui che si vuole cacciare. Sicuramente la metafora è arricchita, trasformata, diremmo quasi valorizzata, ma ciò non toglie che anch’essa, come l’elemento narrativo del bacio, ha un precedente solo nell’opera di Bozzini, a meno che non si voglia  ricorrere a Ovidio, come si è visto, anche se nel poeta sulmonese i baci non riguardano la voluttà della donna durante il sonno del giovane, ma sono quelli furtivi ricordati da Fedra a Ippolito e che avrebbero potuto dissimulare la loro intesa: oscula aperta dabas, oscula aperta dabis = mi baciavi palesemente, palesemente mi bacerai (Heroides, IV, 144).
Attraverso un’indagine tra le fonti classiche, guardando anche ad Aristofane,  si è cercato anche l’origine dell’idea di identificazione fra la donna  e la pantera. Mentre in un’altra ricognizione si è pensato di raffrontare la tragedia dannunziana con la Grecia descritta da Pausania nella traduzione di Sebastiano Ciampi. Qui si sarebbe di fronte ad una vera e propria operazione piratesca, quasi che l’abilità, o forse anche la genialità del pirata, permettesse che il furto rimanesse impunito in forza della propria superiorità letteraria. È quanto sembra sia avvenuto nei confronti di Bozzini che, tra le varie e presunte fonti, non è mai annoverato, nemmeno quando il debito, piccolo che sia, sarebbe evidente. Dimenticanza involontaria, o forse volontà di ammettere per d’Annunzio solo fonti degne di lui? 

La rivincita di Bozzini  

A risollevare in qualche modo lo spirito di Bozzini fu lo scarso impatto con il pubblico della Fedra dannunziana. L’11 maggio del 1909 lo stesso d’Annunzio, deluso dal debutto, scrivendo a Maria di Gallese, ne attribuiva il fallimento agli attori: «La rappresentazione italiana fu ignobile. Soltanto Gabriellino mostrò una freschezza e una energia inattese. Gli altri furono i  “cani”  d’Ippolito, e latrarono con furore più che canino».  Di rimbalzo Bozzini il 18 aprile 1909 ne godeva con il Gamberale: «la caduta della Fedra dannunziana ha giustamente punito quei due miserabili (parlo della Franchini e del Fumagalli) della insigne cattiva azione che mi fecero».
A questo punto il poeta lucerino si convinse  a preparare il copione per la recita della riscossa, aiutato dall’amico Gamberale sia per migliorare la metrica del testo, sia per imbastire una serie di articoli preparatori in vista della futura rappresentazione. Ad incoraggiarlo – a suo dire – fu l’appoggio datogli da «gente esperta di effetti teatrali», tra cui la «buona e sincera amica» Emma Gramatica. Finalmente, come mostra la lettera del 27 settembre 1909, Bozzini comunica al Gamberale di aver trovato la disponibilità della compagnia di Carlo Duse e di Italia Vitaliani, nonostante la nuova offerta del Fumagalli, che era tornato alla carica dopo il fallimento dannunziano quasi per cancellare un problema di coscienza (18 aprile 1909): «Ieri il Fumagalli  mi ha scritto una lettera che è un monumento di impudenza: ritiene di avermi giovato come ad un fratello, chiama sepolta la Fedra dannunziana, e si offre per l’autunno!!».
Il coro dei consensi non mancò e, tra quelli che si schierarono col Bozzini, ricorre il nome di Domenico Oliva, sul quale dovette influire non poco la pressione del Salandra cui il critico era devoto. Il “pezzo” sul «Giornale d’Italia» non si fece attendere e il 26 ottobre dello stesso anno Oliva definiva, non senza un tocco di enfasi, la Fedra  bozziniana: «un’opera così forte e che spira tanta giovinezza» da essere «conosciuta da tutti coloro che amano il teatro, il vero teatro». 
Nonostante gli sforzi però l’opera al suo apparire al Teatro Valle di Roma la sera del 23 ottobre 1909, dopo cinque mesi da quella dannunziana, non ebbe il successo sperato: «l’omonima tragedia dannunziana- osserverà un attento testimone- aveva come saturato del soggetto la critica ed il pubblico, occorreva ben altro che la sola alta e pura voce del cantore, proveniente dalle oscurità provinciali, povero di quei coefficienti che sono fuori della stessa opera d’arte ma che pure formano la base e la preparazione di un successo». La Fedra  insomma non poté evitare «l’ombra leonina» di  d’Annunzio.  

Bibliografia 

Questa voce è in sostanza una sintesi  del saggio di Gianni Oliva, La guerra per la Fedra rivisitata, in D’Annunzio. Tra le più moderne vicende, Milano, Bruno Mondadori, 2017.
Per supporto a quanto detto è utile consultare almeno:

Umberto Bozzini, Opere, a cura di Francesco De Martino, Bari, Edizioni del Levante, 2009 (con ampia bibliografia a cui si rinvia per i dettagli).
AA.VV., Fedra. tragedia in 4 atti di Umberto Bozzini. Critiche e vicende artistiche e teatrali, Lucera, Cappetta, 1910, p. 6.
Umberto Bozzini nel 50° della prima rappresentazione della Fedra, Lucera 7 novembre 1959, Lucera, Cappetta, 1959, pp. 17-18.
Silvana Capuano, Vita e opere di un drammaturgo pugliese: Umberto Bozzini, Urbino, Argalìa, 1971.
Antonella Iannucci, Luigi Gamberale nella cultura italiana ed europea tra ‘800 e ‘900, Roma, Bulzoni, 1997.
Gabriele d’Annunzio,
Fedra, a cura di Piero Gibellini , Milano, Mondadori (“Oscar”), 1986).
Gabriele d’Annunzio, Fedra, Edizione Nazionale delle Opere di Gabriele d’Annunzio, Il Vittoriale degli Italiani, a cura di Edoardo Ripari, 2024.
Gabriele d’Annunzio,  Lettere ai Treves, a cura di Gianni Oliva, Milano, Garzanti, 1999.
Interviste  a D’Annunzio, a cura di G. Oliva, Lanciano, Carabba, 2002 (cfr. l’intervista a Renato Simoni, già in «Corriere della sera» 9 aprile 1909).
Giustino Ferri, Rassegna drammatica, «Nuova Antologia», 1 maggio 1909.
Gianni Oliva, Da Roma antica al Vittoriale: Fedra dalle Heroides a D’Annunzio, In I luoghi delle parole. Geografie letterarie dopo l’Unità, Milano, Bruno Mondadori, 2020.
La Grecia descritta da Pausania, con traduzione, note al testo illustrazioni filologiche, antiquarie e critiche di S. Ciampi, Milano, Sonzogno, 1826-1841.

Condividi: