di Raffaella Canovi, Enciclopedia dannunziana
Aviatore, futurista, certamente il legionario più eccentrico ma anche tra i più vicini e fedeli a Gabriele d’Annunzio, conosciuto durante le missioni con la 91a Squadriglia a Quinto di Treviso a metà del 1918. Così, anni dopo, lo stesso Keller descrive liricamente il momento del suo incontro con il poeta-soldato:
Ci siamo incontrati nel mondo colle ali dei Numi tutelari della Patria, desiderati dal vento che dona le più terribili conquiste.
Tu uscivi, dopo aver arato l’inferno del Carso con la tua ala ferita. Portavi come insegna l’asso di picche. Hai indugiato salutando il casello di Duino e ti sei adagiato su d’un prato tutto smeraldo e porpora vicino a Monfalcone.
Ti seguivo tutto curioso di conoscere l’Esteta che aveva scelto un tappeto favoloso per il riposo della sua ala. L’ala dell’asso di cuori sfiorò con trepidazione la tua tutta mutilata.
Tu eri solo tra i fiori. Ci guardiamo negli occhi chiari, le mani strette nel guanto d’avorio si stringono nel caldo del sole. L’Ardente ha trovato Krisna il suo Dio.
Bassa statura, lunga barba nera e baffi da moschettiere, capigliatura arruffata, naso pronunciato, occhi scuri e febbrili, sempre alla ricerca di sensazioni, emozioni. Un sorriso dolce, quasi da bambino lo caratterizzava. Seppure vestito in maniera trasandata, il suo incedere aveva l’allure del nobile.
Guido Keller von Kellerer era nato a Milano il 6 febbraio 1892 da una famiglia citata nell’araldica (i suoi avi – baroni – si erano trasferiti in Lombardia dal cantone svizzero dei Grigioni a metà del XVIII secolo); la famiglia era stata proprietaria di una filanda in Brianza, purtroppo distrutta da un incendio con conseguenti disagi finanziari. Il nonno Alberto, industriale molto generoso – come sarà anche il nipote – nel 1874 fu tra i finanziatori dell’Istituto dei ciechi, opera laica di assistenza riconosciuta; era stato inoltre il fondatore del Tempio crematorio del cimitero monumentale di Milano, città dove i Keller, prima dei rovesci economici, brillavano fra le famiglie più in vista.
In seguito i Keller si trasferirono a Torino dove Guido proseguì i propri studi e frequentò il celebre Arturo Graf; sarà probabilmente tale incontro ad alimentare nel giovane il suo aspetto esoterico. Keller si dimostrò anche in questa nuova città intollerante alla disciplina, tanto da spingere i genitori a iscriverlo in un rigoroso collegio svizzero (a Trozen) frequentato da famiglie illustri, da cui sarà però presto espulso. Tornato in famiglia si trasferiscono a Fiesole, vicino Firenze.
Accanto all’amore per la natura, nato quand’era fanciullo, da ragazzo scopre la velocità, il movimento, e da qui la passione per l’aeroplano e l’automobile, novelli simboli della modernità che avrebbero segnato la sua vita. Attratto dalla filosofia, dalla letteratura e dall’arte in generale, avversava la tranquillità della vita borghese.
Il volo
Ragazzo dall’indole inquieta, mistica e romantica, si dedicò al volo: nel dicembre 1914 conseguì il brevetto di pilota d’aviazione a Cameri, nel novarese e l’anno successivo si trasferiva al battaglione civile aviatori con sede a Mirafiori, Torino.
Da subito si distinse per il suo talento, ma anche per la sua spericolatezza. Tornato da un giro di campo atterrò con il Blériot XI a motore spento; invece di chiedere aiuto ai motoristi provò a rimettere in moto da solo l’aereo. L’elica iniziò a ruotare ma l’aereo girò su se stesso: senza alcun timore (anzi in maniera incosciente) Guido afferrò un’ala per fermarlo, ma venne spinto in avanti contro il disco dell’elica stessa riportando fortunatamente soltanto uno squarcio al cuoio capelluto.
Nacque così presso gli aviatori della Mirafiori il mito del pilota che con una testa così dura poteva rompere un’elica. A queste voci Keller rispose fondando la Società degli Amici del Pelo: pretese da ogni socio una ciocca di capelli, decollò e una volta in cielo sopra Torino sparse i capelli «in segno di protezione e di promessa dei piloti di Mirafiori».
In pubblico tenne spessissimo un comportamento eccentrico: odiava le convenzioni sociali e le formalità, fu un vero trasgressivo, ogni suo atto si dimostrò imprevedibile; era un uomo spericolato che rischiò più volte la propria vita. Keller seguiva una personale filosofia che si potrebbe definire di stampo ellenico: venerò il culto della bellezza sotto ogni forma, dell’eroismo, della forza e dell’affermazione individuale, in questo assolutamente simile – se non identico – a Gabriele d’Annunzio, mentre il filo della similitudine si spezza di fronte alla scelta di Keller di vivere il tutto sotto il segno di un’esistenza spartana.
Il suo essere uomo bizzarro si esprimeva anche attraverso l’abbigliamento:
Keller era solito volare in abiti succinti, senza giacca, calzando in capo, in luogo del caschetto di cuoio, un fez da bersagliere munito di un lunghissimo cordone terminate in un grande fiocco (…). E in volo tal volta leggeva tenendo il volume assicurato al ginocchio a mezzo di una funicella (…). A terra, nelle giornate serene, trascorreva le ore libere da impegni di servizio e di volo nelle campagne circostanti: si denudava, prendeva bagni di sole, faceva lunghe marce, corse, esercizi ginnastici. A eccezione dei mesi invernali, dormiva sotto una tenda. (…) questo eteroclito modo di comportarsi gli veniva facilmente perdonato anche dai superiori più esigenti e severi in quanto lui, in fondo, dal punto di vista morale, aveva le carte in regola e, come pilota, era sempre il primo a levarsi in volo. (S. Pozzi, 1933, p. 98)
Personaggio certamente originale e anticonformista, eppure allo stesso tempo molto ricercato: nella sua cabina di pilotaggio non mancavano mai fiori, biscotti e servizio da tè; secondo Atlantico Ferrari, Keller portava spesso con sé in volo l’Orlando furioso e la Vita di Benvenuto Cellini.
La Grande Guerra
Durante la Grande Guerra Keller, comandante della terza squadriglia Aviatik, si rese protagonista di varie imprese dimostrando il proprio valore e l’abilità di pilota che – seguendo una visione aristocratica della guerra aerea – viveva lo scontro col nemico come un duello cavalleresco, secondo una concezione decisamente elitaria, comune a numerosi piloti militari. Keller fece parte – con il grado di tenente – di varie squadriglie da caccia, prima di stanza a Verona, poi nel Friuli, dove sorvolava le trincee del Carso.
Il 22 dicembre 1916 abbandonò l’Aviatik per il più moderno Nieuport e poco dopo, il 28 febbraio 1917, fu assegnato alla ottantesima squadriglia dove gli fu affidato il celebre Nieuport-bebè.
I voli e le imprese durante la guerra furono molteplici: sempre pronto a decollare, spesso nei turni operativi si offriva come sostituto di un collega di squadriglia sposato: «Prendo il tuo posto, tu sei ammogliato ed io scapolo. È meglio che vada io.» (Ferrari, 1933, p. 88) La sua generosità si espresse in diverse occasioni e in vario modo. Dopo la guerra, ad esempio, devolverà i tre assegni ricevuti per le medaglie d’argento ottenute affinché venisse costruito un asilo infantile intitolato all’amato padre Alberto. Interessante leggere la cronaca di uno dei suoi numerosi duelli aerei vinti (maggio 1917):
Un mattino, poco dopo l’alba, Keller si levò in volo, valicò la linea del fronte e, raggiunto un campo d’aviazione nemico, lanciò, con una temeraria picchiata, un astuccio metallico collegato ad una lunga fiamma tricolore: conteneva un messaggio in cui, in termini cortesi e ridondanti (Keller scriveva in stile dannunziano), sfidava gli aviatori nemici a misurarsi con lui. Il duello aereo sarebbe avvenuto il dì seguente in cielo austriaco. Le condizioni del combattimento erano queste: non si doveva far uso delle armi. Sarebbe risultato vincitore il pilota che fosse riuscito a portarsi in coda all’avversario. (…) Quelli accettarono. Avvenne il duello. Il cacciatore austriaco, valentissimo, fu, tuttavia, superato dal nostro pilota. Ecco il motivo per il quale Keller fu cavallerescamente scortato da una pattuglia di aerei nemici fin nel cielo di Trieste. Qui s’abbassò e dopo aver compiuto un giro provocatorio sulla città volse trionfante la prua verso le linee italiane. Al momento del commiato Keller ed i piloti avversari si salutarono con vistosi ed amichevoli gesti delle mani (Mencarelli, 1970, p. 11).
Dal 23 ottobre al 17 novembre 1917 si assistette alla disfatta di Caporetto. L’aviazione italiana protesse la ritirata in tutti i modi possibili. Il 1° novembre la 91a Squadriglia da caccia (“la squadriglia degli Assi”) di Francesco Baracca ottenne a rinforzo cinque piloti di alto valore: Adriano Bacula, Edoardo Oliviero, Cesare Magistrini, Franco Macchi e Guido Keller, l’Asso di cuori.
Al termine della ritirata di Caporetto la squadriglia di Baracca si trasferì prima a Nove di Bassano e poi a Quinto, nei pressi di Treviso.
Ovunque fosse Keller si comportava secondo il suo personalissimo modo di vivere, ovvero da fanatico igienista e naturista: spessissimo girava nudo e prendeva il sole ai bordi del campo di aviazione o sul greto dei fiumi della pianura veneta, divertendosi a spaventare le povere contadine; non si divideva mai da un’aquila delle Alpi Dinariche, da lui addestrata e alla quale aveva dato il suo stesso nome.
Così si disdegnava passare la notte nell’“alloggio dei Signori ufficiali” e si era trovato un albero in fondo al campo sotto al quale una squadra di soldati, con abbondante lavoro di badile, era riuscita a scavare una specie di grotta o di ricovero dove il Keller si rintanava se gli girava il vezzo. Nelle ore di libertà saliva, nudo completamente, e nell’aerea dimora svolgeva tutte quelle attività, anche quelle più naturali che molti uomini disimpegnavano a livello del terreno. Considerava inutili gli abiti borghesi e le divise, indossava, talvolta, il pigiama, calzando pantofole orientali a punta rialzata, sulla testa aveva spesso un fez e nella battaglia del Piave si portava dietro, come porta fortuna, un teschio (Salaris, 2002, p. 22).
116 voli di scorta e di caccia, 137 voli di crociera, innumerevoli voli di ricognizione, parte dei quali eseguiti durante la militanza nei reparti aerei della caccia. Ha distrutto in combattimento 7 velivoli austriaci di cui 3 ufficialmente convalidati, senza contare il fatto che ha contribuito con le sue gesta ad abbatterne molti altri. Fu decorato con tre Medaglie d’Argento al valor militare e proposto per una d’Oro (Mencarelli, 1970, p. 15).
Nel primissimo dopoguerra – nell’occasione di una gara in onore di Francesco Baracca – Keller diede ancora prova del suo carattere mistico: ormai vicino al traguardo, alla vittoria preferì il verde di un prato umbro, in onore di San Francesco, ulteriore legame fra Keller e Gabriele d’Annunzio; il poeta era particolarmente attratto dalla figura del santo di Assisi, tanto che durante il ritiro al Vittoriale amerà vestirsi da frate e parafrasare il linguaggio francescano, ennesimo simbolo del particolare sincretismo religioso dannunziano.
Prima di Fiume
Terminava il conflitto, ma Keller non riusciva a godere della pace finalmente raggiunta: la noia, il rifiuto della vita civile lo spinsero a partire con la 90a Squadriglia per la Libia, dove l’Italia stava combattendo per conquistare la Cirenaica. Neppure qui trovava però tregua la sua anima inquieta: Guido faceva ritorno in Italia spinto dal desiderio d’agire contro la “vittoria mutilata”.
A Venezia nella primavera del 1919 rivide d’Annunzio e da quel momento sarebbe stato al suo fianco, partendo dal celebre Discorso dalla ringhiera tenuto dal vate il 6 maggio dal Campidoglio con il quale spronava ancora una volta il popolo italiano ad agire sventolando le reliquie laiche, ovvero la sciabola di Nino Bixio e la bandiera intrisa dal sangue di Giovanni Randaccio. In un passaggio di questo stesso discorso, d’Annunzio indicava Keller e altri compagni d’armi: «Ho qui con me i miei compagni più prodi: uno stuolo di giovani eroi dell’Ala».
L’impresa di Fiume si stava avvicinando. Il 9 luglio 1919 a Centocelle si tenne il raduno degli aviatori e Keller ascoltava ancora una volta l’oratoria dannunziana: Primavere sacre dell’Italia alata.
Il poeta citava direttamente questa volta l’amico, «maestro di bizzarrie e di prodezze», che galvanizzato dalle parole del suo ‘dio’, una volta smobilitato (in agosto), si trasferì a Venezia alla Casetta rossa dando inizio a una serie di contatti con vari generali – da Sante Ceccherini ad Ottaviano Ricaldoni fino a Gustavo Fara – al fine di delineare un piano d’azione per ricondurre Fiume all’Italia.
L’impresa di Fiume
Guido Keller fu uno dei protagonisti dell’impresa fiumana fin dai suoi albori. Fu proprio grazie a lui che Gabriele d’Annunzio ebbe a disposizione gli automezzi necessari a compiere l’impresa (Guido aveva sequestrato a Palmanova – con il capitano Miani – una trentina di autocarri): sempre Keller aveva predisposto il motoscafo che li avrebbe condotti al molo di San Giuliano e approntato la celebre Fiat tipo 4 rosso fuoco che li attendeva all’approdo. E da qui verso Ronchi, verso Fiume. Guido, proprio perché uno dei trenta ufficiali entrati a Fiume a fianco del poeta, poté in seguito fregiarsi del titolo di ‘ufficiale di Ronchi’.
Keller aveva in un certo senso ridestato il poeta-soldato stanco e rinchiuso a Venezia nella Casetta rossa, quando gli si era presentato con un mazzo di rose rosse e un teschio calzante un fez nero, simboli dell’arditismo.
L’11 settembre 1919 – partendo da Venezia – d’Annunzio a bordo della Fiat rossa tipo 4 e alla testa di 35 autocarri, di 186 granatieri e di una ventina di graduati, marciava da Ronchi verso Fiume. Poco dopo il mezzogiorno del 12, entrò in città senza aver sparato un solo colpo, ‘scortato’ da circa 3.000 persone.
Una volta insediatosi a Fiume, il Comandante pensò di nominare Guido suo segretario particolare, ma – com’era nel suo stile – questi rifiutò l’incarico di ‘impiegato’ e così venne creato appositamente per lui un ruolo decisamente più ‘dannunziano’: segretario d’azione e capo dell’ufficio colpi di mano (UCM). Fiume, infatti, per sopravvivere al blocco posto dal governo italiano (guidato da Francesco Saverio Nitti) dovette approvvigionarsi attraverso le imprese dei cosiddetti ‘uscocchi’, legionari così ribattezzati dal d’Annunzio in ricordo dei pirati balcanici del Cinquecento.
Accanto all’UCM, importante attività svolse l’UF, l’Ufficio Falsi, che con l’aiuto di tipografie affiliate e fabbriche acquiescenti, riproduceva ogni tipo di documento, perfino passaporti per l’estero.
Gli uscocchi agivano per mare e per terra. Si presentavano in abiti civili e si imbarcavano sulla nave mercantile segnalata dagli informatori dell’UCM presente in zona. Una volta in mare la nave era poi dirottata verso Fiume sotto invito delle armi. Alcune volte si rendeva necessario abbordare il proprio bersaglio, come ad esempio per il “Persia”, catturato il 19 ottobre 1919. Altre imprese riguardarono il “Venezia”, il “Presidente”, il celebre “Cogne”, il “Trapani” e le “Cicladi”.
Tra le numerose gesta di Keller una fu particolarmente bizzarra: rubò un maiale e lo caricò sul proprio velivolo; purtroppo il fondo fu rotto dal peso dell’animale che così divenne un nuovo e originale carrello di atterraggio dell’aereo.
Tra un colpo di mano e l’altro, Guido respirava a pieno l’aria di festa che soffiava a Fiume: i mesi trascorsi nella ‘città di vita’ rappresenteranno il periodo più vivo e intenso della sua breve esistenza; solo in questa città, solo in quel preciso momento storico creatosi dall’incrocio di uomini provenienti dalle più disparate esperienze e dalle diverse idee politiche, in quel clima di festa, di «perpetuo quatorze juillet» (L. Kochnitzky, 1922, p. 53), poté esprimere liberamente la sua natura selvaggia e anarcoide, praticando il nudismo, vivendo a strettissimo contatto con la natura, senza regola alcuna che lo costringesse.
Si abbuffava nelle pasticcerie asburgiche, ma non disprezzava le osterie fumose e sporche, amava le nobildonne magiare, per poi passare alle prostitute del porto o ai rapporti omosessuali, mangiava prima una prelibatezza come gli scampi alla bùsara in un locale chic e dopo si rifugiava nei postriboli che offrivano dall’oppio alla cocaina, della quale divenne dipendente. Così raccontava egli stesso:
Il Carnaro è azzurrissimo di profondità-oblio. Dilagare rovesciare incendiare. Banche barbe pregiudizi. Fracassare tutti gli altari e tutti i piedistalli. Distruggere, creare con gioia e danzare e ubriacarsi nelle feste di tutti i santi. Non vogliamo misticismi! Vivere vivere vivere. Mordere la vita con denti bianchissimi. Divorarla. Rendere tutto possibile in atmosfera di genialità-follia incandescente (Cuzzi, Vento, 2012, p. 98).
A volte però questa forza sembrava venir meno:
Nella notte del ballo forsennato di Sanvito voi dovete comprendere il nostro grido d’angoscia, gettato a piena gola e viso di gioia (Cuzzi, Vento, 2012, p. 98).
Tornando agli incarichi di Keller, sotto la sua direzione (ma anche di Giovanni Bonmartini, Bruno Cattoi, Ludovico Censi e Giordano Bruno Granzarolo) era posto l’Ufficio di aviazione. L’aviazione fiumana era composta da nove aerei e da idrovolanti della Marina, giunti da Pola, il Campo volo si trovava a nord della città, a Grobnico.
Keller ammirò profondamente d’Annunzio e questi lo ripagò con affetto sincero, Guido era l’unico fra i giovani legionari a cui fosse concesso dargli del tu; «Il Comandante lo consulta e gli vuol bene. I bambini piccini credono che sia il Diavolo.» (L. Kochnitzky, 1922, p. 12)
Questo stravagante personaggio, idealista e un po’ folle, capace di donare tutto al prossimo e sempre al fianco del suo Comandante, non fu solo pronto ad agire quale capo degli uscocchi, ma fu anche capace – o meglio, ebbe l’ardire – di consigliare e di spronare all’azione il celebre poeta-soldato.
Nei primi momenti dell’occupazione, attraverso incontri con il presidente del Consiglio Nazionale Fiumano, Antonio Grossich, e con i consiglieri, ha stabilito gli accordi per concentrare tutto il potere nelle mani del poeta, che fino a quel momento ha assunto solo quelli militari. Figura carismatica, ma schivo ed incurante degli onori, non ha voluto per sé grandi incarichi, ricoprendo solo il ruolo di ‘segretario d’azione’ del comando (Salaris, 2002, p. 21).
Ulteriore esempio dell’attività svolta da Keller a Fiume è rappresentato da ‘La Disperata’, ovvero una compagnia di giovani sbandati giunti volontari dall’Italia senza documenti ma ben forniti di spirito d’avventura. Non essendo stati accolti dal comando, erano rimasti accampati presso i cantieri navali e qui scovati da Guido mentre si tuffavano nudi dalle navi immobilizzate: sarebbero divenuti la guardia personale del Comandante. Creando questa particolare compagnia, Keller iniziò a dar forma alla sua idea di un nuovo ordine militare.
Pur essendo sostanzialmente un uomo d’azione, Keller sapeva anche come negoziare. Nel maggio 1920 – fingendosi l’ingegnere tedesco August Römer – viaggiò tra Zara, Spalato, Curzola, Cattaro e il Kosovo incontrando agenti segreti, dirigenti comunisti e rappresentanti delle milizie montenegrine con lo scopo di sondare il terreno per una possibile rivolta antiserba.
Rientrato a Fiume, trovò una città in mano alla destra conservatrice e un Comandante che non lo ascoltava più; perfino l’idea ‘rivoluzionaria’ della Lega di Fiume, vagheggiata lega dei popoli oppressi in antitesi alla Società delle Nazioni, ideata da Keller stesso e Leon Kochnitzsky, andava sfumandosi. Così, quando d’Annunzio allontanò Kochnitzsky perché preoccupato per il radicalismo eccessivo della Lega, per protesta Keller si auto esiliò a Cosalla, sui monti attorno la città seguito da Comisso e Henry Furst; si cibarono di frutta, petali di rosa intinti nel miele, latte e formaggio di capra, prendendo il sole e tuffandosi nudi dalle rocce. Celebre l’immagine di un Keller nelle vesti di Nettuno: la lunga barba al vento e il tridente nella mano destra.
Sempre critico verso la disciplina e le gerarchie, Keller – con Giovanni Comisso – fondò nel novembre 1920 il movimento Yoga assieme all’omonima rivista, basati sulla libertà di pensiero e di azione, un’unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione, nemici della logica. Simboli furono la svastica – il carro del sole, non ancora sporcato dal fanatismo nazionalsocialista tedesco – e una rosa a cinque petali. Gli orientamenti di questo gruppo si possono sintetizzare in esoterismo e naturismo; il suo fine era gettare le basi di un mondo nuovo, non borghese, che guardava invece al superomismo nicciano. Un movimento metafisico volto alla restaurazione dei valori dello spirito contro il materialismo positivista, in questo senso opposto al futurismo che esaltava il modernismo e il meccanicismo.
In Keller conviveva pertanto questa contraddizione: da un lato la passione per l’aeroplano – il più fulgido esempio tecnologico del tempo – dall’altra il disprezzo per la civiltà industriale.
Per poter giungere a tale nuova società era necessario partire da Fiume e allargare prima all’Italia e poi al resto del mondo l’idea di una rivoluzione che portasse finalmente a quel rinnovamento sociale ed economico che la società dell’epoca sentiva come primaria necessità.
Le nazioni più povere, i popoli oppressi dovevano guardare a Fiume come a un faro di libertà nell’oscurità del mondo contemporaneo, posto sotto il comando di quelle poche nazioni ricche preoccupate solamente di sfruttare i paesi più poveri.
Si pensò alla costituzione di un nuovo ordinamento politico e sociale, si sognò una riorganizzazione totale del mondo occidentale in senso orientale. Per tale motivo Keller e il movimento Yoga tentarono di bloccare la parte moderata e conservatrice presente comunque in Fiume e allontanarla il più possibile da d’Annunzio, ma senza successo: l’ala moderata stava prendendo sempre più il sopravvento e cercava di mettere in secondo piano Keller. Fu attraverso il giornale Yoga che si cercò di difenderlo in data 7 novembre:
Molti giornali vogliono far passare il Keller per pazzoide, figura secondaria a Fiume. Noi ricordiamo che egli, Asso della squadriglia Baracca, inarrivabile pilota, fu tra i primi e più fidi seguaci di Gabriele D’Annunzio al quale è legato da forte affetto. Egli è l’intelligenza, l’audacia, la fede che è l’equivalente della pazzia. È, in una parola, un italiano, indicibilmente italiano: è un irregolare, è un eretico, tutto volitivo. (…) È un soldato di ventura che si batte per un soldo d’ideale e di libertà, è uno che non ha intorno al collo la corda della libertà ufficiale, né affonda nella greppia il muso ingordo con rumore di mandibole voraci.
Sebbene a Fiume vigesse ampia libertà d’azione e di pensiero, questa difesa da parte del suo giornale dimostra come la condotta stravagante di Keller stesse iniziando a essere vista con ostilità.
Dopo la promulgazione della Carta e la proclamazione delle Reggenza del Carnaro, il Comandante tentò il tutto per tutto per contrastare l’azione del presidente del consiglio Giovanni Giolitti inviando a Roma proprio Keller per tentare di convincere il Ministro della Guerra Ivanoe Bonomi e il capo di stato maggiore della marina ammiraglio Paolo Thaon de Revel a sostenere Fiume, ma senza alcun successo. Anche l’amico ammiraglio Enrico Millo, governatore di Zara, che inizialmente aveva pur aderito all’impresa fiumana, preferì riallinearsi alle scelte del governo centrale in vista della vicina firma del Trattato di Rapallo.
Trattato che venne siglato il 12 novembre 1920: Fiume diveniva Stato indipendente; ci si stava avviando verso il tragico ‘Natale di Sangue’ e alla conseguente uscita dalla città – e dalla politica attiva – di d’Annunzio. Keller aveva progettato addirittura di rapire Giolitti mentre in treno si recava in Liguria per la firma, piano fallito probabilmente a causa della defezione dei suoi amici, scelta che lo portò a compiere una delle gesta più clamorose ed eclatanti: il lancio su Montecitorio – in segno di dispregio e protesta contro questa ratifica – di un pitale con legato un mazzo di carote e rape. Per Guido il Parlamento
era una specie di mostro che egli odiava di un odio vivo, da persona a persona. Era quello il nemico vero che bisogna distruggere. (…) Quando si trovò a Fiume dove Guido era stato richiamato dalla luce d’una grande falce brandita alta sull’ignavia e pronta ad essere scagliata sul volto degli imbelli o cialtroni governanti d’allora, il ricorso di quanto non era stato fatto contro l’infausto Montecitorio, divenne per lui come un continuo tormento. Bisogna mostrare al mondo che cosa valesse quel Parlamento e che cosa meritasse (G. Milanesi, 1944, p. 98).
La firma del Trattato portò per la prima volta a una frattura fra Keller e il Comandante, ormai troppo incline a favorire la parte moderata. Guido sentì di doversi in qualche modo staccare, diventare lui stesso un protagonista. Per questo volò a Roma il 14 novembre 1920 sul suo SVA monoposto e alle ore 11, come lui stesso scrisse:
offro al Vaticano delle rose rosse per frate Francesco, sul Quirinale lancio altre rose rosse per la Regina ed al popolo in pegno d’amore. Su Montecitorio scaglio invece un arnese in ferro smaltato a cui ho legato uno striscione di stoffa rossa. Al manico ho annodato un mazzo di rape e di carote ed un messaggio: Guido Keller dona al Parlamento ed al Governo, che si regge col tempo, la menzogna, la paura e la tangibilità allegorica (ovvero il vaso da notte, nda) del loro valore (Mencarelli, 1970, pp. 16, 17).
Fra i diversi grandi progetti di Keller vi era l’idea di una rivoluzione che conducesse a un profondo mutamento dell’ordinamento dell’esercito, abolendo i gradi superiori a quello di capitano e ricreando le antiche compagnie di ventura di tradizione italiana.
Così, sotto la sua influenza e quella del capitano Giuseppe Piffer, nacque il Disegno di un nuovo ordinamento dell’esercito liberatore, il quale rappresenta forse l’unico reale atto ‘rivoluzionario’ nato dal periodo fiumano.
Il nuovo ordinamento, redatto da d’Annunzio in collaborazione appunto con Piffer, desiderava trasformare la sempre più irrequieta massa dei legionari in un esercito di nuovo tipo, fondato su un rapporto totalmente fiduciario e personale tra il Comandante e i suoi uomini, e sull’autogoverno di questi ultimi in tempo di pace mediante un Consiglio Militare, i cui membri avrebbero deliberato a maggioranza e in piena uguaglianza, qualunque grado essi possedessero. Difatti l’articolo 17 dell’ordinamento prevedeva: «Quando il Consiglio [militare] si aduna, l’autorità del grado militare cessa. Nel parere e nel vòto tutti i consiglieri sono eguali.»
Poco prima di giungere al ‘Natale di sangue’, Keller si mise in mostra attraverso altri atti e progetti di disturbo come il volo su Zara per lanciare volantini riportanti un discorso di d’Annunzio.
Come è noto, il 21 dicembre la Reggenza proclamò lo stato di guerra e la notte del 24 si arrivò a scontri armati, senza un successo netto per nessuna delle due parti. Morirono 22 legionari e 17 soldati italiani, mentre rimasero feriti 5 civili. Il Comandante, per porre fine ai bombardamenti, rassegnò le proprie dimissioni, mantenendo solo il comando della legione di Ronchi.
Fiume divenne Stato Libero, con una sua Costituente presieduta da Riccardo Zanella; sarebbe divenuta provincia italiana dopo il Trattato di Roma firmato da Benito Mussolini il 27 settembre 1924.
Perfino durante i combattimenti Keller dimostrò il proprio stravagante eroismo: caricava gli avversari in sella a un cavallo e li colpiva con un bastoncino di bambù, perché non poteva assolutamente sparare contro i suoi compatrioti. Pur disarmato, riuscì comunque a far prigioniero un reparto di ‘nemici’ e a impossessarsi di un cannone e di un’autoblindo.
Il sogno fiumano di Keller e compagni svanì all’alba e si giunse al momento degli addii raccontati da Comisso:
Il Comandante ci radunò ancora una volta nella Piazza Maggiore. Scese dal palazzo a piedi accompagnato dai suoi ufficiali e ci passò tutti in rassegna. Era pallidissimo ed indossava sopra la divisa da ardito un impermeabile giallo. Quando giunse davanti al gagliardetto della Disperata disse: “Rimanete sempre pronti al segno…”. Alla sera ci trovammo in un albergo con tutti i nostri compagni. In un’altra sala vi erano alcuni ufficiali del Governo nazionale venuti a prendere in consegna il materiale. Keller fece loro portare in dono una piccola cassa da morto per bambini. Essi credevano che contenesse una bomba e la fecero gettare in mare con molta precauzione senza osare di aprirla (Comisso, 1963, p. 101).
Il 18 gennaio 1921 d’Annunzio lasciò Fiume a bordo di un’automobile, come vi era entrato, diretto a Venezia con Guido, disfatto, stordito ma ancora al suo fianco. Entrambi stanchi, delusi, parlarono di una rivincita, ma probabilmente sapevano benissimo di star mentendo, soprattutto a loro stessi.
Dopo Fiume
Conclusa l’impresa fiumana, Gabriele d’Annunzio scelse l’esilio a Gardone Riviera, mentre Guido Keller non abbandonò il proprio bisogno d’avventura: sarebbe volato in Asia, in Sudamerica e poi in Europa, prima però avrebbe partecipato alla marcia fascista su Roma dell’ottobre 1922 e si sarebbe iscritto al fascio di Firenze a novembre; mentre il fratello Alberto sarebbe stato uno dei capi fascisti del locale ateneo, il rapporto di Guido con il fascismo sarebbe stato contradditorio: era troppo libero e ribelle per accettare quelle limitazioni che il regime imponeva, lo trovava inoltre noioso e troppo governativo, aveva definito Mussolini «una testa di vitello morto» (Archivio Generale, Archivi del Vittoriale, busta G. Keller, lettera datata 8 luglio 1922).
Disperato perché senza finanze, Keller si rivolse a d’Annunzio, grazie al quale ottenne nell’aprile 1923 l’incarico di organizzare la squadriglia idrovolanti sul Garda. Eppure la sicurezza di tale compito non lo soddisfaceva, la noia lo tormentava e la trasformazione del movimento fascista in regime non lo entusiasmava e così lasciò l’Italia alla ricerca di nuove imprese.
Nel 1923 si diresse in Turchia, pronto a offrire i propri servigi a Kemal Ataturk; affascinato dall’islamismo, riuscì a introdursi addirittura in una confraternita coranica. Nel novembre 1924 si recò in Germania quale impiegato dell’ambasciata italiana a Berlino, dedicandosi in realtà allo studio del volo a vela, venne così fatto rimpatriare. Nel 1925 volava in Libia, a Bengasi, assieme alla squadriglia del maggiore Ferruccio Capuzzo. Assegnato a una squadriglia di ricognizione Keller si offrì volontario per vendicare la morte a opera di arabi locali di Capuzzo e del suo equipaggio. Uccisi alcuni ribelli, Keller fu costretto ad atterrare per problemi al motore; pronto a combattere fu invece scambiato da alcuni arabi per uno di loro e venne così accolto per diversi mesi in qualità di Re e loro signore; il fascino, il carisma di quest’uomo stravagante li aveva sedotti. Dopo un periodo in patria, successivamente fu inviato in America Latina (Perù, Cile e Venezuela) a fini commerciali, trascorrendo l’inverno in Venezuela e risalendo l’Orinoco; da qui avrebbe desiderato far rinascere lo spirito fiumano: Guido sognava di fondare le repubbliche sudamericane per liberarle all’egemonia degli Stati Uniti d’America. Tornato nel 1928 in Italia si dedicò alla progettazione di viaggi a bordo di idrovolanti lungo i fiumi e le coste del Sudamerica, mentre l’amico Mario De Bernardi riusciva a trovargli un impiego quel pilota sulla linea commerciale di idrovolanti che collegava Orbetello a Sanremo attraverso la Versilia.
Trascorse gli ultimi anni in povertà ad Ostia, presso la pensione Regina, aiutato da alcuni amici; questa sua triste condizione non gli impedì di continuare a sognare la fondazione di una città di vita simile a Fiume, individuando addirittura il luogo del suo sorgere: l’Isola Maggiore, sul lago Trasimeno. Non riusciva ad abbandonare i suoi sogni, si avvolgeva in essi per non provare il freddo di un mondo che non sentiva come suo.
Si legò inoltre ancor di più ai futuristi e con l’aeropittore Fedele Azari progettò lo spettacolo teatrale La Conquista del Sole, durante il quale la musica era costituita dal rombo del motore di un centinaio di velivoli.
Il desiderio, quasi bisogno, di ridestare il vate dormiente lo portò nel 1929 – secondo le parole di Sandro Pozzi – a concepire un piano: andare a Gardone da d’Annunzio e proporgli di marciare nuovamente verso la Dalmazia per liberarla dalla Jugoslavia. Il progetto pare venne accantonato per non ostacolare la politica estera del Governo e anche perché ormai il Comandante non avrebbe più comandato.
Il loro legame era molto forte, d’Annunzio sentiva così affine a sé il giovane uomo dagli occhi febbrili da richiamarlo spesso alla mente e nei suoi scritti, come nel Libro ascetico della giovane Italia – Comento meditato a un discorso improvviso (X DE PROFVNDIS CLAMAVI AD TE, PATRIA):
Sei tu, Guido Keller, compagno che sai parlare all’aquila e sai persuadere il somiero, compagno che sai tener prigione l’aquila e caricare di pazienza il somiero, sei tu venuto al mio capezzale? (…)
Non so se tu sia il Guido Keller di quella notte. Tutti cambiano intorno a me. E io sono stanco di fare la pietra del paragone.
«Ti ricordi di quella parola che ti mandai nella tua via fiorentina delle Stelle?
«Maestro senza discepoli, capo senza partigiani, condottiero senza seguaci, console senza littori.
La morte
Nel luglio del 1929 in Brasile moriva improvvisamente il fratello Alberto, Guido avrebbe desiderato raggiungere la madre Luisa Osnago ma gi era stato ritirato il passaporto; sentiva che la vita anche per lui era agli sgoccioli. Infatti morì a soli 37 anni durante un banalissimo incidente automobilistico a Magliano Sabina (Rieti): era il 9 novembre 1929, pioveva, c’era poca visibilità, la strada era sdrucciolevole, alla guida di una Fiat 525 Atlantico Ferrari; con lui, oltre a Keller, la medaglia d’oro Vittorio Montiglio e il capitano Giovanni Battista Salina, diretti a Vallombrosa; sarebbe sopravvissuto solo Ferrari.
Guido Keller è ora costretto all’eterna immobilità in una delle dieci arche che fanno da corona, da picchetto d’onore permanente alla tomba di Gabriele d’Annunzio sul colle denominato Mastio o Colle santo, al Vittoriale degli Italiani, a Gardone Riviera; riposa presso il Mausoleo concepito sul modello dei sepolcri a tumulo romani: tre gironi in pietra, dedicati alla Vittoria degli Umili, degli Artieri e degli Eroi, le arche in marmo di Botticino (dono della città di Vicenza) circondano quella del Comandante, posta al centro e sul punto più alto.
E forse qui ha finalmente trovato pace, Guido Keller, quest’uomo unico e indefinibile, proprio come il suo Comandante che lo amava profondamente e che così lo ricordava poco dopo la sua morte:
Egli era stato uno dei pochissimi che hanno saputo amarmi come io voglio essere amato. Mi amava aspramente ed oggi sembra che egli si corrucci del mio pianto.
Bibliografia
Archivio Generale, Archivi del Vittoriale, busta G. Keller.
G. Comisso, Le mie stagioni, Milano, Longanesi, 1963.
G. Comisso. Al vento dell’Adriatico: Il porto dell’amore, Gente di mare (testo definitivo con capitoli aggiunti), Treviso, Edizioni di Treviso, 1953.
M. Cuzzi, A. Vento, Alla Conquista del Sole. La parabola impossibile di Guido Keller in A. Manzo Magno (a cura di) Romba il motore, Milano, Il Saggiatore, 2012.
A. Ferrari, L’asso di cuori: Guido Keller, Roma, Cremonese, 1933.
G.B. Guerri, Disobbedisco, Milano, Mondadori, 2019.
L. Kochnitzky, La quinta stagione o i centauri di Fiume, Bologna, Zanichelli, 1922.
M.A. Leeden, D’Annunzio a Fiume, Bari, Laterza, 1975.
I. Mencarelli, Guido Keller (6-2-1892 / 9-11-1929), Roma, Ufficio storico aeronautica militare, 1970.
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C. Mercati (Krimer), Incontro con Guido Keller, con un disegno originale di Lorenzo Viani; un disegno originale di Enrico Prampolini Viareggio, [s.n.], a. XIII [1935], Lucca, Tecnografica.
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C. Salaris, Alla festa della rivoluzione – artisti e libertari con D’Annunzio a Fiume, Bologna, Il Mulino, 2002.
I. E. Torsiello, Gli ultimi giorni di Fiume dannunziana-Cronache e documenti fiumani, Bologna, Giuseppe Oberosler, 1921.