Terra vergine
di Luciana Pasquini, Enciclopedia dannunziana
Genesi, elaborazione, vicenda editoriale
Terra vergine è la prima prova narrativa di D’Annunzio, pubblicata presso l’editore romano Sommaruga il 27 aprile del 1882, nello stesso anno in cui usciva Canto novo, la seconda raccolta poetica dopo Primo vere (1879). Nelle aspirazioni dell’autore i due libri avrebbero dovuto comparire presso un grande editore, come lo Zanichelli di Bologna o presso il Treves di Milano, ma il sogno del giovane e ambizioso D’Annunzio per il momento non si realizzò. L’opera però finì ugualmente in buone mani e fu diffusa e sostenuta dall’intraprendenza del più scaltro editore della Roma umbertina, attento alle giovani leve. Terra vergine comprendeva nove racconti o «figurine», che avrebbero dovuto essere illustrate da Francesco Paolo Michetti ed erano state già anticipate sulle principali testate romane, con il seguente ordine cronologico: Cincinnato, in «Fanfulla della domenica», 12 dicembre 1880; Toto, ivi, 6 febbraio 1881; Fra’ Lucerta, ivi, 8 maggio 1881; Dalfino, in «Preludio» (Ancona), 16 maggio 1881; La Gatta, in «Fanfulla della domenica, 18 dicembre 1881; Campane, ivi, 19 marzo 1882; Terra vergine, in «La Domenica letteraria», 16 aprile 1882; erano inediti i bozzetti Fiore fiurelle e Lazzaro. L’uscita prevista del libro era il 20 aprile, come lo stesso D’Annunzio scriveva a Elda Zucconi il 1° aprile 1882:
Sai?, te l’ho detto? Il 20 di Aprile oltre il Canto novo, dedicato a… non mi rammento a chi, uscirà la Terra vergine, volume di novelle dedicato a Nannina sorella mia. Libri dedicati ad angeli devono aver fortuna per necessità; no?
A distanza di due anni fu approntata una seconda edizione con l’aggiunta di due testi, Bestiame ed Ecloga fluviale.
La novella Terra vergine, pur essendo l’ultima in ordine di stampa, fu scelta come apertura dell’intera raccolta in quanto evocava una terra lontana e sconosciuta, consona alla poetica del libro. Il titolo dell’opera, del resto, è in stretta connessione con la dedica, al di là delle prime intenzioni, di Terra vergine a Giovanni Chiarini, un geografo ed esploratore abruzzese, morto in terra africana. L’idea del giovane D’Annunzio era di volersi paragonare al suo conterraneo in quanto esploratore di un Abruzzo sconosciuto, selvaggio, terra vergine, come l’Africa di Chiarini. È stato scritto non a caso:
Se il Chiarini era partito dalla terra natìa per restituire l’immagine di civiltà primitive, D’Annunzio dal canto suo si sentiva investito della missione di illustrare a suo modo gli usi e i costumi di un popolo per molti aspetti ignoto alla società italiana postunitaria (Oliva 1994).
Contenuto e struttura
Era nell’aria la tendenza degli scrittori del tempo di restituire un’immagine della nazione da poco unita politicamente ma variegata nelle sue abitudini socio-antropologiche. L’obiettivo, come dichiarato dalla «Rassegna settimanale» di Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, era quello di far conoscere la provincia italiana, quell’Italia interna dai caratteri non uniformi, dal volto remoto di gente diversa. L’Abruzzo in particolare, nella «grande conversazione» dell’Italia del tempo auspicata da Croce, era stato per tradizione condannato, almeno apparentemente, a un isolamento quasi leggendario, esotico. Da Boccaccio in poi, fino ai viaggiatori romantici inglesi, si era insistito su talune credenze popolari, sulla presenza inquietante di briganti, sul mistero di una natura selvaggia, aspra e sconosciuta. A questa visione deformata del territorio abruzzese avevano contribuito anche gli scrittori regionali, da Pasquale De Virgiliis a Raffele D’Ortenzio, fino a Ignazio Cerasoli delle Novelle abruzzesi (1880), narratore di orribili misfatti compiuti in castelli medievali. Insomma, una società selvaggia non molto diversa da quella frequentata da Giovanni Chiarini. Del resto, anche gli esordi di un più accreditato e robusto narratore come Domenico Ciampoli non erano stati molto diversi, soprattutto nei racconti storici, prima che entrasse in sintonia con Verga di cui si proclamerà seguace nei racconti di Trecce nere (1882). In questo clima si spiega la proposta di D’Annunzio di una terra trasfigurata dalla fantasia, magari immaginata come popolata di bestie feroci, immersa in una vegetazione esotica e impenetrabile, ove sorgevano villaggi e capanne come quella «di bambusa», ove era sepolto l’antropologo teatino. Sotto il titolo La capanna di bambusa, sono ora raccolti saggi che costituiscono un esame analitico dei singoli racconti di Terra vergine tenendo conto degli aspetti filologici della silloge, dalla storia a stampa di ogni singola novella alla data di composizione, alle varianti tra le edizioni 1882-84, ai rapporti con i modelli (Verga). Ma soprattutto le indagini vertono sulla psicologia dei personaggi, sull’istinto fagico che li domina, sul popolo animale e su quello vegetale dell’opera, in definitiva sulla trasfigurazione dell’ambiente regionale abruzzese in direzione di un esotico-primitivo secondo un gusto tutto dannunziano. I personaggi di Terra vergine vivono in una condizione «naturistica», immersi in una vita «pre-antropica», fuori dai condizionamenti della civiltà moderna. L’autore propone un ritorno dell’uomo alle forme naturali, a una semplificazione dei comportamenti; D’Annunzio sembra privilegiare uno studio delle radici animali dell’uomo, tant’è che non a caso si è parlato (Gibellini 1981) di «culturalità dell’animale», di zoomorfismo dei personaggi, di «analogismo ferino», peraltro reiterato anche in contesti posteriori, dalle Novelle della Pescara al «primitivismo mitico» della Figlia di Iorio.
Fin dalle prime battute del racconto iniziale che dà il titolo alla raccolta, l’autore insiste su una animalità dirompente (il cane Jozzo, il grugnito dei maiali governati da Tulespre), l’afa che incendia l’atmosfera, il biancore delle strade polverose nell’arsura della campagna assolata. Quel calore estivo innesca una forza primigenia e l’istinto sessuale irrefrenabile della giovinezza. Il sole scatena anche l’ansietà che si disegna sulla faccia sudata ed esasperata del pastore. Il lezzo dei porci, ben presenti in questa sequenza d’apertura, allude senza sottintesi all’animalità imperante: «E andavano alle querci della Fara, i porci a saziarsi di ghiande, Tulespre a fare all’amore». L’analogismo ferino rinvia a una situazione «pre-antropica» (Gibellini 1981) dei personaggi. L’amore, dunque per Tulespre, ma per tutte le figure che animano le novelle di Terra Vergine, non è mai un’entità astratta, un sentimento del cuore come tra i pastori d’Arcadia, ma è possesso rude della femmina, soddisfazione a livello fisiologico. Insomma, tra il giovane pastore di porci e la contadinella Fiora avviene quello che in etologia è definito «accoppiamento assortativo», ovvero l’intesa meramente istintiva tra partner sessuali. La stessa abbondante vegetazione non costituisce un immobile scenario delle vicende, ma partecipa attivamente all’azione e si umanizza anticipando in un certo senso il principio metamorfico che sarà proprio del D’Annunzio alcionico.
La novella d’apertura, dunque, contiene già tutti gli elementi che saranno sviluppati negli intrecci delle altre prove narrative approntate dall’ambizioso ma già esperto scrittore in erba poco più che diciottenne, il quale da grande, quasi a volerlo rinnegare, per un eccesso di modestia o di inconsapevolezza, relegherà il libro nella sezione «Le primavere della mala pianta» della sua Opera Omnia.
Con la stessa intensità descrittiva, in Dalfino il paesaggio si sposta dalla campagna al mare e il modello della scrittura, questa volta senza esitazione, è certamente Verga, giacché l’avvio ricorda da vicino quello di Rosso Malpelo: «Nella spiaggia lo chiamavano Dalfino; e il nomignolo gli stava a capello, perché dentro l’acqua pareva proprio un delfino»; inoltre il personaggio è «un giovane pescatore», così come Jeli è un «giovane pastore», senza contare che l’uno e l’altro sono soli al mondo, vivono abbandonati nella natura, amano e uccidono per gelosia. Questo racconto, insieme al Cerusico di mare delle Novelle della Pescara, contribuisce a far conoscere un Abruzzo marinaro che ha la stessa valenza di quello pastorale. Il fiume, unitamente all’Adriatico selvaggio, completa lo scenario acquatico e propone poveri traghettatori «nella tristezza di quel muto fluire freddo al mare», fonte di vita e di morte. Tra i personaggi dell’antica Pescara non manca la figura del folle che vive libero, affascinato dal treno (Cincinnato), nuovo strumento della modernità che perturba il paesaggio agreste. Accanto a lui Lazzaro, nella novella omonima, costituisce un esempio umano brutale e sconvolgente, spietato nei confronti del figlio macrocefalo, torturato senza pietà; in Campane Biasce vive fuori dal coro, lontano da tutti, in una comunità non socializzata: è come una «scimmia», un «falcaccio selvatico», «un monellaccio ossuto e nervoso»: al pari del Quasimodo di Hugo egli ha un rapporto speciale con le sue campane, il campanile è la sua casa come la cattedrale era l’universo per il personaggio dello scrittore francese. Con Toto poi, pastorello muto perché mutilato della lingua dai briganti, prosegue la rassegna delle figure primordiali che popolano Terra Vergine, come abnormi sono quel suocero e quella nuora, in Bestiame, avvolti da una inarginabile, incestuosa sensualità, tutto il contrario del desiderio smanioso, «inebriato» ma represso nutrito da Fra’ Lucerta esposto al canto delle contadinelle. In Ecloga fluviale, infine, la novella, che chiude la raccolta, si trova un’anticipazione del dramma che sarà raccontato nella Figlia di Iorio. Mila e Iori (l’onomastica forse non è casuale) incarnano il mondo dell’uomo primitivo prigioniero delle sue elementari e animalesche passioni. Nella barca che scivola lungo la Pescara per Iori si configura un «lungo errare a traverso terre ignote, a traverso genti ignote, cavalcando i poledri e bevendo il vento», in direzione del microcosmo presociale che anima Terra vergine.
Edizioni a confronto
Il manoscritto di Terra vergine di cui si dispone è conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (coll. ARC 21.1/23) ed è relativo solo ai testi di Toto, Dalfino, La gatta. Dal primo foglio di guardia si evince che il titolo progettato per la raccolta era Mendicanti. Bozzetti e, in aggiunta, Figurine abruzzesi. Nel secondo foglio di guardia compare, dopo il nome dell’autore, solo Figurine abruzzesi con il titolo delle tre novelle autografe (Toto, Dalfino, La gatta). La consuetudine di D’Annunzio di servirsi nella stesura di fogli staccati da un quaderno scolastico ha determinato evidentemente la dispersione del resto. Un confronto tra il manoscritto (M), l’edizione 1882 (A) e quella del 1884 (B) non offre in realtà risultati significativi. M consta di 46 pagine a righe, con macchie dovute all’umidità nei margini esterni; è legato al centro da due grappette e numerato progressivamente in alto a destra ogni due facciate del quaderno. La copertina è grigia con macchie d’uso e segni di umidità. L’esterno di quella posteriore presenta disegni, date e prove d’inchiostro nero e blu nelle correzioni. La dimensione del quaderno è 203×149 mm; risultano mancanti le pagine a fine quaderno da 24 a 29, successive a una facciata che reca in alto l’intestazione «Rusignolo» e il numero romano VII, riferito probabilmente a una novella andata perduta.
M risulta conforme in sostanza alle successive edizioni a stampa A e B, se non nella misura di qualche blanda modifica di tenore lessicale (Majella > Maiella; boja > boia; matre > madre; lercio > sudicio; trasalire > dare un balzo; selvaggie > selvagge; si facea di foco > si avvinazzava; parea > pareva; la giù > laggiù). Anche nel confronto tra i due testimoni a stampa A e B si rileva una tendenza al labor limae (anatre > anitre; gettò > gittò; vento > rovaio; rumorio > rumorìo; sull’elsa > su l’elsa); Pure alcuni nomi di personaggi mutano nel passaggio da M ad A e B.
Invece le edizioni 1882-1884 di Terra vergine, a parte l’inserimento, come si è detto, di due novelle nella seconda, non differiscono molto tra loro: le correzioni documentano una leggera revisione nel passaggio dalle stampe sul giornale alla prima edizione in volume (A), mentre solo in alcune occasioni il testo è soggetto a intervento in quella dell’84 (B). In generale si tratta di lievi rifiniture di punteggiatura, di integrazione o di eliminazione, come testimoniano i resoconti accurati che corredano le analisi delle singole novelle nel già ricordato volume collettaneo La capanna di bambusa (1994), che al sistema variantistico tra le edizioni a stampa aggiunge, all’occasione, anche l’apporto dei Taccuini dannunziani.
Stile e interpretazioni
Un problema che non può di certo essere eluso è il rapporto del primo D’Annunzio narratore con Vita dei campi (1880), il libro «siciliano» di Verga uscito due anni prima di Terra vergine. Secondo una linea interpretativa scolastica e purtroppo comunemente attestatasi, D’Annunzio si sarebbe ispirato allo scrittore catanese, se non altro perché la raccolta verghiana precede quella dannunziana. In realtà entrambe le sillogi rispondono a quel criterio di conoscenza dell’Italia appena unita auspicata dai collaboratori della «Rassegna settimanale». In quest’ottica D’Annunzio non è influenzato da Verga ma insieme a lui contribuisce a un progetto comune, quello di essere «esploratori» di una nuova Italia sconosciuta. Del resto, la differenza tra i due scrittori non era in discussione come dimostrava il rispettivo concetto di realtà: quella verghiana era monolitica, da tutti condivisa nella sua oggettività, laddove quella di D’Annunzio presupponeva uno scenario prismatico, dalle molteplici facce, a seconda del punto di vista degli osservatori. Insomma, per Verga la realtà era unica e non discutibile, per D’Annunzio si apriva a prospettive diverse e individualistiche. Si vuol dire che il giovane abruzzese, pur prestando l’orecchio in più di un caso alla caratteristica prosa impersonale di Verga, procede per suo conto affidandosi alla «esuberanza carnale della sua prima maturità, allo straripamento delle energie vitali, all’orgia dei profumi, di colori e di sensazioni che gli venivano dal temperamento sensuale e dalla innata capacità trasfiguratrice» (Oliva 1994).
Piuttosto che guardare al Verga come modello fisso, occorre ricorrere per D’Annunzio al darwinismo vigente (Gibellini 1981), in genere al materialismo positivisico e, soprattutto, alle suggestioni provenienti da Zola, specialmente alla Faute de l’abbé Mouret, tradotto in Italia nel 1880, esempio non trascurabile nella descrizione della vita vegetativa. Il rapporto uomo-animale ricusa l’idea di amore come entità astratta e diventa rude possesso della femmina da parte del maschio, come nella «gestualità erotica» di Tulespre nel primo racconto che dà il nome alla silloge. Altre letture di questi anni, possono aver influenzato il giovane novelliere: si pensi a Notre-Dame de Paris di Hugo (come dimostra la novella Campane), a Madame Bovary di Flaubert, ritenuto dal D’Annunzio un libro «magico d’arte e di stile», come scriveva a Elda Zucconi il 23 aprile 1882.
Bibliografia essenziale
Edizioni apparse in vita
Gabriele D’Annunzio, Terra vergine, Roma, Sommaruga, 1882;
Gabriele D’Annunzio, Terra vergine, Roma, Sommaruga 1883 (ristampa ne varietur diversa solo nella copertina);
Gabriele D’Annunzio, Terra vergine, Roma, Sommaruga, 1884 (seconda edizione con l’aggiunta di Bestiame, Ecloga fluviale e poche varianti).
Edizioni critiche e/o commentate
Terra Vergine, Introduzione di Pietro Gibellini, Milano, Mondadori («Oscar»), 1981, pp. 5-24;
Tutte le novelle, a cura di Annamaria Andreoli e Marina De Marco, Milano, Mondadori («I Meridiani»), 1992;
Tutte le novelle. Terra vergine e Novelle della Pescara, a cura di Gianni Oliva, Roma, Newton Compton («Grandi Tascabili Economici»), 1995;
Tutti i romanzi, novelle, poesie, teatro, a cura di Gianni Oliva e Giovanni Antonucci, Roma, Newton Compton («I Mammut»), 2011, pp. 1492-1535.
Bibliografia secondaria
D’Annunzio giovane e il Verismo, Atti del I Congresso internazionale di studi dannunziani, Pescara, Centro Nazionale di Studi Dannunziani, 1979;
D’Annunzio. Vita e letteratura. Documenti, testimonianze e immagini, a cura di Gianni Oliva (con saggi di Mirko Menna, Mario Cimini e Andrea Lombardinilo), Lanciano, Carabba, 2009;
Rossella Daverio e Carla Ferri, Echi verghiani in ‘Terra Vergine’, «Quaderni del Vittoriale», 1978, 8, pp. 41-52;
Gabriele D’Annunzio, Lettere a Elda Zucconi, a cura di Ivanos Ciani, Pescara, Centro Nazionale di Studi Dannunziani, 1985;
La capanna di bambusa. Codici culturali e livelli interpretativi per ‘Terra Vergine’, a cura di Gianni Oliva, Chieti, Solfanelli, 1994 (20132); è il libro d’analisi più completo delle novelle di Terra Vergine, prodotto dalla Scuola di italianistica dell’Università Chieti; contiene i seguenti saggi:
Gianni Oliva, ‘Terra Vergine’. L’Abruzzo-Africa, pp. 7-24;
Marilena Giammarco, Natura e mito in ‘Dalfino’, pp. 25-63;
Giorgio Pannunzio, Archetipi di alterità in ‘Cincinnato’, pp. 65-80;
Luciano Vitacolonna, Il naturalismo estetico-ferino di D’Annunzio: un’analisi strutturale di ‘Lazzaro’, pp. 81-95;
Lucilla De Fabritiis, ‘Campane’ e letture fecondanti, pp. 97-117;
Maria Lucia Zito, ‘Toto’. Poesia e anamnesi, pp. 119-130;
Valeria Giannantonio, Considerazioni tematiche e vicende elaborative della novella ‘Fra’ Lucerta’, pp. 131-154;
Simonetta Di Santo, Dalla ‘Serpe’ alla ‘Gatta’: alla ricerca del ritmo, pp. 155-172;
Mario Cimini, Archetipi culturali e primitivismo sociale in ‘Bestiame’, pp. 173-186;
Luigi Murolo, «Attraverso terre ignote». Appunti per una lettura di ‘Ecloga fluviale’, pp. 187-216;
Antonio Sorella, Lettura linguistica di ‘Fiore fiurelle’ e ‘Toto’, pp. 219-229;
Maria Luisa Patruno, Immagine e metafora zoomorfa in ‘Terra Vergine’, pp. 231-255;
Gianni Oliva e Carlo De Matteis, Abruzzo. Cultura e letteratura dal Medioevo all’età contemporanea. Documenti, testimonianze, immagini, Lanciano, Carabba, 2020.
Alessandra Vallera, Per il D’Annunzio novelliere. Le redazioni autografe del Fondo Gentili. Tesi di Laurea, a. a. 2005-2006, Facoltà di Lettere Università di Chieti (relatori G. Oliva e L. Pasquini).