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Mondo tedesco

di Adriana Vignazia, Enciclopedia dannunziana

Nei complessi rapporti tra D’Annunzio e il mondo culturale di lingua tedesca due sono i versanti da considerare: la ricezione di autori tedeschi da parte di D’Annunzio e quella di D’Annunzio da parte di autori di lingua tedesca. Questo secondo aspetto va a sua volta suddiviso in una ricezione a lui contemporanea e in una più tarda iniziata negli anni ’60.

Ricezione di autori e opere tedesche da parte di D’Annunzio

Per ragioni di spazio in questo contributo mi limito a citare gli autori che più lo influenzarono e le cui teorie furono assimilate, rielaborate nei romanzi e nei drammi o diffuse tramite articoli su giornali e riviste. Un panorama più completo delle letture tedesche di D’Annunzio è offerto da Ivanos Ciani (Ciani 1985, pp. 31-43). Qui vorrei solo ricordare il Faust e le Elegie romane di Goethe da cui d’Annunzio prese il titolo per la sua omonima raccolta di poesie. Con Goethe si misurò ancora negli anni del Vittoriale, considerandolo ‘apollineo’ per la sua pacatezza e levità, e reputando l’Ifigenia inferiore alla sua Fedra, in quanto meno greca (Idem, pp.34-36). A Novalis è invece debitore dell’idea della poesia come «realtà assoluta. Quanto più una cosa è poetica, tanto più è reale», affermava D’Annunzio in una lettera del 1895 a Hérelle, a proposito delle Vergini delle rocce (Costa 2016, p. 129). Da Inni alla Notte e Canti spirituali dello stesso autore riprende il tema della malattia che influenza l’Alcyone, il Canto novo, il Notturno e il Libro segreto: in una favilla del 1907, Della malattia e dell’arte della musica, essa è considerata un «problema musicale» (Ciani 1985, pp.36-38). Da Friedrich Hebbel d’Annunzio accoglie una concezione della storia che anticipa il pensiero di Nietzsche, ossia di una «superiore potenza intellettiva, avvalentesi di individui eccezionali per distruggere e rinnovare sistemi di valore ormai superati», l’individuo che li infrange scomparirà con l’instaurarsi di un nuovo equilibrio (Idem, p.38).
Di fondamentale importanza per d’Annunzio fu invece l’incontro con il pensiero di Friedrich Nietzsche, avvenuto durante il periodo napoletano con la lettura dell’articolo Nietzsche-Zarathoustra di Jean Nèthy, apparso sulla «Revue Blanche» e rielaborato nell’articolo La bestia elettiva, pubblicato sul «Mattino» di Napoli (25-26 settembre 1892). L’articolo riprende la teoria dell’Übermensch [il superuomo], discendente da antiche famiglie aristocratiche la cui volontà di potenza lo colloca al di sopra delle nozioni del bene e del male, e della morale evangelica. La conoscenza del pensiero del filosofo verrà approfondita tramite la lettura dell’antologia di testi À travers l’oeuvre de F. Nietzsche. Extraits de tous ses ouvrages di Lauterbach e Wagnon, pubblicata a Parigi nel 1893 e assimilata per «naturale predisposizione psicologica… e in sintonia con quel generale clima europeo che faceva del filosofo uno degli interpreti più originali della crisi ideologica e morale di fine secolo» (Cimini 2016, p.191 e 198). La nuova Weltanschauung dannunziana affermava la vita e esaltava il mondo classico greco contro la morale del gregge e il socialismo. La traduzione di ‘Über’ con ‘Super’ invece di ‘Oltre’, come proponeva Gianni Vattimo, accentua nella teoria dell’élite l’idea del dominio su altri esseri umani, favorisce il mito della superiorità della razza latina e della storia romana e, politicamente, si concretizza nell’idea dell’Italia dominatrice dei mari, a sostegno di una politica nazionalista e colonialista. Nell’ode Per la morte di un distruttore, scritta nel 1900 e dedicata a Nietzsche, d’Annunzio si spinge oltre l’assimilazione della teoria del superuomo e della volontà di potenza collegandone la genesi al sole e allo splendore delle bellezze d’Italia, frequente meta dell’inquieto filosofo.
Nel salotto dell’amico Nicolò van Westerhout, sempre a Napoli, d’Annunzio imparò ad apprezzare la musica di Wagner superando le iniziali riserve (Paratore 1985, p.115) e lo difese nei tre articoli pubblicati sulla «Tribuna» del 23 luglio, 3 e 9 agosto 1893 dagli attacchi di Nietzsche espressi nel pamphlet Der Fall Wagner del 1888, recepito nella traduzione francese di Daniel Halévy e Robert Dreyfus del 1893. D’Annunzio vedeva in Wagner il creatore di miti identitari che affondavano le loro radici nell’anima collettiva, la sua musica era espressione dei sogni nati nelle profondità della malinconia moderna. Tale visione dell’arte, contrapposta a quella nicciana aristocratica e soggettiva, riflette una contraddizione nell’artista superuomo, elitario, ma grande comunicatore e ispiratore delle masse. A Wagner e a Theodor de Wyzewa, autore della teoria del romanzo wagneriano di arte totale, risale l’idea di una prosa plastica e sinfonica, ricca d’immagini e di musiche, tale da gareggiare con «la grande orchestra wagneriana», e l’affiorare del Leitmotiv, presente anche nelle liriche. I tratti della nuova forma di prosa sono esposti nell’articolo Il romanzo futuro del 1892 (Costa 2016, pp.114-116). I romanzi che più di altri riflettono l’assimilazione di Wagner e Nietzsche sono: Il trionfo della morte, Le vergini delle rocce e Il fuoco.
La ricezione della musica tedesca non si ferma a Wagner, nei testi dannunziani si trovano citati Beethoven, Schumann, Brahms e Bach, in prevalenza compositori di musica sinfonica e di Lieder allora preferiti nei salotti aristocratici (Chiesa 1985, pp. 75-98).
L’incontro con Eleonora Duse, ammiratrice di Wagner e del teatro di Bayreuth, che aveva già visitato nel 1891 (Biggi 2020, p. 76), favorì l’impegno di d’Annunzio nel rinnovamento del teatro italiano, sia con la redazione di testi che con la progettazione di un edificio adeguato. Il ‘Teatro di festa’ sui colli di Albano, ideato insieme alla Duse, era un teatro all’aperto, moderno e popolare, adatto alla rappresentazione di drammi con una componente sacrale e collettiva, accompagnati da musica e danze (Guarnieri Corazzol 2020, pp. 55-59). Il progetto non fu realizzato, ma venne più volte ripreso da d’Annunzio, determinato a costruire un’alternativa mediterranea a Wagner. A Parigi nel 1911, dopo l’incontro con Ida Rubinstein, realizzò ne Le Martyre de Saint Sébastien, considerato anche una possibile versione latina del Parsifal (Cresti 2020, p.83), l’idea del Gesamtkunstwerk wagneriano. La scelta di Villa Cargnacco sul lago di Garda, come dimora al rientro da Fiume, può essere vista come un ultimo atto di assimilazione del compositore tedesco da parte di d’Annunzio visto che il proprietario, lo storico dell’arte Henry Thode, era imparentato con la famiglia Wagner. La villa, confiscata dallo stato italiano ai Thode e trasformata nel Vittoriale degli italiani, suggella la ‘fratellanza’ tra i due artisti, moderni comunicatori, in cui però secondo Claas van Treeck (2020, p. 36) d’Annunzio completa l’idea del Gesamtkunstwerk mettendo in scena anche se stesso e la propria vita.
Tra gli studiosi dell’arte e della cultura è da ricordare Johann J. Winckelmann, le cui tesi sull’arte greca, mediate dalla lettura neoplatonica della cultura ottocentesca fautrice dell’idea di una bellezza astorica della cultura greca, sono rielaborate nei romanzi Il Piacere, Il Trionfo della morte e Le Vergini delle rocce. La figura di Winckelmann è ibridata con quella di Heinrich Schliemann nel personaggio di Leonardo, scopritore del tesoro degli Atridi, ne La Città morta (Marabini Moevs 1985, pp. 63-74). Accompagnava d’Annunzio nei suoi viaggi il Cicerone. Guida al godimento delle opere d’arte in Italia (1855) dello svizzero Jacob Burckhardt, autore de Die Kultur der Renaissance in Italien del 1860 e della Geschichte der Renaissance in Italien del 1878, due opere che rinnovarono il modo di intendere la storia e contribuirono alla diffusione della conoscenza e della moda del Rinascimento italiano in Europa. Simona Costa 1985, pp. 299-307 traccia le corrispondenze tra la lettura dannunziana del Cicerone e le annotazioni nei Taccuini, rielaborate in seguito in diverse opere.

La ricezione di D’Annunzio nel mondo tedesco: la mediazione di Stefan George e Hugo von Hofmannsthal

Per la diffusione delle opere di d’Annunzio in area culturale tedesca, spetta a Parigi il merito di essere stata il primo luogo d’incontro. Stefan George, poeta lirico simbolista tedesco, conobbe infatti le opere di d’Annunzio grazie alla frequentazione del circolo di Mallarmé, durante un suo lungo soggiorno nella capitale francese. In seguito, nel dicembre 1891, il suo nome è citato in un colloquio con Hugo con Hofmannsthal a Vienna dove George si era recato alla ricerca di sodali per il suo circolo poetico. (Ascarelli 2003, pp. 16-21, Hofmannsthal a W. Brecht, in George-Hofmannsthal 1953, p. 235). Hofmannsthal era membro dello Jung Wien, un gruppo artistico di recente costituzione che auspicava il superamento della poetica naturalista e la diffusione di una Nervenkunst, ricca di sensualità e di soggettivismo. Suo mentore era Hermann Bahr, direttore della rivista settimanale «Die Zeit», che nel suo diario, il 27 dicembre 1921, rivendica a sé il merito di aver segnalato d’Annunzio al mondo tedesco e di aver scoperto Hofmannsthal (Bahr 1925, p. 391). Tuttavia, nel 1893, sono Hofmannsthal e George a favorirne l’ingresso: nella primavera George pubblica la sua traduzione di due poesie di d’Annunzio –Ai lauri e Consolazione – sulla rivista «Blätter für die Kunst» e il 9 agosto Hofmannsthal lo presenta al grande pubblico tedesco in un brillante articolo sulla «Frankfurter Zeitung». Nel saggio recensisce  il Giovanni Episcopo, l’Innocente, le Elegie Romane, l’Isotteo, esprimendo ammirazione per la lingua, la poesia e l’atteggiamento analitico dei protagonisti, ma li critica anche per la distanza con cui guardavano la vita senza parteciparvi. Il conflitto tra azione e riflessione, tra «l’analisi della vita e la fuga dalla vita» (Hofmannsthal 1984, p. 54) è comune ai due autori, rappresentanti di una stretta élite di artisti sparsi per le metropoli europee, ma in Hofmannsthal è presente sia la consapevolezza dell’horror vacui che ne sprigiona (Agazzi 1999, p. 67) sia il desiderio di superare il conflitto. Dell’articolo esiste una versione italiana, molto libera, pubblicata nel dicembre 1893 sulla rivista napoletana «La tavola rotonda», in un numero speciale dedicato a d’Annunzio. Sorprendente è seguire gli adattamenti e le rettifiche apportate al testo originale concernenti citazioni, lunghezza dei versi citati, precisazioni al fine di rendere il profilo di d’Annunzio più consono all’immagine che il poeta aveva di sé negli anni ’90 (Ascarelli 1995, pp. 176-187). In d’Annunzio George apprezzava «l’abile artefice della forma, il rappresentante di una sicurezza formale intesa come paradigmatica dell’arte meridionale» (Mattenklott 1985, p. 246) e nel 1894 pubblicò ancora tre sue poesie: L’inganno, Un ricordo, Sogno. Nello stesso anno Hofmannsthal recensiva su «Die Zeit» Il Trionfo della morte e – pur lodando la sensibilità dell’autore eccitata da natura, parole, quadri, raffinati prodotti artistici, e la sua capacità di trasmettere nella poesia le vibrazioni percepite nella bellezza che lo circonda – sottolineava la mancanza d’esperienza vitale, di ‘rivelazione’ che avrebbe fatto di DdAnnunzio un grande artista. Sempre sulla stessa rivista, per sua iniziativa (Hofmannsthal 2013, p. 52, lettera a Bahr del 12 luglio 1894), venne pubblicato a puntate, dal 1 dicembre 1894 a fine gennaio 1895, il romanzo breve Giovanni Episcopo. La traduttrice è Adele Berger; il suo nome è conosciuto perché citato nella lettera di d’Annunzio a Bahr del 24 maggio 1894: “M.lle Adele Berger (Vienne, I-Zelinkagasse 10) a déjà traduit Episcopo…”. (Theatersammlung Wien). Nel 1896 Hofmannsthal recensì Le vergini delle rocce e nel protagonista, Claudio Cantelmo, vide annunciarsi una svolta tesa a superare il narcisismo dell’autore: la ricerca della vita vera, dell’azione, dei legami della vita, anche se il progetto di generare un figlio fallisce. In questa prospettiva valutò positivamente la scelta politica di d’Annunzio del 1897 e tradusse circa un terzo del Discorso della siepe, pubblicandolo su «Die Zeit» con titolo Die Rede Gabriele d’Annunzios. Il discorso suscitò critiche feroci come quella di Richard Dehmel, che vi vedeva una mistificazione dei fatti politici e sociali a favore dei «più ottusi interessi privati». (citato da Hinterhäuser 1968, p. 451). Nelle lettere a Bahr, però, Hofmannsthal si dice «toccato» dal discorso e dall’elezione, e Bahr lo rassicura affermando che «i tedeschi [Dehmel, era tedesco, N.d.A.] se la prendono sempre con i grandi coprendoli di ingiurie e di scherno» (Hofmannsthal-Bahr 2013, p.89). L’ideologia della bellezza sostenuta nel discorso e predicata ai contadini non era per Hofmannsthal un paradosso, ma un mirare a qualcosa di più elevato che non fosse la critica della meschina politica quotidiana. L’anno successivo tradusse il discorso di d’Annunzio per la morte dell’Imperatrice Sissi, smussando il testo originale per non offendere la sensibilità della corte; la traduzione, rifiutata da Bahr e da altre riviste austriache per timore della censura, fu pubblicata a Berlino da Maximilian Harden su «Die Zukunft» col titolo Kaiserin Elisabeth. La lettura delle opere dannunziane stimola la produzione letteraria di Hofmannsthal: se ne trovano tracce nel dramma lirico Gestern [Ieri], nella Weltanschaung di Andreas in Andreas und die Vereinigten [Andrea e i ricongiunti] che evoca quella di Andrea Sperelli (Ascarelli 1995, p. 170); Il sogno di un mattino di primavera (1897) è una delle fonti maggiori per il dramma lirico Die Frau im Fenster [La donna alla finestra], rimasto incompiuto (Hofmannsthal 2015, p. 915). Comune ai due poeti è qui il motivo dell’esplosione di violenti istinti da incastonare in versi o periodi preziosi. Hofmannsthal tradusse anche frammenti di opere dannunziane: la prima scena del IV atto de La Gioconda – la scena della Sirenetta – per esplicita richiesta di d’Annunzio, come afferma nella lettera del 9 giugno 1899 (?) a Bahr (Hofmannstahl – Bahr 2013, p. 148) e frammenti dal discorso L’Allegoria dell’autunno, un’apoteosi di Venezia in autunno (Hofmannsthal 2011, p. 421).
Tuttavia, nella lettera del 18 giugno 1902 a Stefan George, affiorano i dubbi e la delusione per la mancata svolta morale di d’Annunzio, motivo per cui Hofmannsthal tace sulle posteriori opere dannunziane. Solo nel 1912, a seguito della pubblicazione de La canzone dei Dardanelli, tornerà ad occuparsene formulando una radicale condanna dell’uomo e del poeta. Nell’articolo del 1 febbraio 1912, pubblicato su «Die Neue Freie Presse», Hofmannsthal, seguendo la corrente opinione secondo la quale l’Austria avrebbe svolto una funzione civilizzatrice nei territori italiani facenti parte della monarchia in quanto eredità dinastiche o frutto di dure battaglie, critica i versi pieni d’odio per la «missione storica» di un paese non più occupatore, ma alleato. E paragona il poeta ormai cinquantenne a un vecchio Casanova, «abbandonato dalla fortuna al gioco, … truccato da guerriero con la lira di Tirteo su una vestaglia malamente abbottonata» (Hofmannsthal 1984, p. 83 e 85).

D’Annunzio e gli autori di lingua tedesca a lui contemporanei

In Germania tra gli scrittori prevale nei confronti di d’Annunzio un atteggiamento critico, che coinvolge più l’uomo dell’artista. È il caso di Lady Charlotte Blennerhasset, scrittrice e storica, autrice della prima monografia critica su d’Annunzio (1901), in cui si discutono tutte le opere scritte fino ad allora, poesie, romanzi e drammi, condannando apertamente la morale dei protagonisti in quanto «esteti» senza senso dell’umorismo e «snob» (Blennerhasset 1901, p. 35). Critico è Heinrich Mann che, in aperta polemica con la società guglielmina e la rigida Lubecca, idealizza nel romanzo Die kleine Stadt [La piccola città] (1909) il paesaggio meridionale conosciuto attraverso i viaggi e le comunità italiane, creative, tolleranti e non inclini a sciovinismo. Della sua prima opera letteraria, la trilogia Die Göttinnen [Le dee] (1903), alcune parti vennero considerate di matrice dannunziana: i temi politici, le atmosfere di sensualità panica, il clima languido e morboso di Venezia, o personaggi come Jean Guignol, ritenuto una parodia del pescarese (Hinterhäuser 1968, p. 455; Gazzetti 1991, p. 168). L’autore rifiutò sempre questa attribuzione e studi più recenti riconducono il clima decadente e la passione rinascimentale presente nella trilogia a più fonti: a una più ampia ricezione della cultura francese in Europa, recepita sia da d’Annunzio che da Mann (Lea Ritter Santini in Cusatelli 1985, p.278); alla ricezione della cultura italiana in Germania, come per esempio l’esemplare romanzo di Madame de Stäel Corinne ou l’Italie (Agazzi 1998, pp. 65-79) e alla voga rinascimentale, detta da Mann ‘Renaissancismus’. Quasi a vendicarsi di tale attribuzione, Mann scrisse la sarcastica novella Pippo Spano (1905), il cui protagonista, Mario Malvolto, vive a Settignano, è un artista decadente e istrione, un grande seduttore che sogna di essere un uomo forte come il condottiero Pippo Spano e sa però di essere un letterato che non vive la vita, ma che trasforma le sue esperienze in arte. Il tema della morte, dell’omicidio-suicidio quale soluzione al dilemma dell’amore, è presente in forma di tragicommedia: Mario uccide la giovane amante e risparmia se stesso perché non prende sul serio né le proprie promesse, né quell’amore. La novella segna il distacco di Heinrich Mann dall’estetismo e il suo volgersi verso una letteratura etica. Più critico nei confronti dell’estetismo il fratello Thomas, che già nel dicembre 1901, in una lettera alla casa editrice S. Fischer, definiva d’Annunzio «un piccolo uomo, un pallone gonfiato con l’anima tragica», e il 15 gennaio 1902, in una lettera al giornalista Georg M. Richter che aveva recensito e lodato i Buddenbrooks confrontandoli con le Vergini delle rocce, lo chiama «un falso Dioniso» (Mann 1976, pp. 42-43). Nelle Betrachtungen eines Unpolitischen [Considerazioni di un impolitico], scritte tra il 1915 e il 1917, Thomas Mann, pur approvando la difesa armata dello stato tedesco, conservatore e antidemocratico, condanna l’esteta dedito alla politica che abusa della sua capacità di esaltare, «per mandare al massacro in un bagno di sangue milioni di uomini» ricoprendoli poi «con il broccato della sua prosa» (Mann 2009, p. 627)
Pochi i punti di contatto tra d’Annunzio e il praghese Rainer Maria Rilke che, pur partecipe della comune koiné culturale ed estetica del decadentismo europeo, giunge ad atteggiamenti e soluzioni poetiche opposte a quelle dannunziane. Che Rilke conoscesse d’Annunzio e le sue opere è fuori dubbio, frequentando gli stessi ambienti aristocratici italiani e francesi, tuttavia le citazioni concrete del poeta italiano sono molto rare. La prima si trova in una lettera del 1899 a Frieda von Bülow, in cui afferma di apprezzare Il sogno d’un tramonto d’autunno (Schoolfield 1989, p. 306), un’altra nella lettera del 12 maggio 1904 a Lou Andreas Salomè, in cui critica la bellezza troppo appariscente e superficiale dell’Italia e dei versi di d’Annunzio. Nell’estate del 1912 Rilke è a Venezia e frequentando la Duse più intensamente riprende per lei un vecchio progetto di dramma Die weisse Fürstin [La principessa bianca], in cui rielabora i due Sogni di d’Annunzio (Schoolfield 1989, pp. 314-316). In un momento di crisi, nel 1913, traduce parzialmente la poesia Consolazione, soffermandosi sul motivo della madre e della fanciullezza. Infine, nel 1914 lo conosce personalmente a Parigi, ad un pranzo insieme alla sua compagna di allora, Magda von Hattingberg, ma non prova simpatia per lui. Nel dopoguerra accoglie positivamente il Notturno, opera a lui più consona, e in una lettera del marzo 1922 alla principessa Maria von Turm und Taxis loda la poesia Essere un bel pino italico. Un esempio di appropriazione creativa di motivi dannunziani è la maschera mortuaria di Beethoven che si ritrova in Più che l’amore (1906) e in Malte (1910), ma mentre in Corrado Brando l’effigie dell’artista solitario scatena la sua aggressività portandolo al crimine, in Malte diventa stimolo per l’ascesi religiosa (Destro 1985, pp. 214-215).
Aperta critica all’uomo d’Annunzio si legge nel 1908 nel romanzo Die Liebe der Daria Lante. Ein römischer Roman [L’amore di Daria Lande. Un romanzo romano], del tedesco Richard Voss, che aveva conosciuto Eleonora Duse nel salotto della comune amica Helene Oppenheim (Voss 1920, p. 249). Ispirato dalla sua recente separazione da d’Annunzio, Voss trasforma le persone reali in personaggi, e prende le parti dell’attrice considerandola vittima di d’Annunzio (Kupka 1992, pp. 75-81).
Negli anni giovanili soggiacciono al fascino di d’Annunzio scrittori come Christian Morgenstern, che nel 1890 scrisse una piccola parodia teatrale per Max Reinhardt, Das Mittagsmahl Gabriele D’Annunzios [Il pranzo di Gabriele d’Annunzio]. Una caricatura allegra di d’Annunzio e di un piccolo gruppo di giovani amanti del piacere e del lusso, che dimostrerebbe piuttosto la stima dell’autore per il poeta (Hinterhäuser 1968, p. 457; Morgenstern 1976, pp. 131-142). Atmosfere dannunziane si ritrovano nei racconti giovanili di Alfred Döblin, mentre il protagonista degli Interieurs aus dem Leben der Zwanzigjährigen [Intérieurs dalla vita dei ventenni], scritto nel 1896 e pubblicato in parte nel 1901 dall’austriaco Richard Schaukal, mostra i tratti del dandy Andrea Sperelli.
Forte l’influsso di d’Annunzio sui suoi traduttori: su Rudolf von Binding, che grazie alla traduzione di una piccola opera dannunziana scoprì la sua vena poetica e artistica, e su Karl Gustav Vollmoeller, che si dedicò allo studio dell’archeologia dopo aver visto a Parigi La ville morte, si appassionò ai motori e agli aerei e dopo la traduzione del romanzo Forse che sì, forse che no, scrisse il dramma Wieland. Märchen in drei Akten [Wieland. Fiaba in tre atti].

 La ricezione del teatro dannunziano prima della guerra

Mentre i romanzi Lust [Il Piacere], Der Unschuldige [L’innocente] e Feuer [Il fuoco] avevano grande successo – e continuarono ad essere ristampati anche dopo la prima guerra mondiale – il teatro dannunziano suscitava reazioni ambivalenti, nonostante la grande popolarità goduta dalla Duse in Germania e in Austria. Una situazione esemplare è quella creatasi a Vienna nell’autunno 1899 con la rappresentazione de La Gioconda (Hinterhäuser 1968, pp. 447-448): lo spettatore medio la rifiutò come si rileva dalla recensione del cronista Lindner, pubblicata su «Bühne und Welt». L’avanguardia letteraria e Hermann Bahr la lodarono, sottolineando la funzione catartica della bellezza del linguaggio, della messinscena e delle intenzioni dei personaggi rispetto alla crudeltà della vicenda. Secondo Bahr, però, la tragedia più bella di d’Annunzio era la Francesca da Rimini, rappresentata a Vienna il 2 aprile 1902, e riassunta per chi non sapeva bene l’italiano in un esteso feuilleton nel «Neues Wiener Tagblatt» del 2 aprile di quell’anno,  e poi recensita il giorno successivo con grandi lodi per la recita della Duse (3 aprile 1902). Anche per questa tragedia non mancarono aspre critiche, come quella di Alfred Kerr a Berlino per la povertà dell’azione (Kerr 1998, pp. 132-136); e sempre a Berlino quella sarcastica di un altro critico anonimo, che loda la disciplina degli spettatori estenuati dalla lunghezza e dall’erudizione della tragedia, ma rimasti pur sempre seduti a guardare e soffrire (recensione apparsa su «Neue deutsche Rundschau», XIII (1902), pp. 555-556). Karl Gustav Vollmoeller, presente alla prima al teatro Costanzi di Roma, la trovò invece bella. Un altro tedesco, molto critico nei confronti del teatro dannunziano, fu Walter Benjamin, che nel 1912, nel suo diario di viaggio in Italia, dopo aver visto a Milano la Gloria, definì il dramma «di fenomenale bruttezza» (Benjamin 1985, p. 268). Bahr, però, nel suo entusiasmo per i tentativi di rinnovamento del teatro, nel 1900 schizzò a grandi linee un progetto per una “Scuola d’arte drammatica” a Darmstadt con annessi Festspiele. Oltre a comporre dettagliati programmi di materie d’insegnamento e di esami, Bahr prevedeva la collaborazione di Hofmannsthal come autore di testi moderni, il quale a sua volta si era impegnato a farvi collaborare anche d’Annunzio, a tradurne i drammi, e a farlo assistere all’ultima settimana di prove per averne consigli sulla messainscena (Hofmannsthal-Bahr 2013.2, pp. 833-846). Il progetto non venne realizzato.
Dalle fatture che la casa editrice S.Fischer mandava annualmente a D’Annunzio, e che coprono il periodo 1909-1931, si constata che i drammi di maggior successo – in lingua tedesca, per numero di rappresentazioni e vendite del libro – furono Die tote Stadt [La città morta] e Die Gioconda [La Gioconda].

La retorica antitedesca e lo scoppio della guerra

La stroncatura di Hofmannsthal e i discorsi bellicistici antiaustriaci e antitedeschi raffreddarono le relazioni culturali ed editoriali, la rottura avverrà con l’interventismo e la partecipazione attiva alla guerra a fianco dell’Intesa. La maggior parte degli autori viennesi dello Jung Wien o della Wiener Moderne, che avevano subìto il fascino delle opere dannunziane e avevano contribuito a diffonderne la conoscenza, reagirono violentemente alla sua entrata in guerra tacciando di vigliaccheria e tradimento lui insieme a tutti gli italiani, in seguito anche schernendolo. Alcuni riuscirono a tenere separati il poeta dal poeta-vate, ma per la maggior parte la partecipazione attiva alla politica era già considerata un fattore negativo, perché l’artista avrebbe dovuto dedicarsi all’arte pura. Stefan Zweig, che aveva recensito con disagio il dramma La Nave (1908), salva il poeta condannando il poeta-vate, ma il suo commento al Discorso di Quarto è iroso e pieno di pregiudizi contro gli italiani, come quello di Arthur Schnitzler (Larcati 2016, p. 199). Nel Bestiarium der modernen Literatur [Bestiario della letteratura moderna] di Franz Blei (1920), d’Annunzio diventa Pegaso per i suoi legami con i miti classici e per l’amicizia con il Duce, da cui secondo Blei sarà elevato a console, come il cavallo di Caligola. Alfred Polgar, che giustificava la partecipazione degli intellettuali a una guerra di difesa, nel 1915 accusò d’Annunzio di aver incassato mezzo milione dai francesi per manipolare il popolo con la sua retorica patriottica e lussureggiante nascondendo l’orrore della guerra. E lo paragona a un pifferaio magico che spande «uno sciroppo marzial-patriottico» sulla bocca dei sempliciotti che lo seguono (Polgar 1982, p. 6). Egon Friedell seguì la via del discredito e disconobbe agli italiani qualsiasi merito in scienza, storia o teatro, perché sarebbero solo truffatori e idioti, e d’Annunzio un aiuto-parrucchiere (Friedell 1915, pp. 58-60). Franz Karl Ginzkey confronta la vita del semplice soldato tirolese con le pose del poeta-vate che abbandona i soldati al loro destino (Larcati 2016, p. 204). Peter Altenberg ricorda l’impegno morale che uno scrittore deve assumere nei confronti del popolo immaturo: anche per lui chi si occupa di politica non è più un poeta ma «un infame vigliacco» (Altenberg 1916, p. 20). Karl Kraus, che nelle sue satire non aveva mai come bersaglio la persona concreta ma il tipo che questa incarnava, già nel febbraio 1912 dopo la stroncatura di Hofmannstahl a proposito della Canzone dei Dardanelli nella Fackel 343, aveva commentato sarcasticamente la rottura tra i due esteti inclini alla guerra. In seguito Kraus focalizzò la sua critica sul ruolo deleterio di giornali e scrittori, anche di esteti, nell’ esacerbare gli animi e privare gli uomini di fantasia, elemento fondamentale per evitare le guerre. La critica di Kraus fu condivisa da Polgar e Zweig.

Il dopoguerra e il nazionalsocialismo 

Nel dopoguerra l’interesse per d’Annunzio non cessò, anche se giornali e case editrici radiarono l’autore dai loro programmi: le opere già pubblicate in precedenza continuarono a essere ristampate, romanzi come Das Feuer [Il Fuoco] nel 1939 aveva la 38esima edizione, e il Notturno fu pubblicato a Vienna nel 1922, senza l’autorizzazione dell’autore. Il d’Annunzio fiumano, il poeta-vate, suscitò entusiasmo nelle avanguardie artistiche, soprattutto in quella dei dadaisti tedeschi, che reagirono all’occupazione di Fiume complimentandosi con lui (Salaris 2020, p. 213).
Con l’affermarsi del nazionalsocialismo molti autori emigrarono, o scelsero la via della ‘innere Emigration’ [emigrazione interiore]. Robert Musil, dopo la morte di d’Annunzio e l’invasione di Hitler in Austria (13 marzo 1938), sentì il bisogno di rileggere Il piacere e nel suo Diario, il 13 aprile di quell’anno, registrò con sorpresa di non capire il motivo della sua giovanile infatuazione dannunziana, attribuendola a un vago immoralismo e estetismo: all’effetto gradevole che nasce dal leggere descrizioni di «ambienti belli, piacevoli e dignitosi» (Musil 1976, p. 739). Tuttavia ne fa una critica precisa, lodando le descrizioni della natura e criticando la poca credibilità di alcuni personaggi, soprattutto di Andrea Sperelli e Maria Ferres. Critici successivi hanno attribuito l’origine della fascinazione alla furia dannunziana di nominare e catalogare gli oggetti di un mondo ormai in pericolo (Gazzetti 1991, pp. 170-172).
Rappresentanti ufficiali del nazionalsocialismo, quali Joseph Goebbels, giudicano invece d’Annunzio una personalità sgradita, «un pettegolo privo di tatto, vanitoso, un pallone gonfiato» (Reichard 2020, p. 137), nemico della Germania, anche se le critiche di d’Annunzio a Hitler, espresse in lettere private, non erano conosciute. Tuttavia alla sua morte, per rispetto dell’alleato, pubblicarono un telegramma di condoglianze a Mussolini, ordinando alla stampa di ricordarlo brevemente senza entrare nel merito delle polemiche. Nel luglio del 1941 la burocrazia ministeriale per l’amministrazione dei teatri stabilì che le opere di d’Annunzio non erano adatte alla scena tedesca, perché non conformi al programma del regime per i teatri. Per il nazionalsocialismo d’Annunzio era «come uomo sgradevolmente vanitoso per la mentalità tedesca, come artista manierato e innaturale, propagatore di un vuoto estetismo», nelle sue opere regnerebbe un’atmosfera decadente, pervasa da un forte erotismo e pensieri suicidi, che per lui però erano soltanto una posa. Al contrario si loda il suo linguaggio e l’influsso esercitato sugli scrittori italiani del suo tempo. Tradurre o diffondere ulteriormente le sue opere, non era considerato necessario, bastava riconoscere il suo impegno per Fiume. Per aver dato seguito con azioni alle parole, d’Annunzio corrispondeva a un tipo umano ammirato nel periodo nazista ed era diventato «un genio dell’azione» (Idem, pp. 142-144), che si distingueva più per il suo coraggio di soldato che per la riuscita delle sue imprese militari.
Tra gli scrittori tedeschi in esilio si cercò invece di giudicare d’Annunzio come artista, valutando la sua opera poetica, ma alla fine prevalse l’immagine del poeta-soldato, precursore del fascismo: Franz Werfel nel necrologio per la morte di d’Annunzio loda il poeta e ne deplora l’impegno politico; Stefan Zweig gli riconosce il merito di aver affermato la modernità condannando la sua alleanza con Mussolini (Larcati 2016, pp. 209-211). Opposta la valutazione di Bertolt Brecht, che non sopportava di sentir nominare d’Annunzio con disprezzo e nell’Arbeitsjournal [Diario di lavoro] del 1942-45 scrisse un apprezzamento per la conquista di Fiume, la Carta del Carnaro che rispettava i diritti dei lavoratori del mare, per la conquista di un’attrice come Eleonora Duse e per la proprietà sul lago di Garda, ma soprattutto per la scrittura di poesie indimenticabili come la Pioggia nel pineto, da lui tradotta negli anni ’30. Nondimeno Brecht riconosce in lui anche un tratto di ciarlataneria (Brecht 1973, p. 495). Qualche anno prima, nel romanzo Die Geschäfte des Herrn Julius Cäsar [Gli affari del signor Giulio Cesare] del 1939, aveva rimproverato al protagonista, il grande poeta Vastius Alder, che porta tratti dannunziani, la mancanza di azione e il vivere isolato in una casa piena di oggetti collezionati e la prua di una nave nel giardino dopo essersi distinto per l’impegno militare. (Gazzetti 1991, p. 173).

La ricezione di D’Annunzio dopo gli anni ‘60
La produzione letteraria

Nella produzione letteraria posteriore alla seconda guerra mondiale d’Annunzio è diventato un personaggio e compare in almeno sei opere di autori moderni, composte tra il 1976 e il 1986. Titus Heydenreich vede nell’apertura del Vittoriale al pubblico nel 1975 il motivo per la redazione di queste opere ambientate al Vittoriale. In molte prevale un interesse politico per l’uomo d’Annunzio e per le sue azioni di guerra, frequente è la delegittimazione parodistica del personaggio.
E’ il caso della novella Dem Dichter – sein Vaterland [Al poeta la sua patria] compresa nella raccolta Die Faschisten, [I fascisti], pubblicata nel 1976. L’autore Klaus Stiller ricostruisce un ambiguo episodio della biografia dannunziana, il «volo dell’arcangelo» del 13 agosto 1922, parodiando con materiali linguistici autentici la vita al Vittoriale, l’attesa di un richiamo da Roma per avere l’incarico di governo e il rapporto conflittuale con Mussolini. Nella raccolta compaiono le figure storiche di d’Annunzio, Badoglio, Mussolini e Ettore Tolomei, bersaglio della critica è il consenso degli italiani nei confronti dell’ideologia fascista. (Cusatelli 1989, p. 622).
Il dramma musicale di Elfride Jelinek, Clara S.(chumann) del 1981, è una critica nella prospettiva femminista. La Jelinek accosta qui persone reali di tempi diversi per mostrare la continuità della violenza sociale subìta dalle donne, private del diritto di esprimersi e vivere la propria vita. Il Comandante è al centro del suo harem, le donne che lo circondano sono trasformate in personaggi grotteschi; lui stesso è ridotto al ruolo di seduttore ormai invecchiato che non capisce e rifiuta la richiesta di aiuto economico di Clara; la musica da lui preferita sarebbe il rombo dei motori. Una condanna quindi di d’Annunzio in quanto esempio di macho che unisce in sé il potere economico, sessuale e artistico, e il successo politico.
Tankred Dorst raccoglie ne Der verbotene Garten. Fragmente über D’Annunzio [Il giardino proibito. Frammenti su D’Annunzio], del 1983, una serie di 30 microtesti di varia lunghezza e tipologia, in cui si succedono figure storiche e «manichini» (Cusatelli 1988, p. 624) sullo sfondo del giardino del Vittoriale e di un mondo in sfacelo. Nel prologo compare il poeta, seduto al tavolino, ossessionato dal pensiero della morte e dai ricordi, e rievoca fasi della sua vita, rappresentate in parte dai manichini: la Divina, la Contessa, il contadino, un giovane uomo, il Duce ecc. Il tema generale è il rapporto tra Arte e Vita, e quindi anche l’impegno militare; con ironia si rievoca la sua mancanza del senso della misura sia nella vita pubblica che in quella privata, la competizione politica con Mussolini, la relazione con la Duse che qui si ribella alla ‘missione’ dannunziana dimenticando i testi da recitare. L’opera diventò nel 1984 una trasmissione radiofonica; solo nel 1987 fu messa in scena a Sankt Gallen, e nel 1988 ebbe molto successo a Berlino e Amburgo. Il regista e drammaturgo americano Robert Wilson, conosciuto per lo stile austero e la tendenza all’analisi e alla dilatazione nello spazio e nel tempo delle sensazioni, collaborò con Dorst alla messa in scena del Giardino proibito, e nel 1988 rappresentò all’Opéra di Parigi una riduzione del Martyre de Saint Sébastien, con musica di Debussy (Gazzetti 1991, pp. 176-178). Wilson si riallaccia alla tradizione del Gesamtkunstwerk, tornata in auge in Germania, Austria e Svizzera grazie alla mostra Der Hang zum Gesamtkunstwerk , ideata da Harald Szeemann del 1983. Nel suo catalogo accanto a brevi brani dalle opere di d’Annunzio, anche da quelle scritto dopo la guerra, si vedono riproduzioni del Vittoriale.
Un’autobiografia fittizia e farsesca è il testo di Hermann Peter Piwitt Der Granatapfel [La melagrana], del 1986, in cui il protagonista d’Annunzio, chiamato qui Taumaturga, rievoca in prima persona, in ordine non sempre cronologico diverse fasi della propria vita, persone reali e inventate, molti con nomi storpiati: Pellicani sono i Cicognini, il principe di Montenevoso diventa il duca di Roccanevoso, ecc.. Il tempo narrato si estende fino al crollo della Repubblica di Salò e di Mussolini nel 1945: vi compaiono i partigiani ad assediare Taumaturga nel Vittoriale e nel dialogo con uno di loro cade la domanda di come abbiano potuto credere a tutte le sue fandonie. Un tema quello della verità e della menzogna, della rimozione della realtà e del sogno, che si presenta spesso nella vita e nell’opera di d’Annunzio e nel racconto autobiografico di Taumaturga, protagonista del romanzo di Piwitt.
Nel dramma Die Göttlichen [I divini], del 1981, lo svizzero Herbert Maier utilizza materiale storico autentico e brani da romanzi quali Il trionfo della morte, Il fuoco e dalla La città morta, per caratterizzare il rapporto dei tre personaggi principali: la Duse, d’Annunzio e Sarah Bernard. Luoghi d’incontro sono Venezia, Parigi e New Jersey; la Duse crede nell’ideale utopico dell’amore e dell’arte, Sarah Bernard non si illude, teme la concorrenza della Duse, ma è solidale con lei e vuole metterla in guardia nei confronti di D’Annunzio, che non ricambia il suo assoluto amore e dedizione. I tre personaggi si ritroveranno, invecchiati, per la prima e ultima volta tutti e tre insieme, sulla spiaggia di Nettuno dove d’Annunzio detta pagine del Notturno. Focus del dramma è il rapporto fra i due sessi e la dipendenza psicologica delle due attrici da d’Annunzio, che abusa del loro talento artistico (Stauder 2008, p. 227). Il dramma fu rappresentato nel 1988 a Los Angeles.
Nel dramma radiofonico Luftmeeting zu Brescia [Il meeting aereo di Brescia] del 1986 l’autore, lo svizzero Lukas Suter, collega due luoghi: il Vittoriale da cui si leva la voce di un anziano poeta che rievoca la caducità della sua vita avventurosa e della sua opera poetica, e l’aerodromo di Montichiari, dove il 9 settembre 1909, provò l’ebbrezza del volo. Nel dramma vengono rielaborati materiali dal Forse che sì, forse che no e da Solus ad solam, per cui tra i suoi personaggi compare una coppia che litiga a causa del poeta: la contessa, Amaranta, e il marito geloso. Alla manifestazione aerea assistettero anche Franz Kafka e i fratelli Otto e Max Brod. Non ci fu contatto con d’Annunzio, Kafka descrisse la manifestazione nel suo articolo Die Aeroplane in Brescia del 1909 che ispirò Suter alla scrittura del dramma in cui la figura di d’Annunzio è presentata nella prospettiva dei diversi personaggi.

L’accademia

Parallelamente al lento risvegliarsi dell’interesse per d’Annunzio nella letteratura italiana, si registra una rinnovata attenzione per il poeta pescarese anche in Germania e in Austria. Nel convegno del 1963 Hans Hinterhäuser constatava la scarsa presenza di studi dannunziani, ma dagli anni ‘80 cominciano ad esserci più pubblicazioni e tesi di laurea (Katharina Maier-Troxler 1985, pp.267-275). La rivista «Italienisch» dell’università di Vienna nel 1988 pubblica il saggio di Pietro Gibellini Il ritorno di D’Annunzio nella letteratura italiana, e nel 1989 esce la sua biografia nella collana Rowohlt-Biographie, indirizzata al grande pubblico; l’autrice è Maria Gazzetti. Nel 1992 esce la tesi di dottorato di Anne Kupka sulla ricezione di d’Annunzio negli scrittori di lingua tedesca; altri studi trattano un aspetto particolare della ricezione: temi femministi quali L’immagine delle donne in D’Annunzio (Daniela Vorbeck, 1987), la storia delle traduzioni tedesche (Adriana Vignazia, 1995), temi politici (Bettina Vogel-Walter, D’Annunzio – Abenteurer und charismatischer Führer, 2004) o i suoi rapporti con Wagner (convegno di Villa Vigoni su arte e potere del 2020).
Le traduzioni storiche, in parte introvabili, sono ripubblicate e alcune anche riviste; nuova è invece la traduzione de Il compagno dagli occhi senza cigli. 

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