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Malipiero, Gian Francesco

di Chiara Bianchi, Enciclopedia dannunziana

Nella prima parte dell’Avvertimento del Libro Segreto, d’Annunzio nella persona del suo alter ego nominava, in un gioco di specchi tra parola e musica, il “diletto sopra tutti i trovatori di nuove musiche”, Gian Francesco Malipiero. Musicista ma anche musicologo, fu soprattutto, tra tutti i musicisti che circondarono d’Annunzio durante la sua vita, il più grande tra gli amici. Li accomunava un simile sentire poetico e musicale; questo omaggio nell’ultima delle opere dannunziane mostra la grande considerazione riguardo a questa amicizia. Eppure non era nata sotto i più rosei auspici. Testimoniata da un ampio carteggio che spazia dal 1910 al 1928, fu caratterizzata da particolarità che la resero unica nel panorama dei rapporti con i musicisti del Novecento. Tale carteggio costituisce la principale fonte documentaria, integrata tuttavia dai numerosi scritti di mano malipieriana che arricchiscono le nostre conoscenze.

Le collaborazioni

Ci si aspetterebbe, in ventotto anni di amicizia e conoscenza anche intima, che una gran mole di lavori avesse accomunato questi due artisti, per certi versi legati da un filo interiore comune: l’interesse per le nuove musiche; la ricerca antiquaria sulle musiche antiche, ma rivelatrici di un modo moderno di fare poesia (un Monteverdi libero di seguire la poesia senza tecnicismi e legami formali); l’attenzione musicologica da una parte, rivelatrice di nuove connessioni intellettuali dall’altra.
Invece, quando nel 1913 Malipiero cercava d’Annunzio, a Parigi, dopo aver musicato I sonetti delle fate (1909, per voce e pianoforte, editi da Carish nel 1914), e innamoratosi del Sogno d’un tramonto d’autunno tentava di avere il permesso del Poeta per musicarlo, d’Annunzio si negò. E anche negli anni successivi, tanto accomunò i due artisti, ma non la creazione se non sporadica di opere comuni.
I sonetti delle fate sono il frutto di una decisione presa da Malipiero in autonomia. Nulla ci resta a testimoniare se non un interesse di un giovane musicista verso un poeta così conosciuto, e foriero di nuove suggestioni e musicalità. Scrisse il musicista nei suoi Ricordi e pensieri, che cercando di avvicinare d’Annunzio a Venezia, nel 1910, lo attese invano presso il caffè Florian. Infine fu il pittore Marius De Maria a salire dal Poeta al Grand Hotel, e ad ottenere per Malipiero il permesso di musicare i Sonetti. In realtà essi erano già scritti, necessitavano solo del placet per la pubblicazione.
Subito successiva fu la vicenda del Sogno. Malipiero raccontò di essere restato impressionato dal testo dannunziano durante un viaggio a Venezia: in una villa sul Canale del Brenta la lettura del Sogno d’un tramonto d’Autunno lo suggestionò a tal punto da desiderare di musicarlo. A metà gennaio 1913 si recò a Parigi, in compagnia della moglie e del suocero Luigi Rosa. Intenzione era di chiedere a d’Annunzio il permesso, contattando il poeta attraverso un italiano che si occupava dei suoi affari in Francia. D’Annunzio si annunciò con un telegramma, ma a Parigi non arrivò e rifiutò per quattro mesi un incontro con Malipiero, anche ad Arcachon.
Non furono mesi spesi invano, Malipiero ebbe modo di stringere preziose amicizie, conoscenze e di assistere a opere capolavori del Novecento. Sulla rivista «Comoedia» uscì un’intervista che annunciava l’esecuzione a Parigi di
Pisanella. Era in realtà un’invenzione del giornalista: d’Annunzio non era ancora a Parigi; ci arrivò a giugno 1913, e finalmente accolse Malipiero ma con freddezza, senza affrontare l’argomento del Sogno.
Seguirono scambi epistolari in cui Malipiero insisteva, d’Annunzio sfuggiva: si chiamò in causa persino Debussy, fingendo un interesse per il
Sogno anche da parte sua, per sbloccare una situazione che pareva incredibile. Infine gli amici comuni suggerirono a Malipiero di cominciare a comporre, poiché secondo loro d’Annunzio non comprendeva perché a tanto entusiasmo non seguisse neppure una nota. Malipiero in breve tempo concluse la scrittura dell’opera.
Malipiero tornato a Venezia, nel novembre 1913 riscrisse a d’Annunzio ma il permesso di musicare il
Sogno non giunse mai. Soltanto tempo dopo, e non da d’Annunzio, seppe che il poeta aveva ceduto i diritti a tal R. Torre Alfina, pseudonimo del musicista dilettante e diplomatico Teofilo Rodolfo Cahen, che aveva il merito di aver risanato numerosi debiti. Rassegnatosi, Malipiero scrisse che relegava nel «vuoto cassetto delle mie opere postume» il Sogno. Il giorno in cui annunziava la sua decisione a d’Annunzio, l’amicizia ebbe modo di sgorgare spontanea, liberando entrambi da una situazione evidentemente imbarazzante. Questo episodio ebbe il merito di segnare l’inizio della lunga amicizia.
Dopo la morte di d’Annunzio, Malipiero riprese dal cassetto il
Sogno, che fu eseguito in RAI il 4 ottobre 1963, ma rimase comunque inedito. Altra esecuzione a Mantova, Teatro Sociale, il 3-5 ottobre 1988.
Terza e ultima opera su testo dannunziano,
Ditirambo terzo, nella raccolta Le stagioni italiche per voce di soprano e pianoforte (1923), edita da Ricordi nel 1924. Malipiero ebbe a scrivere, nel suo catalogo annotato, che Le stagioni italiche rappresentano un lungo viaggio attraverso la poesia italiana, alla ricerca dello spirito inconfondibile insito in essa. La scelta dei testi poetici riguarda tre liriche antiche (Brunetto Latini, un canto carnascialesco anonimo, Francesco da Lemene) che si ricollegano in una ideale unica Cantata all’ultima poesia, dannunziana, arcaicizzante come gli interessi comuni dei due artisti in quel periodo.

Le nuove musiche

Tornando al 1913: la lunga attesa per d’Annunzio nella speranza di ottenere il Sogno non fu senza frutti. A Parigi Malipiero approfondì la sua amicizia con Casella, e tramite lui entrò in contatto con un ambiente musicale europeo, fremente ed innovativo. Il 29 maggio fu alla rappresentazione del Sacre du Printemps di Strawinskji. Conobbe Ravel, Debussy. Infine, entrò in contatto con la musica di Schönberg, ascoltando in un concerto i Sechs Stücke da parte di un «intrepido pianista».
Nel 1921 d’Annunzio si trasferì al Vittoriale, e le frequentazioni con Malipiero divennero più frequenti. Nel 1923, con l’amico Casella, furono spesso ospiti del Poeta, con un fine: la fondazione di una associazione musicale il cui scopo era la valorizzazione delle musiche del Novecento, la
Corporazione delle nuove musiche. Casella raccontò che il Comandante, come lo chiamava, aveva subito aderito all’idea di una associazione che mirasse alla «migliore conoscenza e diffusione della musica contemporanea». A tal scopo, fu d’Annunzio a dare il nome e scegliere un bellissimo motto: Concentus Decimae Nuncius Musicae (CDNM). Preso dall’entusiasmo, ipotizzava un vasto coro per restituire alla luce le musiche antiche, creava idealmente un’orchestra, immaginava una diffusione della musica presso le masse riprendendo un’ideale già espresso nel 1920, al paragrafo LXV dello Statuto Fiumano. Disse di non preoccuparsi del finanziamento, avrebbe trovato il modo. Casella e Malipiero si dichiararono, in seguito e in privato, scettici sulle possibilità di realizzazione di tali sogni. Tuttavia per alcuni anni la CDNM operò come società dei concerti, e fu importante per la conoscenza e diffusione in Italia della musica contemporanea anche europea. Furono spesso eseguite musiche di Pizzetti, Malipiero, Casella, i maggiori musicisti italiani del periodo; ma si portarono in Italia anche le esecuzioni del Pierrot Lunaire di Schönberg, e Les noces di Strawinskji.

Le antiche musiche

Parallelamente all’interesse per il nuovo, come già detto d’Annunzio si mostrava desideroso di conoscere anche le musiche antiche del repertorio italiano. Le ricerche in tal senso, e con intenti e metodi musicologici, erano spesso ancora agli albori. Per Malipiero, pur fecondo compositore contemporaneo, l’interesse per lo studio del passato fu sempre fondamentale, tanto da segnalare come uno dei momenti più importanti della sua vita proprio l’incontro con Monteverdi.
Nel periodo della Prima Guerra, d’Annunzio a Venezia, fu più facile per Malipiero la sua frequentazione. Pur essendo un periodo non semplice, nel 1916 con un gruppo di amici (l’editore Umberto Notari, e poi Pizzetti, Respighi, Balilla Pratella, Toni, Casella, Marinuzzi, Benvenuti e altri) Malipiero iniziò a concretizzare il sogno di una raccolta delle composizioni dei maggiori musicisti italiani del passato. D’Annunzio ne rimase entusiasta.
Nacque la raccolta
i classici della musica italiana, edita da Notari a Milano tra il 1916 e il 1921. Tale raccolta in origine doveva essere più corposa, subì ridimensionamenti a causa del periodo storico. Notari scrisse che l’intento dell’opera era di ricondurre gli italiani alla consapevolezza e alla conoscenza dei capolavori del passato, «nel rifiorire della sensibilità nazionale». L’impresa doveva attuarsi anche con «l’ausilio di un nome che desse luce alle nostre ragioni e di una guida che tutti orientasse, come stella polare». Questa guida era d’Annunzio. Il poeta, dietro richiesta di Malipiero, scrisse il Preludio alla raccolta, in cui celebrò l’arte musicale italiana, paragonandola ai sentimenti eroici della guerra.
Malipiero era stato forse il primo, tra i compositori italiani del Novecento, a interessarsi di trascrizioni di musica antica, divenendo un ottimo musicologo. Dal 1902 si recava alla Biblioteca Marciana di Venezia, trascrivendo non solo il Monteverdi di cui diremo, ma molti autori, come Stradella, Tartini, Galuppi e molti altri. Con il musicologo Chilesotti aveva realizzato il basso continuo delle cantate di Bassani. Questo materiale avrebbe dovuto essere pubblicato in forma completa, ma Ricordi rifiutò. Notari se ne fece carico, ma le pesanti ripercussioni sull’economia della disfatta di Caporetto costrinsero a edizioni parziali delle opere.
Nel 1902, anno dichiarato come inizio delle sue scoperte musicali dell’antichità italiana, Malipiero, più per caso ed istinto che con particolari intenzioni, trascrisse alcune parti del melodramma di Monteverdi
L’Incoronazione di Poppea. Lo spinse il desiderio di riconoscere il passato italiano, e reagire contro quegli studiosi stranieri che interpretavano in modo erroneo la nostra musica. Seguirono anni di trascrizioni, studio, bozze e manoscritti. Infine, nacque l’edizione completa delle opere di Claudio Monteverdi.
Dopo aver pubblicato a Londra, presso la casa editrice Chester, l’
Orfeo, dietro il suggerimento di d’Annunzio Malipiero intraprese Tutte le opere di Claudio Monteverdi, che doveva comprendere infine sedici volumi. La prima edizione numerata fu possibile grazie a un intervento privato, della mecenate americana Elisabeth Sprague Coolidge. I primi volumi furono pubblicati ad Asolo nel 1926 e 1927. Alcuni madrigali dal Terzo libro furono trascritti per d’Annunzio ed eseguiti al Vittoriale, per quattro viole ed un violoncello. Dal terzo tomo in poi l’edizione uscì «all’insegna del Vittoriale degli Italiani» in onore e come omaggio al Poeta e alla sua sensibilità musicale.
L’omaggio di Malipiero fu molto apprezzato da d’Annunzio. Moltissime sono le lettere in cui i due amici si scambiano informazioni, consigli, relativi a Monteverdi, con un interesse del Poeta sempre vivo e competente. Nel messaggio al Principe di Piemonte pubblicato dal Corriere della Sera (12 gennaio 1930), egli parlò dell’edizione monteverdiana e della necessità di riscoprire quello che riteneva «uno dei quadrumviri della magnanima arte nostra, col Palestrina, con Dante, con Michelangelo».
In effetti c’era la necessità di rivelare la grandezza di Monteverdi, fino ad allora considerato musicista secondario, non di rado trascritto malamente, il cui spirito era stato spesso travisato. Malipiero testimoniò con il suo lavoro metodico e preciso quanto di vero ed innovativo c’era nel musicista cremonese, e la necessità di non limitarsi alle opere teatrali, comunque spesso riadattate senza il rispetto allo stile e ai tempi. Il repertorio dei madrigali, che stava venendo alla luce, era altrettanto importante ed espressivo, foriero di novità armoniche e contrappuntistiche, ricco di espressione drammatica pur non essendo messo in scena.
A partire dal 1927 d’Annunzio si fece sostenitore attivo della pubblicazione dell’Opera Omnia. Non si occupò di trovare un sostegno economico, che era
in primis il grande problema dell’edizione. Sostenne l’amico con il suo nome: era sicuramente più conosciuto e ammirato, aveva accesso ad ambienti politici, culturali ed editoriali preclusi al musicista. Arrivò anche una raccomandazione a Mussolini e da una nota del Ministero delle Corporazioni datato 11 giugno 1932 risulta che l’edizione beneficiò di un contributo dello stato.
La casa Ricordi, con la quale Malipiero non aveva mai avuto rapporti idilliaci, rifiutò la pubblicazione dell’opera. D’Annunzio tentò una mediazione, in una lettera del 14 maggio 1929 a Carlo Clausetti reggente di Casa Ricordi. Non ebbe una risposta se non vaga e inconcludente. Tuttavia, il nome del Poeta non fu messo in gioco vanamente. La prima edizione uscì in forma privata con sole 250 copie numerate. Poi, fu stampata dalla Universal di Vienna nel 1952, e infine edita a cura della Fondazione Cini nel 1966. Le prime copie dell’edizione sono conservate al Vittoriale.
Purtroppo d’Annunzio non fece in tempo a vedere l’opera finita. Malipiero aveva lavorato continuamente dal 1926 al 1932, fino al XIV Tomo, poi si era fermato. Le ultime parti uscirono nel 1941 e 1942, quindi molto dopo la morte del Poeta. Nel 1942 Malipiero si preoccupò comunque di far inviare anche gli ultimi volumi al Vittoriale.

I concerti per l’amico

Nel descrivere la storia della nascita dell’Opera Omnia di Monteverdi, Malipiero ricordava l’abitudine frequente di organizzare concerti privati al Vittoriale. In questo caso, vi furono portate trascrizioni di madrigali dei primi libri, con un organico di quattro viole e un violoncello (1927). I manoscritti di tali trascrizioni sono ancora oggi nella biblioteca del Vittoriale. L’allievo Domenico de’ Paoli se ne era occupato, aiutando il maestro nel lavoro di trascrizione. D’Annunzio nomina questi madrigali trascritti anche nell’Avvertimento del Libro Segreto, a testimonianza dell’importanza che aveva rivestito per lui tale esecuzione.
Ma già dal 1921 grazie a Malipiero e Casella era nata una formazione quartettistica che fu per un periodo spesso presente al Vittoriale. Il “Quartetto Veneziano” era composto da quattro neo-diplomati del Liceo Musicale di Venezia, Luigi Enrico Ferro, primo violino, Vittorio Fael, secondo violino, Oscar Crepas, viola, Edoardo de Guarnieri, violoncello. Negli anni 1923-1924 divennero molto conosciuti in Italia e all’estero, con numerosi concerti. Furono i primi ad eseguire opere di Malipiero come
Rispetti e strambotti e Stornelli e ballate. Grande loro estimatore fu anche Casella. Nel 1924 Malipiero li portò al Vittoriale a conoscere d’Annunzio. Suonarono frequentemente per lui: in occasione dello storico incontro con Mussolini nel maggio 1925 si deve a loro l’offerta di un momento musicale. D’Annunzio chiese loro di cambiare la denominazione, che divenne “Quartetto Veneziano del Vittoriale”, e con tale nome si presentarono a Fiume l’1 giugno 1925.
Il quartetto suonò per il Poeta fino al 1929. Suonarono opere di Malipiero, Casella, Debussy. Eseguirono i citati madrigali trascritti, e insieme ad altri composero una compagine di undici esecutori per eseguire i
Ricercari e i Ritrovari di Malipiero al Vittoriale. Dopo il 1929 il quartetto si sciolse.

La passione antiquaria

A partire dal 1924, Malipiero si trovò impegnato in una nuova passione di d’Annunzio, quella antiquaria. Il Poeta non era nuovo a tale passione, e neppure il musicista che spesso si dedicava alla raccolta di libri e oggetti del passato. Anche lui, come il Poeta, ricercò una dimora che fosse rispondente alla sua visione estetica e la trovò ad Asolo, e come d’Annunzio dedicò molto tempo a renderla adatta alla propria visione di vita.
Questo era un altro punto in comune fra i due amici, tuttavia Malipiero ebbe a sottolineare la diversità di convinzioni e la diversa realizzazione di quanto immaginato. A suo parere, d’Annunzio sul Vittoriale ebbe a riversare i suoi tormenti politici, e tutti gli abbondanti tendaggi, cuscini, poltrone «assorbivano la sua voce senza eco». Il Vittoriale secondo Malipiero diventava così la tomba di d’Annunzio.
Malipiero fu chiamato inizialmente alla scelta degli
harmonium. Ma fu poi incaricato di procurare molti altri oggetti, conoscendo vari antiquari, e nelle lettere ci sono elenchi dettagliati. Probabilmente spesso furono oggetti regalati dal musicista, ma sicuramente ricambiati generosamente. In ogni caso, fu da questo momento che i due passarono a darsi familiarmente del tu, infine tralasciando le antiche forme di rispetto.

Il periodo fascista

L’amicizia di d’Annunzio verso Malipiero ebbe modo di mostrarsi anche nei momenti più difficili della vita del musicista. Non di rado, infatti, e specialmente nel periodo seguente la Prima Guerra Mondiale, il musicista si trovò in difficoltà: anche se si deve ammettere, spesso con una visione più pessimista di quanto fosse necessario. Nel 1926 era stata costituita l’Accademia d’Italia e Malipiero cercò di esservi ammesso, poiché rappresentava un’opportunità di vita più tranquilla e di riconoscimento artistico. Non pare che il musicista aderisse alle idealità del partito fascista, e ciò è testimoniato dalle vicissitudini ad esempio dell’opera La favola del figlio cambiato (1932-33), su testo pirandelliano, che fu considerata critica verso il regime e per questo un grande insuccesso, nell’esecuzione romana. Tuttavia, dovendo vivere e lavorare in Italia, Malipiero spesso cercò di approfittare del regime per rendere più solida la sua posizione lavorativa. Nel 1929 d’Annunzio scrisse a Mussolini per raccomandare all’ammissione nell’Accademia sia Malipiero che Pizzetti. Tuttavia, furono scelti Giordano e Mascagni e d’Annunzio ebbe a lamentarsi dell’esclusione dei suoi protetti.
Malipiero restò deluso e amareggiato. D’Annunzio cercò di avvicinarlo a Mussolini e nel 1930 inviò con in mano una sua missiva il musicista dal Duce, che lo accolse cortesemente. Ma nulla successe di significativo nella carriera di Malipiero, che disperato per la sua situazione economica, ritentò un’udienza dal Duce, senza riuscirci nonostante un’ulteriore missiva del poeta. Malipiero aveva anche problemi con le case editrici: la Ricordi rifiutava ripetutamente le sue opere e le case editrici estere in quel momento non rispondevano. D’Annunzio già aveva tentato contatti per l’edizione monteverdiana, senza ottenere nulla. Nel 1931 Ricordi richiese a Malipiero i suoi
Concerti, già affidati alla Universal-Edition di Vienna, tolti quindi per l’occasione, ma poi non pubblicati in Italia. Il musicista dovette pubblicare a sue spese.
L’unica raccomandazione del Poeta che ebbe buon fine fu nel 1931, quando d’Annunzio mise una buona parola presso il veneziano Giovanni Giuriati, segretario del partito fascista in quel momento, e Malipiero ottenne un posto presso il Liceo Musicale di Venezia per l’insegnamento di composizione.

Addio alla Duse

Nel 1933 la figlia della famosa attrice Eleonora Duse, così amata da d’Annunzio, decise di disfarsi della casa materna ad Asolo. Il poeta chiese all’amico, che viveva ad Asolo, di cercare di salvare almeno i ricordi della loro storia d’amore. Alcuni libri e documenti della Duse erano ad Asolo rinchiusi di bauli, aperti nel 1924 quando la figlia Enrichetta decise di guardarne il contenuto. Trovò a quanto pare le lettere di d’Annunzio, che bruciò. Cercò poi un acquirente per i libri della madre, necessitando di soldi per il restauro di altra casa che voleva tenere per le vacanze della sua famiglia. Molti libri ed oggetti andarono al Museo Civico di Asolo. Malipiero, già interessato al patrimonio della Duse in favore di una raccolta fondi per il restauro del convento francescano della città, si fece intermediario tra Enrichetta e d’Annunzio. Furono richiesti 2500 lire per l’acquisto di materiali a scatola chiusa e d’Annunzio ne inviò 3000, forse sempre sperando di trovarvi i suoi ricordi. Malipiero in realtà era riuscito a selezionare dei volumi, scegliendo i più antichi e raffinati.
Secondo quanto testimonia Malipiero nelle sue memorie, Enrichetta distrusse lettere, costumi scenici, strappò le pagine delle riviste o libri che in margine recavano appunti della madre. D’Annunzio non credette subito alla distruzione delle lettere. Chiese che la figlia si recasse al Vittoriale. Enrichetta ci andò nel 1934, sperando a suo dire in una conversione del Poeta, lei fervente cattolica convertita; in realtà probabilmente voleva ottenere rassicurazioni sulla segretezza da mantenere riguardo alle lettere della Duse già al Vittoriale. L’incontro deluse entrambi: nessuna conversione, nessuna lettera.
Malipiero riuscì ad ottenere l’acquisto di un’ottantina di libri e alcuni oggetti, come si legge nelle lettere che i due amici si scambiarono. La vicenda lasciò in loro un senso di solitudine e di vuoto.

Missa pro mortuis

Dal 1934 Malipiero non rivide più d’Annunzio. Mantenne viva la sensazione di malinconica decadenza degli ultimi momenti insieme, la visione del crepuscolo della vita che ormai accompagnava il poeta. Le ultime lettere sono ormai lontane ombre di un’amicizia lontana. Il musicista iniziò la composizione della Missa pro mortuis, portandosi appresso un senso di tristezza, la premonizione di qualcosa che stava per sparire. Ebbe poi a dire che il giorno in cui la Messa poteva considerarsi finita, moriva Gabriele d’Annunzio.
La Messa fu pubblicata nel 1939 dalla Suvini Zerboni di Milano, e riporta la dedica «In memoriam Ariel Musici».
Malipiero scrisse infine di non aver voluto partecipare al funerale di d’Annunzio, che ormai da quattro anni non sentiva più vicino, quasi fosse già morto nel suo animo. D’Annunzio gli aveva inviato il
Libro Segreto dedicandolo alla «amicizia perpetuata oltre la morte». Malipiero gli dedicò la sua Messa, proprio mentre egli concludeva la sua vita terrena.

Bibliografia e sitografia

La fonte primaria riguardo alla vicenda dell’amicizia è Il carteggio tra Gabriele d’Annunzio e Gian Francesco Malipiero, a cura di Chiara Bianchi, Bergamo, Ferrari, 1997.

Fonte importante di scritti di mano del musicista è L’opera di Gian Francesco Malipiero. Saggi di scrittori italiani e stranieri con una introduzione di Guido Maria Gatti, seguiti dal catalogo delle opere e con annotazioni dell’autore e da ricordi e pensieri dello stesso, Treviso, Libreria Canova, 1952.

Si vedano, inoltre: 

Gabriele d’Annunzio, Il libro segreto, a cura di Pietro Gibellini, Rizzoli, Milano, 2010.
Virgilio Bernardoni,
Malipiero, Gian Francesco, nel Dizionario Biografico degli Italiani, 68, 2007 (https://www.treccani.it/enciclopedia/gian-francesco-malipiero_(Dizionario-Biografico)/).
Chiara Bianchi,
Monteverdi e Malipiero, storia di un’edizione, in «Rassegna Veneta di studi musicali», XV-XVI, 1999-2000, pp. 209-219.
Chiara Bianchi,
Il “Sogno” dannunziano di Gian Francesco Malipiero, in «Rassegna dannunziana», XVIII, 37, 2000, pp. 45-48.
Adriana Guarnieri Corazzol,
Malipiero e l’antico, in Musica e Letteratura in Italia tra Ottocento e Novecento, Milano, Sansoni, 2000, pp. 317-337.
Fiamma Nicolodi,
Musica e musicisti nel ventennio fascista, Fiesole, Discanto, 1981.
Maria Pia Pagani,
La diaspora di Asolo, in Goldoni al Vittoriale, Pescara, Ianieri, 2023, pp. 129-166.
Paola Sorge,
Musica e musicisti nell’opera di Gabriele d’Annunzio, Lanciano, Carabba, 2018, pp. 112-117.
John C.G. Waterhouse,
Malipiero, Torino, Nuova ERI, 1990.

Tra gli atti di convegni:

D’Annunzio la musica e le arti figurative, in «Quaderni del Vittoriale», 34-35, 1982.
D’Annunzio e la musica
, (Gardone Riviera-Milano, 22-23 ottobre 1988), Gardone Riviera/Milano, Il Vittoriale degli Italiani/Civiltà Musicale, 1989.
D’Annunzio musico immaginifico
, (Siena, 14-16 luglio 2005), Firenze, Olschki, 2008 (in particolare, Virgilio Bernardoni, Il Sogno dannunziano di Malipiero, pp. 301-318).
D’Annunzio e l’arte dei suoni. Ebbi nella musica la mia natività e la mia sorte
, (Pescara, 2-3 dicembre 2022), Pescara/Milano, Centro Nazionale di Studi dannunziani, 2024.

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