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Il In Is

Il libro ascetico della giovane Italia

di Filippo Fonio Enciclopedia dannunziana

Genesi, elaborazione, vicenda editoriale

Il libro ascetico della giovane Italia (1926) consta di una raccolta di articoli, discorsi e testi rivolti ad altra destinazione – meditazioni e scritti a carattere semi-diaristico in particolare – che coprono il periodo 1895-1922. La silloge costituisce una versione ampliata di Per l’Italia degli Italiani, opera strettamente connessa al “volo dell’arcangelo” dell’agosto del 1922, composta e rivista nell’arco di appena un mese durante la convalescenza (Giorgio Zanetti, in Prose di ricerca, p. 3211, che cita da una nota pubblicata sulla “Nazione” di Firenze l’11 ottobre 1922) e pubblicata all’inizio del 1923. Per l’Italia si caratterizza come compendio dell’attività politica pregressa dannunziana fino al passato più recente, e l’ampliamento della raccolta mediante testi dalle Prose scelte ben più antichi, a partire dal Proemio al “Convito”, prosegue sul medesimo afflato. Non di una semplice silloge di testi eterogenei si tratta, ma di una “costruzione volta a risignificare i testi assemblati” (Andreoli, in Prose di ricerca, p. XIX). All’insegna di molteplici forme di riuso, il Libro ascetico si situa del resto a media altezza nella stagione delle raccolte dannunziane, una stagione fatta anche di fitti reimpieghi testuali. Così, se particolarmente densa appare l’autocitazionalità all’interno della raccolta, d’altro canto ampie citazioni e interi testi del Libro ascetico confluiranno negli anni successivi nel Sudore di sangue (1931) e nell’Allegoria dell’Autunno (1934).
Prose di ricerca
, il Libro ascetico è ripubblicato nel 1931 come quarantunesimo volume dell’“edizione nazionale”.

Contenuto e struttura

I principali nuclei tematici del Libro ascetico sono costituiti da un connubio fra preoccupazioni dannunziane di lungo periodo, quali la chiamata a raccolta degli intellettuali e degli esteti contro la barbarie incipiente di affaristi, faccendieri e imprenditori incolti, o i ricordi giovanili e l’esperienza parlamentare, cui si affiancano da un lato esperienze e preoccupazioni più recenti – come il vissuto bellico, il periodo fiumano e l’oratoria del primo periodo del Vittoriale -, e dall’altro un’attenzione per la realtà politico-sociale italiana e internazionale degli anni venti del Novecento. Date tali premesse, e l’importanza che nell’economia del Libro ascetico riveste la collocazione dei singoli testi in funzione del suo carattere unitario.

Epigrafi

Il libro si apre con la celebre formula pliniana “Haec est Italia diis sacra” in epigrafe, seguita dalla riformulazione della frase paolina “Si Deus pro nobis, quis contra nos?” (Rom., VIII, 31), che nella riscrittura dannunziana ipostatizza il divino con lo “spiritus”, soffio o afflato vitale e al contempo “fiamma intelligente”, celebrazione della scintilla divina nell’umano. Sempre in limine al testo del Libro ascetico è collocato un estratto della Carta del Carnaro dell’estate del 1920, scritta in collaborazione con Alceste De Ambris, quello relativo all’enigmatica “decima Corporazione” che raduna il “popolo in travaglio e in ascendimento”, e alla decima musa già cantata nella Laus vitae. L’estratto è racchiuso tra la citazione paolina alterata e quella, di ascendenza almeno concettualmente bruniana (Lo spaccio della bestia trionfante) di “fatica senza fatica”, il “labor sine labore” celebrato dall’energèia spirituale che d’Annunzio fa coincidere con la tutela deputata alla decima musa. Segue un’ultima serie di tre epigrafi, significative per l’anticipazione dei principali nuclei tematici dell’opera nella forma delle “parole della riscossa”, “della vigilia” e “del mutilato”.

Prese di posizione politiche e commemorazioni

Il Libro ascetico si inaugura quindi con una prefazione, A nostra madre l’Italia. A nostra donna l’intelligenza, un testo datato 5 maggio 1926 (data altamente simbolica per d’Annunzio, in quanto undicesimo anniversario del discorso di Quarto). Vi si denota già la doppia dimensione, fra passato e presente, che accomuna i testi qui raccolti: l’esperienza di guerra da un lato, la quiete operosa del Vittoriale dall’altro. Questi due poli sono unificati dall’acribe attività dell’artifex, del creatore di poesia e di bellezza. Nella scena bellica del Carso qui evocata è non a caso presente un esemplare di Alcyone, libro incombusto nonostante il bombardamento in corso, libro indistruttibile e imperituro. Emerge anche il richiamo ai giovani, sentiti come particolarmente vicini e affini in virtù della giovinezza – spirituale, se non altro – di d’Annunzio, che ai giovani reduci delle trincee sa, e deve parlare.
Segue la ripresa, con il titolo
La parola di Farsaglia, del Proemio fatto precedere al primo fascicolo del “Convito”, pubblicato nel gennaio 1895, testo che compariva in rivista non firmato. Esso è molto vicino alla poetica e all’ideologia rivendicate nelle Vergini delle Rocce – non a caso uscito dapprima a puntate proprio sul “Convito”. Il titolo rinvia alla parola d’ordine dell’estetismo della Roma “bizantina” contro l’invasione dei nuovi barbari che devastano la “terza Roma”, la “Venus victrix” già invocata dall’esercito di Cesare in occasione della battaglia di Farsalo. D’Annunzio chiama a raccolta le “energie militanti” di cui dispone l’Italia: “Gli uomini d’intelletto raccogliendo e moltiplicando tutte le loro energie debbono sostenere militarmente la causa dello Spirito contro i Barbari […].” (Prose di ricerca, p. 422) Lo “Spirito” qui evocato sostituisce significativamente, nella stessa frase, l’“Intelligenza” che si riscontrava nel testo del 1895. Non di mera variatio si tratta, ma della messa in luce di uno dei Leitmotive del Libro ascetico, l’insistenza sulle forze spirituali della Nazione, sola e principale risorsa cui attingere nella lotta contro la barbarie. Rimandano allo stesso giro di anni i Comandamenti della patria celestiali e terrestriali, nel culto dell’aspettazione, datato al 1896, ripresa della seconda commemorazione scritta da d’Annunzio per Enrico Nencioni (allievo di Giosue Carducci, poeta e traduttore, mediatore della cultura anglosassone in Italia), qui celebrato in quanto patriota, amante e mediatore della bellezza, nonché nume tutelare del giovane d’Annunzio. Il “culto dell’aspettazione” funge da controcanto rispetto all’empito d’azione centrale nella Parola di Farsaglia, un’attesa che è anche lascito alle generazioni a venire cui viene assegnato il compito di ripristinare il culto della bellezza e contrastare il degrado dei tempi presenti. Notevole, e sempre risalente alla medesima sensibilità che impronta Le Vergini delle Rocce, è la contemplazione della potenza ideale del paesaggio italiano – toscano oltre che romano, qui – e il legame postulato tra terra, sangue ed eccellenza della stirpe, incarnata da Dante e san Francesco che sorgono lungo la meditazione. La Laude dell’illaudato è una rielaborazione in forma abbreviata del celebre “discorso della siepe”, tenuto a Pescara da d’Annunzio, candidato nelle fila della destra conservatrice in Abruzzo nel collegio di Ortona a Mare, il 22 agosto 1897, e pubblicato su “La Tribuna” il 23 agosto 1897 con il titolo Agli elettori di Ortona – discorso che occasionerà il poemetto pascoliano La siepe. Nella rielaborazione del testo di trent’anni prima vengono funzionalmente omesse le ripetizioni con il Proemio del “Convito”. D’Annunzio tende a presentarsi ai suoi conterranei come un loro “fratello purificato” e “più lucido”, che nella vita caotica e ammaliatrice delle città, nell’arduo labor poetico e nella sensualità che avrebbe contribuito a macchiarne l’immagine presso gli ascoltatori, mai ha rinnegato la propria terra né i propri conterranei. E che si presenta loro in tale circostanza come rivelatore di una verità insita nella stirpe abruzzese, come “colui che sprigionò col suo tocco l’antica virtù delle cose familiari e le rifece religiose e le rifece indicibilmente belle.” (Prose di ricerca, p. 431). Egli celebra così la “bellezza della moltitudine”, la “virtù conservatrice” della stirpe abruzzese, e al contempo – unico elemento prettamente politico e programmatico del discorso – le enclosures, le siepi che delimitano e proteggono il frutto dell’attività individuale, la proprietà privata e inalienabile che le forme di socialismo contro cui l’oratore si posiziona mettono a repentaglio. Il Proemio al “Convito” e il “discorso della siepe” sono due testi strettamente legati sul piano di una volontà di discesa in campo da parte dell’intellettuale e della rivendicazione di un’istanza etica della bellezza compendiata nella formula della “Venus victrix”.
Quella che può essere considerata la prima parte del
Libro ascetico si conclude con una serie di discorsi e altri interventi pubblici in cui d’Annunzio ribadisce queste medesime tematiche, in particolare il patriottismo, ma nei quali si vede parimenti una maggiore presenza degli interessi antiquari dannunziani, che saranno centrali per il seguito della raccolta. Così nel Sasso contro l’eroe, discorso del 1898 contro i danni arrecati dal popolo insorto a Firenze contro il rincaro del pane. Anche qui d’Annunzio si scaglia contro ogni “delitto di lesa bellezza” (Andreoli, in Prose di ricerca, p. XIX), nella fattispecie quello compiuto dai manifestanti contro il Perseo di Cellini. Si tratta di una versione rivista e abbreviata dell’articolo Primavera di sangue, pubblicato sulla stampa anglosassone e già confluito in parte nella chiusa del discorso agli elettori di Firenze pronunciato nel giugno 1900 (Il discorso di Gabriele d’Annunzio, “Il Giorno”, 3 giugno 1900). Ai richiami danteschi nella prima parte corrisponde, nella seconda, una fitta intertestualità celliniana, che lo accomuna a un testo come l’Encomio del bronzo. Ma si tratta anche di un’altra invettiva contro la barbarie, in questo caso non quella dei deturpatori palazzinari della “terza Roma”, bensì della plebe inferocita, degli “schiavi ribelli”, degli eredi dei Ciompi che si scagliano, con una certa voluttà di distruzione, contro l’opera della bellezza. Il discorso letto nell’Aula Magna dell’Istituto Fiorentino di Studi Superiori il 27 febbraio 1901, originariamente assieme all’ode Per la morte di Giuseppe Verdi occasionata dal trentennale della ricorrenza (poi in Elettra) viene quindi ripreso di seguito con il titolo Esempio italico del genio vittorioso, esposto ai giovani d’Italia. Si tratta di un altro elogio degli artifices: Giuseppe Verdi, l’artista napoletano Vincenzo Gemito che ne realizza il busto in preda a un fervore mistico (che offre il pretesto per un ennesimo elogio appassionato dell’Ellade), ma anche Dante e il suo Ulisse, Leonardo, Raffaello (triade che corrisponde a quella celebrata nel “canto” Per la morte di Giuseppe Verdi). Il costante richiamo alle forze vive della gioventù, oltre al ripetersi dell’imperativo “Considerate la vostra semenza”, è non solo funzionale all’uditorio, ma funge anche da richiamo a uno dei motivi dominanti della prima parte della raccolta, l’appello ai giovani e l’incitamento mosso loro di seguire la propria vocazione e il proprio destino al fine di ridare grandezza spirituale alla patria. L’Imagine dell’Italia, apparita presso il sepolcro d’un suo grande figlio riprende la parte finale del discorso dannunziano in occasione della commemorazione di Giosue Carducci organizzata dal Sindaco di Milano il 24 marzo 1907 al Teatro Lirico. Se lo stralcio che trova posto nel Libro ascetico consente di eliminare una serie di autocitazioni, in particolare dal Proemio al “Convito”, esso snatura profondamente il testo originario, facendo dell’elogio funebre di un immediato predecessore nella genia del vaticinio poetico, nonché di un encomio di Milano, ma anche della Toscana, dell’Italia tutta e di alcune sue grandi figure, un testo al contempo ancor più antiparlamentare – come molti di quelli del Libro ascetico, del resto – e una celebrazione dell’uomo vitruviano che insiste sugli aspetti soltanto laici di tale concezione, sul dominio dell’uomo sulla natura, sulla celebrazione della facoltà della volontà, nietzscheanamente celebrata in quanto vera essenza dell’uomo. Chiude questa prima parte l’Effigie dell’Italia, rialzata su la riva destra del suo fiume santo, parte del discorso pronunciato di fronte ai “ragazzi del ’99” il 12 dicembre 1917. Sull’onda di Caporetto da poco trascorsa, questo altro inno all’Italia insiste sul carattere della patria in quanto alma e fecondatrice di genti e di civiltà. Rispetto al testo originario, molto più lungo, nel Libro ascetico si trova solo un breve passaggio tratto dalla parte finale.

“Per l’Italia degli Italiani”

La seconda parte del Libro ascetico si apre con il lungo Comento meditato a un discorso improvviso, esempio di “prosa notturna” (“testo onirico” imparentato al Notturno, lo definisce Zanetti, in Prose di ricerca, p. 3120), variazione sul tema della mistica della sofferenza, fra reminiscenze di guerra, afflati evangelici e francescani. D’Annunzio vi riflette sulla doppia dimensione della sua condizione attuale, percepita da se stesso come la convalescenza da una “caduta mistica di arcangelo esiliato o d’angelo mutilato”, e dagli “ignari” come una semplice “caduta d’uomo”. Tale giudizio non è privo di una certa dose di autocommiserazione (“L’Italia m’ha gettato dalla rupe tarpea […]”). Si tratta di un testo dalla forte componente memoriale, che rievoca diverse figure dei trascorsi di guerra (con particolare insistenza sui tanti militi ignoti morti a glorificazione dell’Italia, novero a cui d’Annunzio sente di appartenere), ma anche la madre, Ildebrando Pizzetti, nonché diversi episodi eclatanti della sua vita e specialmente delle sue gesta, dalla “beffa di Buccari” al volo su Vienna, alla guerra di trincea sul Carso, al furto della Gioconda. Il convalescente riconosce una serie di numi tutelari, in particolare Dante e san Francesco, ma anche Michelangelo – all’insegna dalla passione giovanile per le Sibille – e procede a una serie di identificazioni, con Lazzaro e con Cristo in particolare, che ricordano i procedimenti analogici e identificativi delle Tre parabole del bellissimo nemico. Ma anche di testo fortemente (auto-)citazionale si tratta, con riprese dalla Laus vitae (Le Sibille, Inno alla Delfica, Il Deserto), da Elettra (Per la morte di un capolavoro), ma persino, caso alquanto più raro, vi si trova una citazione da Das Schloss di Franz Kafka, nonché forse una eco dal primo Manifesto del Futurismo, laddove si procede a un paragone fra il “valore ideale” di strumenti bellici ed uniformi militari e i capolavori dell’artigianato rinascimentale, a tutto vantaggio dei primi. L’ultima parte del testo (il capitolo XI) situa più precisamente la meditazione attraverso un diario dei giorni della convalescenza costellato dal dialogo con i medici che lo assistono – un contesto che è oggi possibile ricostruire più chiaramente grazie alla riesumazione dei diari di questi, editi da Pietro Gibellini in Siamo spiriti azzurri e stelle. Nondimeno, emerge in filigrana la ragione cogente della stesura del testo nonché della sua collocazione a precedere il discorso Agli uomini milanesi. Vero Leitmotiv sotteso al Comento è infatti una presa di posizione politica da parte di d’Annunzio; in risposta a chi a Milano lo ha esortato a schierarsi, e in particolare all’interlocutore in absentia Farinacci che gli aveva ingiunto di dichiarare pubblicamente la propria posizione nei confronti del fascismo, d’Annunzio rivendica il proprio diritto/dovere di “far parte a sé”, chiamando al contempo a raccolta quanti si riconoscono nella sua posizione – unica autenticamente patriottica.
Agli uomini milanesi per l’Italia degli italiani
, che costituisce la ripresa del discorso pronunciato a Milano dal balcone di palazzo Marino il 3 agosto 1922 in occasione dello sciopero e dell’occupazione fascista del palazzo. Il contesto del discorso è rievocato fra l’altro da Tom Antongini (in Vita segreta, ed. 1949, pp. 556-557). Si tratta di un discorso patriottico senza ambiguità, e meno antiparlamentare dei testi che lo precedono nel Libro ascetico, ma per il resto molto astratto, incentrato sulla mistica della nazione e sulla responsabilità dei presenti a rifare grande l’Italia. D’Annunzio vi ripercorre anche, a fini apologetici, i presupposti ideologici dell’impegno interventista del 1915.
Un altro testo lungo chiude questa sezione della raccolta. Si tratta del
Messaggio del convalescente agli uomini di pena, datato 20 settembre 1922 (una settimana appena dopo il “volo dell’arcangelo” avvenuto il 13 agosto). “Forse testamento politico di d’Annunzio” (Zanetti, in Prose di ricerca, p. 3224), esso consta della rielaborazione di un discorso tenuto al Vittoriale. Si tratta al contempo di una presa di posizione personale, in cui d’Annunzio inneggia alla propria libertà e alla propria indipendenza, ma anche di un testo denso di afflati religiosi – particolarmente il francescanesimo, ma anche concetti teologici ripresi da lui più volte, quale l’ingiunzione a non abbandonarsi alla tentazione della disperazione (dopo Caporetto, in questo caso). Ma il Messaggio è anche forse uno dei tasselli più importanti del Libro ascetico, se non altro per il fatto che esso dà senso e spiegazione all’insieme della raccolta, anticipandone le parti successive – evoca infatti le “tre preghiere” e i “sette documenti d’amore” che seguiranno. Sulla base del principio, qui di nuovo affermato, che “tutto nel mondo è indizio e annunzio”, d’Annunzio vi procede anche a un ripensamento e a una rilettura della propria opera, ricontestualizzando ampi brani autocitazionali da Elettra (Alla memoria di Narciso e di Pilade Bronzetti), dalla Gloria, qui interpretata profeticamente come monito all’Italia e prefigurazione delle vicende politiche successive del Paese, ma anche dalla Vita di Cola di Rienzo o dal Fuoco, e in particolare da diversi articoli e discorsi: Voci della riscossa. Alle reclute del ’99; Della mia legislatura; le Parole dette per commiato al popolo di Roma; L’Italia alla colonna e la vittoria col bavaglio; L’ala d’Italia è liberata; Italia e vita, tutti testi del 1919. Si tratta innegabilmente di un caposaldo del pensiero politico dannunziano. Alla luce della celebre ingiunzione: “Liberiamoci dall’Occidente che non ci ama e non ci vuole”, e che è diventato “una immensa banca giudea in servizio della spietata plutocrazia transatlantica” (giudizio già presente in L’ala d’Italia è liberata), l’oratore vi traccia le grandi linee del progetto per una lega delle “stirpi oppresse”, rivendicando l’istanza di “guardare ad Oriente”.

Preghiere

La ripresa nel Libro ascetico delle Tre preghiere dinanzi agli altari disfatti, “alzate nelle pause della battaglia dal combattente”, è preceduta da una virulenta prefazione, l’Offerta, dalla chiara reminiscenza notturna, datata 23 settembre 1922. Essa si caratterizza per gli aspri toni polemici e profetici di invettiva contro i profanatori di Roma. La prima, La preghiera di Doberdò, evocazione della “chiesa senza preghiere” del Carso dove si accatastano le reliquie militari dei soldati defunti, è scritta nel settembre del 1916. Si presenta in versetti rimati a due a due, di stampo biblico, come testamentaria – con l’insistenza sulla sesta stazione della via Crucis, quella in cui la Veronica terge il volto di Cristo – e francescana è tutta l’ispirazione del testo. L’episodio della visita alla chiesa di Doberdò è anche rievocato nella Lettera ai Dalmati, pubblicata su “La Gazzetta di Venezia” il 14 gennaio 1919 (ora in Gabriele d’Annunzio, Scritti giornalistici II, pp. 884-899, e ripresa nel Sudore di sangue, ora in Prose di ricerca, pp. 743-759), testo che presenta anche citazioni dal poemetto contenuto nel Libro ascetico. Fonte comune alla Preghiera e alla Lettera è un taccuino del 1916. Si noti tuttavia che nella Preghiera il “sacrifizio cruento” della Lettera e del taccuino diventa “sacrificio incruento”, con un’alternanza che si trova già quasi dieci anni prima nel Martyre de saint Sébastien a caratterizzare i diversi supplizi cui il martire viene sottoposto, e tematica su cui si chiuderà del resto il Libro ascetico. Il secondo testo di questa sezione, La preghiera di Sernaglia, datata ottobre 1918, è anch’esso scritto in versetti rimati a due a due. L’immaginario cristologico onnipresente qui è strumentale alla stigmatizzazione della “vittoria mutilata” (non a caso titolo della prima pubblicazione della Preghiera di Sernaglia), il Figlio di Dio è accanto a ogni soldato italiano, specie agli umili e agli ignoti, le cui sofferenze in guerra e la susseguente gloria sono paragonate alla Passione. Il tono perentorio è ulteriormente accresciuto dall’intertestualità veterotestamentaria e dalle anafore molto insistenti, atte a rinforzare la fissazione del messaggio politico della Preghiera: l’imperativo dell’espansione adriatica dell’Italia. Tanto le tematiche quanto lo stile della Preghiera sono assai prossime a quelle che saranno poi centrali nel Sudore di sangue. La terza preghiera, La preghiera di Aquileia, datata 1° novembre 1918, in prosa, è la ripresa dell’esortazione Ai vincitori, originariamente un messaggio aereo divulgato nel corso della battaglia di Vittorio Veneto. È una celebrazione della “dodicesima vittoria” italiana e dei caduti, incarnati in particolare dalla figura del commilitone Giovanni Randaccio. Al testo originario viene nondimeno aggiunta, nel Libro ascetico, la parodia del Pater noster tratta dal discorso Alle reclute del 1900, che qui non si presenta più in quanto explicit meditativo dell’esortazione ai giovani coscritti, ma viene posto in posizione quasi incipitaria a caratterizzare il tono oratorio della Preghiera di Aquileia.

“Sette documenti d’amore”

La sezione dei Sette documenti d’amore raccoglie dei testi scritti nel periodo 1919-1922. Il primo, Il Vittoriale. Meditazione del 16 agosto 1919 (ovvero datato alle soglie dell’avventura fiumana), consiste in una tipica rêverie dannunziana su un tema musicale (in questo caso un Offertorio di Palestrina), caratterizzata dall’altrettanto costante estetizzazione del rito cattolico mutuata dagli scritti di Mallarmé sulla messa, da un lato, e però impregnata di tematiche patriottiche proprie al Libro ascetico dall’altro – qui, l’insistenza sulla “dodicesima vittoria”. D’Annunzio profetizza la nascita prossima del “Vittoriale”, nuovo inno alla vittoria italiana “non mutilata” a opera di “concise voci maschie”, che non potrà essere cantato da “un collegio di scribi incontinenti” quali sono gli officianti della disfatta italiana. La parte più propriamente patriottica del testo presenta una serie di autocitazioni dal discorso L’Italia alla colonna e la vittoria col bavaglio del 24 maggio 1919 (poi incluso nel Sudore di sangue). Il secondo “documento d’amore”, Laude della povertà per il Natale fiumano del 1919, celebra le virtù francescane della povertà e della costanza in occasione del primo Natale fiumano.
La forte presa di posizione in favore dei lavoratori, inizialmente elaborata nella forma del discorso e del volantino
Questo basta e non basta. Ai lavoratori del 9 aprile 1920, occasionati da uno sciopero generale dei lavoratori a Fiume, costituisce il terzo “documento”, Difesa dei lavoratori assunta in Fiume d’Italia il 9 aprile 1920. Assieme al successivo, esso avrebbe dovuto trovare spazio nel progetto per Vallecchi, poi abortito, In nome del futuro (cfr. Simona Costa, p. LXX, e Zanetti, in Prose di ricerca, p. 3208). Segue il discorso pronunciato da d’Annunzio in occasione dell’insediamento del Tribunale supremo di Guerra e Marina a Fiume (Discorso ai Signori della Corte pronunziato in Fiume d’Italia il 6 giugno 1920), nel quale si insiste sulle virtù civiche e sulle antiche origini elleniche della giustizia, oltre che sull’importanza della clemenza in sede di giudizio. La Difesa ai lavoratori e il Discorso ai Signori della Corte sono in gran parte ripresi e ricontestualizzati l’anno successivo nell’articolo-lettera aperta “Vogliamo vivere”. Al Legionario Alceste De Ambris, pubblicato su “La Vigilia” il 14 marzo 1921, nel quale d’Annunzio esorta il suo ex Capo di Gabinetto a Fiume a candidarsi nel collegio elettorale di Parma. Il reimpiego in sede giornalistica accentua ulteriormente il carattere rivoluzionario specialmente della Difesa, connotando in tal senso più decisamente anche il Discorso.
Il testo successivo,
“Suso in Italia bella.” Meditazione nel trigesimo dell’esodo [18 febbraio 1921], inizialmente scritto in ringraziamento al Commendator Giovanni Battista Bianchi per il dono del parco del Serraglio al Vittoriale (ma in parte mutuato da taccuini del 1916 e del 1919), costituisce al contempo un elogio marcatamente virgiliano del Benàco e più in generale del mondo vegetale, e una celebrazione dell’italianità del lago di Garda. Nondimeno, la dimensione sacrale e l’insistenza sul tema del Palladio di Atena – simbolo dell’inviolabilità di Ilio, furato da Enea e portato in Italia – e la ricorrenza del recentissimo passato fiumano allargano la portata dello scritto e ne costituiscono probabilmente la cifra maggiore, all’insegna di una mesta meditazione elegiaca. I Frammenti di un colloquio avvenuto in un giardino del Garda il 10 giugno 1922 costituiscono la rielaborazione, nella forma di una “autointervista” (Zanetti, in Prose di ricerca, p. 3209), della conversazione con Renato Simoni pubblicata sul “Corriere della Sera” nel giugno del 1922. Come il titolo suggerisce, constano di diverse parti lascamente relate. D’Annunzio vi rievoca la visita al Vittoriale a fine maggio del 1922 da parte del commissario del popolo sovietico deputato agli Affari Esteri Georgij Vasil’evič Čičerin, ma vi si parla anche di Fiume, vengono rievocati episodi di guerra e figure di commilitoni, la situazione dell’Italia dell’epoca e la questione dell’impegno e della libertà dell’intellettuale; financo, nel paragrafo L’arengo in fiore, la figura di Cincinnato, eponima del bozzetto giovanile e soggetto della prima novella pubblicata da d’Annunzio, per intercessione di Ferdinando Martini – si tratta di Figurine abruzzesi – Cincinnato, “Il Fanfulla della Domenica”, 12 dicembre 1880, poi con il titolo Cincinnato nella raccolta Terra vergine, ora in Gabriele d’Annunzio, Tutte le novelle, pp. 17-23. Il principio dell’unità fra i vari momenti dell’intervista va probabilmente riconosciuto nel fatto che essi “marcano il trapasso dall’azione alla ritrovata scrittura” (Costa, p. LXIX). L’ultimo dei Sette documenti d’amore è costituito dalla ripresa del componimento del giugno del 1902, e inizialmente in Elettra, Canto di festa per Calendimaggio cantato nell’anno primo del nuovo secolo [1900], con sottotitolo aggiunto successivamente a marcare il valore inaugurale dei versi, tramite un’antidatazione altamente simbolica. Nel valore civile del Canto, più che nella componente di inno della modernità urbana, va probabilmente rintracciato il senso dell’inserzione nel Libro ascetico, e in questa parte del libro specialmente.

Commiato

L’ultima sezione del Libro ascetico è costituita da un Commiato del canto in sette movimenti, datato 27 settembre 1922. Il Commiato riunisce in sé le principali caratteristiche, tematiche quanto stilistiche, del Libro ascetico: la meditazione esistenziale a partire dalla convalescenza (e il ricordo della speculare convalescenza a seguito della ferita riportata all’occhio), la rievocazione di azioni di guerra e di commemorazioni belliche, la componente cruscante presente anche altrove nella raccolta, l’uso della tecnica dell’autocitazione, la glorificazione dell’Italia, delle sue bellezze e dei suoi figli, eroici pur nella sventura. Fa poi da collante fra i diversi movimenti del Commiato la rievocazione della figura della madre, specialmente presente nel primo, Prodigium canit, occasionato dalle celebrazioni del 4 novembre (1921) e dalla translazione delle ceneri del Milite Ignoto alla basilica di Aquileia. Il Prodigium contiene fitte rievocazioni virgiliane, autocitazioni dai Canti della guerra latina (Cantico per l’ottava della vittoria) e da Elettra (gli ultimi versi della Notte di Caprera chiudono il movimento). Seguono i paragrafi Agli uditori della parola, e “Passa. Cammina. Va.”, quest’ultimo dall’andamento di parabola e con una presenza particolarmente densa della figura materna; La ferita coronale, con una cursoria rievocazione della “beffa di Buccari” del 1918; I segnali dell’erba, in cui centrale è il ricordo della morte di Giovanni Randaccio; infine, Nostri monumenta doloris e Cantano i morti con la terra in bocca e le carene valicano i monti. Quest’ultimo movimento, “pagina altissima” della prosa bellica dannunziana (Giorgio Barberi Squarotti, 2017, p. 17), mescola alla rievocazione di una chose vue, l’ammutinamento dei soldati della brigata Catanzaro sul Carso nell’estate del 1917,  una meditazione di ampia portata sull’“ala d’Italia”, sull’inventività del popolo italiano e sul suo fondamentale eroismo – che prescinde in qualche modo dalle circostanze, come mostra il legame che d’Annunzio postula tra quest’ultima componente e l’occasione dell’ammutinamento.
Il
Commiato e il Libro ascetico si chiudono con la ripresa di alcuni motivi presenti altrove nell’opera, quali la copresenza, nello spirito italico, di un afflato al “sacrifizio sanguinoso della carne” e al “sacrifizio incruento dell’altare”, nonché di alcune figure iniziali, quali l’evocazione della decima musa (con riproposta dell’autocitazione da Elettra).

Stile e interpretazioni

Benché non si tratti di uno dei libri di d’Annunzio più studiati, né più spesso riediti e commentati, la ricezione del Libro ascetico ha in qualche sorta polarizzato elogi e disamori come poche altre opere dello scrittore. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che, nell’ambito della produzione dannunziana, il Libro ascetico – così come l’antecedente Per l’Italia degli Italiani – è uno dei libri più “schierati”, politicamente impegnati, in costante equilibrio fra ricerca stilistica e prese di posizione ideologiche. Anzi, benché la raccolta contenga esempi pregevoli di prose “notturne”, l’impegno risulta esserne l’aspetto preponderante. Una delle istanze presenti nell’opera che ha maggiormente polarizzato la ricezione critica del Libro ascetico è la componente antiparlamentare specie della prima parte della raccolta. Che tale antiparlamentarismo risieda, poi, in testi che originariamente sono stati prodotti in quanto discorsi elettorali o in altro contesto pubblico, contribuisce a fare della persona dannunziana quale emerge dal Libro ascetico un esempio di indefettibile sovversivismo. Tale aspetto doveva essere inviso, per ragioni diametralmente opposte, tanto ai fascisti – lettori-destinatari previsti dall’autore, oltre a legionari, nostalgici fiumani e più in generale “dannunziani” – quanto a coloro che vedono, allora come oggi, nelle origini del fascismo un afflato vitalistico-rivoluzionario non privo di analogie con determinate prese di posizione e un certo stile della retorica dannunziana. L’onnipresente afflato nazionalista – o meglio patriottico, come sottolinea a giusto titolo Renzo De Felice (p. 151) è, senza sorprese, un altro aspetto dell’opera che ha contribuito a polarizzarne la ricezione.
Fra i suoi detrattori, il
Libro ascetico è così noto come uno dei prodotti più pomposi del d’Annunzio “oratorio”. Maurizio Serra ne deplora la fastidiosa densità figurale (pp. 202-203), a suo parere tipica degli anni fiumani: ossimori (“l’orbo veggente”), metafore (“l’urna inesausta”, “il pugnale votivo”), ipallagi (“il sudore del sangue”, “la fiamma intelligente”), antitesi (“venturiero senza ventura”), paronomasie (“il segno è pegno”) – riprendo, traducendo, dall’originale francese, dato che in questo passaggio la traduzione italiana è incompleta –, abbondanza di latinismi e di interrogative retoriche a infiorare un’estetizzazione della parola pubblica che soffocherebbe le idee, o che ne sarebbe null’altro che il surrogato. All’estremo opposto, Giuseppe Papponetti definisce il Libro ascetico uno “straordinario libro di prosa memoriale ignobilmente trascurato da critici e successivi lettori” (p. 206).
Altri studiosi hanno messo in luce aspetti dell’opera tali da connotarne la natura di “testamento” politico dannunziano, di “rivisitazione in chiave identitaria delle vicende storiche italiane” (Stefano B. Galli, p. 92), dunque di “documento” più che di “monumento”. La meditazione sul vissuto dell’io nella Storia, vera chiave di lettura del
Libro ascetico, non può prescindere dalla doppia esperienza bellica – quella di un’“impresa gratuita e mortale” che innesca l’epos in d’Annunzio (Barberi Squarotti, 2017, p. 8) – e fiumana. All’epos bellico, tipico in particolare di opere quali i Canti della guerra latina, si affianca e progressivamente si sostituisce nondimeno, nel Libro ascetico, la pregnanza dell’immaginario biblico (p. 13), che funge da dispositivo di rilettura e di ripensamento dell’“orrore” – parola presentissima nella raccolta – in una chiave chiliastica particolarmente evidente ad esempio nelle Preghiere (ma già nella prefazione nuovamente aggiunta alla raccolta). Nondimeno si tratta anche, e soprattutto forse, di uno “storia dell’io”, di “un’autobiografia condotta non tramite uno sviluppo narrativo di fatti conseguenziali l’uno all’altro, ma concepita come ‘storia interiore’.” (Lisa Ciccone, p. CXII)
Laddove testi precedenti – specie i più antichi – sono rifusi nel
Libro ascetico con varianti, vi si assiste sistematicamente a un innalzamento stilistico in chiave classicista. Ad esempio nella Parola di Farsaglia, ripresa del Proemio del “Convito” di più di trent’anni prima, il “tonante e lampeggiante uragano” (Scritti giornalistici, II, p. 284) dell’arrivo dei barbari antichi diviene, nel Libro ascetico, “un turbine rapido crinito di fólgori” (Prose di ricerca, p. 420). La rielaborazione dei testi non si limita nondimeno al piano linguistico e stilistico, né l’unico scopo ne è l’innalzamento del tono. Si osservano infatti parimenti processi di rifunzionalizzazione, anche in funzione ideologica. Nella stessa Parola di Farsaglia si riscontra, ad esempio, l’inserimento di un richiamo allo “specchio ustorio”, assente nel testo del 1895, oppure, poco prima, l’invettiva nei confronti della nuova barbarie incipiente si fa anche più mordente di quanto non fosse nel “Convito”, tramite l’aggiunta del paragrafo relativo al “codice palatino” contenente La Leggenda di Vergogna (Prose di ricerca, p. 420).
Infine, la componente antiquaria non deve neppure essere trascurata, in quanto si tratta di molto più che un filtro di “falso antico” a colmare falle e vuoti ideologici, bensì di componente strettissimamente legata alla cifra patriottica, celebrativa o altrimenti encomiastica dannunziana, nella forma di una riflessione sui fasti del passato, che va dalle riprese virgiliane, al medievalismo, alla celebrazione dell’Italia rinascimentale e del suo “genio”.

Bibliografia essenziale

Edizioni, parziali e complete, apparse in vita

Essendo Il libro ascetico della giovane Italia una silloge composita, la maggior parte dei cui testi sono stati pubblicati precedentemente, e alcuni dei quali saranno ripresi e ripubblicati in seguito, si adotta qui un criterio tendenzialmente cronologico, facendo al contempo prevalere l’unità dei singoli testi che compongono il Libro ascetico nonché rispettando il più possibile l’ordine in cui essi sono presenti nella raccolta.
[Gabriele d’Annunzio],
Proemio, “Il Convito”, gennaio 1895, ora in Gabriele d’Annunzio, Scritti giornalistici 1889-1938, a cura di Annamaria Andreoli, Giorgio Zanetti, vol. II, Milano, Mondadori (“I Meridiani”), 2003, pp. 283-286. Con varianti, il testo è riproposto con il titolo La parola di Farsaglia in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, Milano, L’Olivetana, 1926.
Gabriele d’Annunzio,
Per un atto di fervore, “Il Giorno”, 14 maggio 1900, ora in Gabriele d’Annunzio, Scritti giornalistici, cit., pp. 492-497. Il testo è riproposto con il titolo Comandamenti della patria celestiali e terrestriali, nel culto dell’aspettazione in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit.
Gabriele d’Annunzio,
Agli elettori di Ortona, “La Tribuna”, 23 agosto 1897, ora in Gabriele d’Annunzio, Scritti giornalistici, cit., pp. 266-280. Il testo è riproposto, in versione abbreviata, e con il titolo Laude dell’illaudato, in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit.
Gabriele d’Annunzio,
Primavera di sangue, “The Morning Post” di Londra e “The New York Journal”, 26 maggio 1898; in versione abbreviata e in traduzione ora in Gabriele d’Annunzio, Scritti giornalistici, cit., pp. 467-469; testo in parte ripreso in Il discorso di Gabriele d’Annunzio, “Il Giorno”, 3 giugno 1900, ora in Gabriele d’Annunzio, Scritti giornalistici, cit., pp. 513-522. Il testo di Primavera di sangue è riproposto, con il titolo Il sasso contro l’eroe, in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit.
Gabriele d’Annunzio,
Esempio italico del genio vittorioso, esposto ai giovani d’Italia, “La Tribuna”, 28 febbraio 1901. Il testo è riproposto, con il medesimo titolo, in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit.
Giosue Carducci commemorato da Gabriele d’Annunzio
, “Il Corriere della Sera”, 25 marzo 1907, e anche in plaquette, Milano, Treves, 1907, ora in Gabriele d’Annunzio, Scritti giornalistici, cit., pp. 613-636. La parte finale del testo è riproposta, con il titolo Imagine dell’Italia, apparita presso il sepolcro d’un suo grande figlio, in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit. Il testo del 1907 è ripreso, con il titolo Orazione al popolo di Milano in morte di Giosue Carducci [XXIV Maggio MCMVII] e seguito dalla Canzone per la tomba di Giosue Carducci, in Gabriele d’Annunzio, L’allegoria dell’Autunno, Verona, Mondadori (“Edizione di tutte le opere di Gabriele d’Annunzio”, 45), 1934, ora in Prose di ricerca, a cura di Annamaria Andreoli, Giorgio Zanetti, 2 volumi, Milano Mondadori (“I Meridiani”), 2005, vol. II, pp. 2279-2302; 2303-2306.
Gabriele d’Annunzio,
Voci della riscossa. Alle reclute del ’99, “Il Corriere della Sera”, 25-26 dicembre 1917, ora in Scritti giornalistici, cit., pp. 709-717. Il testo è parzialmente ripreso, con il titolo Effigie dell’Italia, rialzata su la riva destra del suo fiume santo, in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit.
Gabriele d’Annunzio,
L’ala d’Italia è liberata, “Il Popolo d’Italia”, 6 agosto 1919. Il testo è ripreso, con il titolo Primavere sacre dell’Italia alata, e ripudio dell’Occidente (agli aviatori di Centocelle, 9 luglio 1919), nelle prime edizioni di Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit., per poi confluire in Gabriele d’Annunzio, Il sudore di sangue, Roma, L’Oleandro, 1931, ora in Prose di ricerca, cit., pp. 879-894. Testo pubblicato anche in plaquette con il titolo I fasti d’Icaro. L’ala d’Italia è liberata, Roma, La Fionda, 1919.
Gabriele d’Annunzio,
Per l’Italia degli Italiani, Milano, Bestetti e Vanzetti, 1922. Testo ripreso, con il titolo Agli uomini milanesi per l’Italia degli Italiani, in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit.
Gabriele d’Annunzio,
Pause del cannone – La chiesa di Doberdò, in Pro mutilati e ciechi di guerra, Venezia, Istituto veneto di arti grafiche, 1916. Testo incluso, con il titolo La preghiera di Doberdò, in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit. (Tre preghiere dinanzi agli altari disfatti, I), quindi ripreso in Canti della guerra latina, Verona, Mondadori (“Edizione di tutte le opere di Gabriele d’Annunzio”, 9), 1933, ora in Gabriele d’Annunzio, Versi d’amore e di gloria, sotto la direzione di Luciano Anceschi, a cura di Annamaria Andreoli, Niva Lorenzini, 2 volumi, Milano Mondadori (“I Meridiani”), 1984, vol. II, pp. 829-833.
Gabriele d’Annunzio, Vittoria nostra, non sarai mutilata, “Il Corriere della Sera”, 24 ottobre 1918. Testo ripreso, con il titolo La preghiera di Sernaglia, in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit. (Tre preghiere dinanzi agli altari disfatti, II). Confluisce poi in Canti della guerra latina, cit., ora in Gabriele d’Annunzio, Versi d’amore e di gloria, cit., vol. II, pp. 847-853.
Gabriele d’Annunzio, Ai vincitori, “La Gazzetta di Venezia”, 1 novembre 1918, ora in Gabriele d’Annunzio, Scritti giornalistici, cit., pp. 880-883. Testo ripreso in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit, con il titolo La preghiera di Aquileia (Tre preghiere dinanzi agli altari disfatti, III), econ l’aggiunta della parafrasi del Padre nostro (già in Voci della riscossa. Alle reclute del 1900, “Il Corriere della Sera”, 5 maggio 1918, ora in Gabriele d’Annunzio, Scritti giornalistici, cit., pp. 739-746).
Gabriele d’Annunzio,
Il Vittoriale, “La Gazzetta del Popolo”, 16 agosto 1919. Testo ripreso, con il titolo Il Vittoriale. Meditazione del 16 agosto 1919, in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit. (Sette documenti d’amore, I).
Gabriele d’Annunzio, Laude della povertà per il Natale fiumano del 1919, “La Vedetta d’Italia”, 25 dicembre 1919. Testo ripreso in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit. (Sette documenti d’amore, II).
Gabriele d’Annunzio, Questo basta e non basta. Ai lavoratori, “La Vedetta d’Italia”, 11 aprile 1920. Testo del discorso e del volantino del 9 aprile 1920, ripreso, con una variante e con il titolo Difesa dei lavoratori assunta in Fiume d’Italia il 9 aprile 1920, in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit. (Sette documenti d’amore, III). Inizialmente il testo doveva trovare collocazione nel volume In nome del futuro, previsto per Vallecchi; tuttavia il progetto abortì.
Gabriele d’Annunzio, In nome del futuro, “La Vedetta d’Italia”, 8 giugno 1920. Testo ripreso, con il titolo Discorso ai Signori della Corte pronunziato in Fiume d’Italia il 6 giugno 1920, in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit. (Sette documenti d’amore, IV). Come il testo precedente, il Discorso ai Signori della Corte doveva trovare posto nel volume In nome del futuro, cui avrebbe fornito il titolo.
Gabriele d’Annunzio,
“Vogliamo vivere”. Al Legionario Alceste De Ambris, “La Vigilia”, 14 marzo 1921, ora in Gabriele d’Annunzio, Scritti giornalistici, cit., pp. 1343-1350. Ripresa di gran parte dei testi Difesa dei lavoratori assunta in Fiume d’Italia il 9 aprile 1920 e Discorso ai Signori della Corte pronunziato in Fiume d’Italia il 6 giugno 1920.
Gabriele d’Annunzio, Il Palladio sul Garda, “L’Illustrazione italiana”, numero di Natale e Capodanno 1921, con incisioni. Testo ripreso, con il titolo “Suso in Italia bella.” Meditazione nel trigesimo dell’esodo (18 febbraio 1921), in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit. (Sette documenti d’amore, V).
Renato Simoni, A colloquio con d’Annunzio, “Il Corriere della Sera”, 15 giugno 1922, ora in Interviste a d’Annunzio (1895-1938), a cura di Gianni Oliva, Maria Paolucci, Lanciano, Carabba (“La biblioteca del particolare”, 1), 2002, pp. 439-453. Intervista riportata parzialmente anche in “Il Giornale d’Italia”, 16 giugno 1922. Testo ripreso, con varianti – specialmente l’espunzione degli interventi di Simoni – e con il titolo Frammenti di un colloquio avvenuto in un giardino del Garda il 10 giugno 1922, in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit. (Sette documenti d’amore, VI).
Gabriele d’Annunzio,
Canto di festa per Calendimaggio, “Il Secolo XX”, giugno 1902, poi in Gabriele d’Annunzio, Elettra, Milano, Treves, 1903, ora in Gabriele d’Annunzio, Versi d’amore e di gloria, cit., vol. II, pp. 402-406. Testo ripreso, con il titolo Canto di festa per Calendimaggio cantato nell’anno primo del nuovo secolo (1900), in Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, cit. (Sette documenti d’amore, VII).
Gabriele d’Annunzio,
Per l’Italia degli Italiani, Milano, Bottega di Poesia, 1923. Nucleo originario del Libro ascetico della giovane Italia, il volume contiene: Imagine dell’Italia, apparita presso il sepolcro d’un suo grande figlio; Effigie dell’Italia, rialzata su la riva destra del suo fiume santo (i due testi sono riuniti sotto il titolo Haec est Italia diis sacra); Agli uomini milanesi (successivamente intitolato Agli uomini milanesi per l’Italia degli Italiani), fatto precedere dal Comento meditato a un discorso improvviso; Messaggio del convalescente agli uomini di pena (datato 21 settembre 1922); le Tre preghiere dinanzi agli altari disfatti (La preghiera di Doberdò; La preghiera di Sernaglia; La preghiera di Aquileia), fatte precedere da un’Offerta; i Sette documenti d’amore (Il Vittoriale. Meditazione del 16 agosto 1919; Laude della povertà per il Natale fiumano del 1919; Difesa dei lavoratori assunta in Fiume d’Italia il 9 aprile 1920; Discorso ai Signori della Corte pronunziato in Fiume d’Italia il 6 giugno 1920; “Suso in Italia bella.” Meditazione nel trigesimo dell’esodo, 18 febbraio 1921; Frammenti di un colloquio avvenuto in un giardino del Garda il 10 giugno 1922; Canto di festa per Calendimaggio cantato nell’anno primo del nuovo secolo, 1900); Commiato del canto.
Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, Milano, L’Olivetana, 1926. Editio princeps. Rispetto a Per l’Italia degli Italiani vengono aggiunti all’inizio della raccolta alcuni testi: A nostra madre l’Italia. A nostra donna l’intelligenza, prefazione datata 5 maggio 1926; La parola di Farsaglia; Comandamenti della patria celestiali e terrestriali, nel culto dell’aspettazione; Laude dell’illaudato; Il sasso contro l’eroe; viene soppresso il titolo Haec est Italia diis sacra che raccoglieva i testi Imagine dell’Italia, apparita presso il sepolcro d’un suo grande figlio ed Effigie dell’Italia, rialzata su la riva destra del suo fiume santo; viene inoltre aggiunto il testo Primavere sacre dell’Italia alata, e ripudio dell’Occidente (agli aviatori di Centocelle), destinato a confluire in seguito nel Sudore di sangue, cit.; il testo Agli uomini milanesi appare con il nuovo titolo Agli uomini milanesi per l’Italia degli Italiani.
Gabriele d’Annunzio,
Il libro ascetico della giovane Italia, Verona, Mondadori (“Edizione di tutte le opere di Gabriele d’Annunzio”, 41), 1931.
Gabriele d’Annunzio, Il sudore di sangue, Roma, L’Oleandro, 1931.
Gabriele d’Annunzio, L’allegoria dell’Autunno, Verona, Mondadori (“Edizione di tutte le opere di Gabriele d’Annunzio”, 45), 1934, ora in Prose di ricerca, cit., pp. 2187-2369.

Edizioni postume, critiche e/o commentate

Gabriele d’Annunzio, Il libro ascetico della giovane Italia, in Prose di ricerca, di comando, di conquista, di tormento, d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni, a cura di Egidio Bianchetti, 3 volumi, Milano, Mondadori (“I Classici contemporanei italiani”), 1947, vol. I, pp. 443-796.
Gabriele d’Annunzio,
Il libro ascetico della giovane Italia, a cura di Giorgio Zanetti, in Prose di ricerca, a cura di Annamaria Andreoli, Giorgio Zanetti, 2 volumi, Milano Mondadori (“I Meridiani”), 2005, pp. 411-737, pp. 2795-2832 (“Appendici”) e pp. 3205-3239 (Note).
L’edizione Zanetti è basata su quella di Bianchetti del 1947. Le “Appendici” contengono testi non inclusi nelle edizioni originali ma che l’editore ritiene attinenti alla raccolta dannunziana. Il presente contributo si serve dell’edizione Zanetti per le citazioni.

Bibliografia secondaria

Tom Antongini, Vita segreta di Gabriele d’Annunzio [1938], Milano, Mondadori, 1949.
Giorgio Barberi Squarotti,
D’Annunzio scrittore “politico”, “Quaderni dannunziani”, nuova serie, 1-2, 1987, pp. 319-348.
Giorgio Barberi Squarotti,
Le immagini della guerra, “Nuovi quaderni del Vittoriale”, 3, 1996, pp. 195-217.
Giorgio Barberi Squarotti,
D’Annunzio: epica e orrore, “Rassegna dannunziana”, 33, 67-69, 2017, pp. 5-20.
Lisa Ciccone,
L’Abruzzo, “Rassegna dannunziana”, 32, 65-66, pp. XCVII-CXXVI.
Simona Costa,
D’Annunzio e la politica, “Rassegna dannunziana”, 32, 65-66, 2016, pp. LXV-LXXVIII.
Gabriele d’Annunzio,
Versi d’amore e di gloria, sotto la direzione di Luciano Anceschi, a cura di Annamaria Andreoli, Niva Lorenzini, 2 volumi, Milano Mondadori (“I Meridiani”), 1984.
Gabriele d’Annunzio,
Tutte le novelle, a cura di Annamaria Andreoli e Marina Di Marco, Milano, Mondadori (“I Meridiani”), 1992.
Gabriele d’Annunzio,
Scritti giornalistici 1889-1938, a cura di Annamaria Andreoli, Giorgio Zanetti, vol. II, Milano, Mondadori (“I Meridiani”), 2003.
Renzo De Felice,
D’Annunzio politico (1918-1938), Roma-Bari, Laterza, 1978.
Filippo Fonio,
Forme della preghiera nell’opera di Gabriele d’Annunzio, tra archeologia, francescanesimo decadente e patriottismo, “Testo”, nuova serie, 36, 70, 2015, pp. 79-94.
Stefano B. Galli,
Il sentire politico di Gabriele d’Annunzio per una “grande” Italia: patriottismo, nazionalismo, interventismo, in L’Italia e la “grande vigilia”. Gabriele d’Annunzio nella politica italiana prima del fascismo, a cura di Romain H. Rainero e Stefano B. Galli, Milano, Franco Angeli, 2007, pp. 67-97.
Pietro Gibellini,
Le parole dell’arcangelo caduto, in Un’idea di d’Annunzio, Lanciano, Carabba, 2023, pp. 339-360.
Mario Guabello,
Le cinque metamorfosi di un libro di Gabriele d’Annunzio, Biella, Libreria Mario Guabello, 1936.
Interviste a d’Annunzio (1895-1938)
, a cura di Gianni Oliva, Maria Paolucci, Lanciano, Carabba (“La biblioteca del particolare”, 1), 2002.
La carta del Carnaro nei testi di Alceste De Ambris e di Gabriele d’Annunzio
, a cura di Renzo De Felice, Bologna, Il Mulino, 1973.
Giuseppe Papponetti,
Memoria dannunziana dell’Abruzzo nella “prigione dorata”, “Archivio d’Annunzio”, 1, ottobre 2014, pp. 205-212.
Maurizio Serra,
L’imaginifico. Vita di Gabriele d’Annunzio, Venezia, Neri Pozza, 2019. Edizione originale D’Annunzio le magnifique, Paris, Grasset, 2018. Traduzione di Alberto Folin.
Siamo spiriti azzurri e stelle: Diario inedito (17-27 agosto 1922)
, a cura di Pietro Gibellini, Firenze, Giunti, 1995.

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